La reinvenzione del sindacalismo: le Commissioni Operaie all’origine del movimento sindacale spagnolo del dopoguerra

Joaquín Arriola Palomares

1. Introduzione

Una delle debolezze strutturali del movimento sindacale spagnolo nell’affrontare la globalizzazione del capitale sta nella sua struttura organizzativa. Le strutture d’impresa si sono sostanzialmente modificate, introducendo dinamiche polivalenti, flessibilità, comunicazione orizzontale, partecipazione, struttura a rete... allo stesso tempo, il capitale si è politicizzato portando le istituzioni politiche sotto una costante pressione.

Al contrario, il sindacalismo non è stato capace di rinnovare le sue strutture organizzative, racchiuse in una funzionalità che esigeva un modello di negoziato basato su regole di gioco che non esistevano già più: il lavoro a tempo pieno e di durata indeterminata per tutti i salariati.

Quindi il sindacalismo, per adattarsi alle nuove condizioni stabilite dalla globalizzazione capitalista, ha bisogno di imparare attraverso nuove forme organizzative, dalla nuova cultura istituzionale del capitale. Ma non bisogna credere che il movimento operaio parta da zero; molteplici sono le esperienze incontrate in lungo ed in largo per il mondo nelle quali il movimento sindacale si è saputo adattare in condizioni particolari molto diverse da quelle che siamo abituati nei paesi del capitalismo sviluppato e del patto sociale di lunga durata, tra esse possiamo elencare: la conquista dell’identità sociale che ha rappresentato il COSATU in Sudafrica all’epoca dell’Apartheid, il nuovo sindacalismo associato ad altri movimenti sociali che si è cristallizzato nella CUT brasiliana o le molteplici esperienze locali di articolazione comunitaria del sindacalismo nordamericano.

Più vicino a noi, la rifondazione del movimento operaio degli anni ’50 e ’60 in Spagna è passato dalla creazione di forme organizzative originali dei lavoratori per affrontare la situazione di illegalità e di istituzionalismo eretta dal nazional- sindacalismo spagnolo durante la lunga dittatura del generale Franco. Ricordare quest’esperienza può essere utile perché interpretando dal passato possiamo essere capaci di costruire il futuro.

2. Le origini del movimento operaio spagnolo

Il movimento operaio spagnolo affonda le sue radici nel processo industriale dell’ultimo quarto del XIX secolo. A partire dal 1878 inizia una importante espansione industriale in sette nuclei della geografia spagnola (Asturie, Vizcaya e Guipúzcoa nella zona Basca, Alicante, Valencia, Madrid e Barcelona). Il proletariato spagnolo costruisce le sue organizzazioni al crescere di questo processo. Le profonde radici agricole degli spagnoli dell’epoca e le connotazioni anti-statali della mentalità rurale, si uniscono nella formazione di una grande confederazione di lavoratori di ideologia anarchica (La Confederazione Nazionale del Lavoro, CNT). Le posizioni socialiste, riunite attorno il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE), trovano il loro correlato sindacale nell’Unione Generale dei Lavoratori (UGT). Questi due gruppi, insieme ad una piccola presenza del sindacalismo di taglio nazionalista e di origine cristiana nella Regione Basca ed in Catalogna, costituiranno il movimento sindacale fino alla Guerra Civile. Nei primi anni le mobilitazioni operaie saranno duramente represse direttamente dall’esercito. Inoltre sarebbero stati i generali ad andare a negoziare con i leader dei sindacati quando, nel 1890, 1903 o 1906, ci sarebbero state massicce manifestazioni di lotta dei lavoratori. E sarà proprio la forza di mobilitazione operaia a dare una giustificazione legittima alla destra e alle classi medie dei regimi autoritari durante il primo terzo del XX secolo.

3. La spaccatura della Guerra Civile

La II Repubblica Spagnola (1931- 1939) è stato l’intento definitivamente vanificato di connettere la Spagna, e il suo sviluppo capitalista auto-accentrato, a delle istituzioni proprie dei regimi liberali. La vittoria delle forze franchiste ha supposto una rottura radicale con il processo industriale, veramente deteriorato dalla distruzione della maggior parte delle fabbriche a causa dei bombardamenti delle città fedeli alla Repubblica o delle forze repubblicane, nella misura in cui perdevano le posizioni, e con l’esilio e l’esecuzione di massa della forza lavoro più qualificata, precisamente quella che poteva essere in grado di mettere in marcia il capitale fisso [1]. Il capitale legato ai militari è il capitale finanziario, di chi vive di rendita ed è proprietario terriero, mentre i capitalisti industriali, maggiormente di orientamento liberal- repubblicano, fanno parte degli spagnoli che partono per l’esilio o per l’ostracismo interno.

A partire dalla fine della guerra, nel luglio 1939, inizia un lungo dopoguerra, durante il quale le forze vincitrici si applicano per liquidare, anche fisicamente, ciò che resta del Fronte Popolare. La feroce repressione non permette di ricostruire le organizzazioni operaie, che tarderanno quasi dieci anni per organizzare le prime proteste di un certo rilievo; così i lavoratori sono sottoposti ad un ferreo controllo, con giornate da 12 a 14 ore, con parte del loro salario trattenuto per pagare i debiti di guerra alla Germania (fino al 1945) e soffrendo tutte le conseguenze della scarsità e del razionamento. Bisognerà aspettare fino al 1947, quando si producono importanti mobilitazioni operaie in Catalogna e nella Regione Basca, suscitate dalla protesta contro la carestia e dal mal funzionamento del sistema di razionamento (“lo sciopero dell’olio”). Quell’anno demarca in un certo modo un punto di inflessione, per un doppio motivo: la repressione che distingue il regime finisce con la maggior parte dei già di per se scarsi nuclei sindacali che rimanevano legati alle organizzazioni operaie prima della guerra (UGT nella zona basca, CNT a Barcellona). Le organizzazioni sindacali tradizionali mostrano delle difficoltà strutturali nello sviluppare un’attività seppur minima in queste condizioni di dittatura, che le rende molto vulnerabili all’azione delle forze di repressione.

Da parte sua il Partito Comunista, l’organizzazione che conserva una presenza più attiva all’interno del paese, decide di farla finita con la guerra fatta dai gruppi guerriglieri che andava sospingendo sin dalla fine della guerra civile e adottare altre tecniche e strategie. Dopo un duro dibattito, dentro e fuori del paese, questa nuova posizione si consolida a partire dal V congresso del PCE, e già nel 1954 i militanti operai comunisti cominciano ad entrare nel Sindacato Verticale, la struttura di inquadramento dei lavoratori creata dal regime franchista, riuscendo ad occupare dei posti importanti da giurato d’impresa all’interno di molte fabbriche importanti.

4. La nuova protesta operaia: gli attori socio-politici

L’utilizzo del sindacato franchista da parte dei militanti clandestini trova il suo primo frutto in Vizcaya (Regione Basca) con sciopero del metallo nel 1956, che possiamo considerare come la data di nascita del “nuovo” movimento operaio spagnolo [2]. Nell’anno precedente il Sindacato Verticale, al Congresso dei Lavoratori, approva una proposta di aumento dei salari minimi, che ovviamente non è considerata dal governo ma che servirà a creare le condizioni della protesta che andrà a svilupparsi successivamente. L’organizzazione dello sciopero si fa dalla base, cominciando a non fare ore extra, seguitando con lo sciopero delle “braccia cadute” e non collaborando alla produzione (sciopero bianco), a partire dalle grandi imprese ubicate nella zona di maggior concentrazione industriale della zona basca. Si uniscono i lavoratori dell’Altoforno di Vizcaya -la maggiore impresa industriale della zona- e, nel suo sviluppo, i lavoratori vanno eleggendo rappresentanti di impresa e organizzano e dirigono lo sciopero, arrivando a coordinarsi clandestinamente perché il fenomeno vada ad estendersi nei paesi, nei bar, nei cinema di tutta la zona.

Sorge così la prima commissione operaia, che porta i lavoratori a rivendicare non solo migliorie lavorative, ma ad identificare la suddetta commissione come loro rappresentante e ad esigere dalla parte padronale che negozi con essa, sorpassando le strutture ufficiali del Sindacato Verticale. Dopo un mese e mezzo di sciopero, le imprese si convincono a negoziare ed anche il governatore civile della provincia riconosce la commissione, chiamandola nel suo ufficio per annunciare la repressione che andava ad attuare se non avessero smesso di mantenere quell’atteggiamento. Ci furono 1200 lavoratori arrestati, 600 allontanati dalla provincia di Vizcaya; ciò indica il livello di mobilitazione e la preoccupazione che era stata provocata nelle fila del regime dittatoriale.

Bisogna segnalare che a questa mobilitazione parteciparono anche i nuclei dei lavoratori vincolati al sindacalismo nazionalista e alla UGT, che si opponevano alla tattica di “entrismo” nelle istituzioni sindacali ufficiali, promossa dal partito comunista e altre forze. Per questo, nella storiografia ufficiale, non sempre si riconosce in questa prima commissione operaia di Vizcaya la nascita del nuovo movimento operaio e si situa detta origine nello sciopero che ha avuto luogo due anni dopo nella zona mineraria delle Asturie, quando è stata costituita la corrispondente Commissione Operaia nella miniera di “La Camocha” che, in questo caso, aveva come leader direttamente i lavoratori militanti comunisti clandestini.

In ogni caso comunque, le Commissioni Operaie hanno la caratteristica peculiare che non nascono come organizzazioni, ma come movimento aperto a tutti i lavoratori, tendenti a raggrupparsi sotto un denominatore comune di rifiuto delle strutture sindacali ufficiali del regime, di lotta socio
 politica per le rivendicazioni lavorative e salariali ma anche per il raggiungimento della libertà sindacale e un metodo di azione che combina la lotta legale e la extra legale.

Sarà tra il 1958 e il 1962, il periodo di transizione tra il sistema autarchico e il sistema del capitalismo liberale, quando vengono generalizzate le prime commissioni operaie in molti nuclei operai ed industriali di Spagna. Nel 1958 la dittatura elaborò una legge sui Concordati Collettivi che chiude le porte alla politica salariale paternalista e che pretende di vincolare gli incrementi salariali non a motivi di favoritismo politico come fino ad allora, ma a criteri “tecnici” vincolati alla produttività. La nuova legge passa agli imprenditori molte attribuzioni che prima erano riservate allo Stato. La borghesia si sente forte per negoziare con una classe operaia che è carente di organizzazione ed è forzatamente inquadrata in un “sindacato verticale” controllato dal regime. Ma ho già indicato come quel sindacato è considerato uno spazio di lotta dai militanti clandestini comunisti ed anche da una forza sociale che gioca un ruolo chiave in questo periodo: nei nuovi quartieri operai, tra la massa dei lavoratori che arrivano ad ondate alle fabbriche delle città, c’è un nucleo attivo di militanti del Partito Comunista da un lato e, dall’altro, militanti operai di organizzazioni cristiane come la Confraternita Operaia di Azione Cattolica (HOAC) o la Gioventù Operaia Cristiana (JOC), il cui carattere legale, malgrado la ferrea censura alla quale sono sottoposte, permette loro di ottenere un’importante grado di ascolto [3].

Il lavoro nelle fabbriche di questi militanti andò a concretizzarsi nel consolidamento della prima tappa delle Commissioni Operaie (1958 -1964), in cui le commissioni venivano designate dai lavoratori nell’ambito specifico di una determinata impresa, per risolvere problemi specifici, e veniva poi auto-sciolta una volta superato il problema che le convocava. Sarà seguendo il modello dei minatori delle Asturie e delle fabbriche della zona basca che vanno generalizzandosi in altri punti (Madrid, Catalogna, Galicia,...) le commissioni operaie come germogli di organizzazioni microsociali di lavoratori. Nel 1963 si arrivò a costruire una “Commissione degli Operai licenziati”, formata da un centinaio di lavoratori licenziati dopo i conflitti del 1962, che demarcarono l’inizio di una nuova conflittualità sociale in Spagna, e che si dissolse nel 1965 nel momento in cui si trasferirono in altre imprese gli ultimi di essi.

Le caratteristiche di queste prime commissioni operaie sono [4]:

1. Gli obiettivi esclusivamente lavorativi, sono conosciuti e condivisi da tutta la base: risolvere un problema lavorativo concreto e conseguire delle rivendicazioni.

2. Sono spontanee, cioè, sorgono dalla stessa base come qualcosa di naturale.

3. Sono rappresentative della base. Questa dà loro un consenso e in esse delega. Le Commissioni da parte loro, rendono conto alla base in modo permanente.

4. Il funzionamento interno è pienamente democratico.

5. Sono autonome e indipendenti dalle organizzazioni operaie sindacali e politiche del regime.

6. Il loro obiettivo principale è l’unità della classe operaia per risolvere i problemi concreti.

Dall’altro lato, nel 1958 si produce un cambiamento politico ed economico di grande rilievo nel capitalismo spagnolo. Gli Stati Uniti, decisi ad inglobare la Spagna nello spazio economico del suo perimetro europeo e includendo il paese nel Fondo Monetario Internazionale, decide di applicare un piano stabilizzatore che include la modifica dell’orientamento economico del regime. L’apertura all’esterno, la liberalizzazione del commercio e degli investimenti e la creazione di una base fiscale capace di finanziare le infrastrutture fisiche e sociali (educazione media e superiore, sanità) richieste da un processo di accumulazione del capitale basato sull’industrializzazione massiccia e rapida.

Questo cambiamento aveva supposto una modifica della correlazione tra le forze interne del regime: i settori che avevano un più alto livello ideologico articolati nella Falange Spagnola, perdevano potere a favore dei settori più tecnocrati del regime, favorevoli all’apertura, installati nella Banca Spagnola e personificati nei rappresentanti dell’Opus Dei.

Inizia così ciò che è conosciuto come il “miracolo economico spagnolo”: un decennio di tasso di crescita molto elevato (7,2% di crescita annuo medio tra il 1961 e il 1972, in questi anni l’Italia arrivò ad un tasso medio annuo del 5,2%), basato sullo sviluppo del turismo, le riammissioni degli emigranti e l’investimento straniero. Ciò voleva dire una alterazione radicale delle strutture sociali spagnole: finalmente, negli anni ’60 la Spagna sostituisce l’accumulazione agricola con l’accumulazione industriale e di immobili come meccanismo di arricchimento capitalista, in un processo non molto diverso da quello italiano, sebbene più concentrato nel periodo più caotico e più subordinato al capitale estero e alle banche che nel caso italiano.

Una componente di questa evoluzione in un massiccio processo di migrazioni interne è che libera la manodopera delle campagne per la costruzione industriale nelle città. Contadini semianalfabeti costituiscono la prima ondata della nuova classe operaia spagnola, che si installa nei sobborghi di città come Madrid, Barcellona o Bilbao, e successivamente in altre zone del Paese. Quella nuova popolazione urbana si vede sottoposta ad un brusco processo di riciclaggio sociale: dovranno imparare a cambiare il loro modo di vivere, di relazionarsi, la loro cultura del lavoro e la loro comprensione del mondo in un rapidissimo processo di inserimento urbano.

In questo contesto l’auge di questo tipo di commissioni operaie, di organizzazioni temporali e più o meno spontanee ha vita breve, si cristallizza in una seconda fase (1964 -1967) nella quale si passa alla formazione di commissioni operaie permanenti e coordinate. In questo periodo le Commissioni Operaie si convertono in un movimento socio -politico organizzato. Il dibattito strategico comincia a svilupparsi tra i militanti operai e deriva da due aspetti centrali: la partecipazione o no nelle strutture di negoziazione di convegni approvati dal regime e il tipo di organizzazione da sviluppare: movimento assembleista o organizzazione sindacale più o meno standard. Il rifiuto della UGT, dei nazionalisti baschi e degli anarco -sindacalisti a partecipare ai convegni derivanti dalla legalità franchista venne appoggiato all’argomento di evitare qualunque tipo di legittimità del regime. Ma l’attività clandestina totale significò l’emarginazione effettiva di queste forze sindacali delle nuove dinamiche di lotta che si aprivano con la nuova conformazione della classe operaia industriale.

Sia i comunisti che i settori cristiani scommisero sulla partecipazione, che li pose in una migliore posizione per arrivare all’insieme dei lavoratori e rafforzare il lavoro organizzativo tra questi. Ma queste nuove forze si divisero su due posizioni in materia organizzativa. Una parte dei lavoratori influenzati dalla corrente cristiana di sinistra arrivarono alla costituzione di un nuovo accentramento sindacale, l’Unione Sindacale Operaia (USO), di ideologia socialista dell’autogestione, mentre gli altri confluirono con i comunisti per spingere il movimento assembleare delle commissioni operaie.

5. Un nuovo pensiero sindacale

Le Commissioni Operaie, insieme all’USO, sono le organizzazioni che vanno a consolidarsi tra i lavoratori durante la fase finale della dittatura, coincidendo con la fase di ascesa del capitalismo transnazionale degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70. La partecipazione nelle strutture del Sindacato Verticale franchista non solo non aveva legittimato questa istituzione, ma al contrario, la tattica “entrista” era servita per ammortizzare la repressione e, approfittando anche delle strutture legali delle organizzazioni operaie cattoliche, per creare migliori condizioni per mobilitare i lavoratori delle grandi fabbriche delle cinture industriali, minerarie e dei trasporti.

Il carattere aperto delle Commissioni Operaie si può constatare per esempio nella prima commissione operaia provinciale di Vizcaya, costituita nel 1963, alla cui creazione parteciparono 150 “legati sindacali” (denominazione dei delegati di fabbrica del sindacato verticale franchista), quadri operai del partito socialista, militanti dell’USO, membri del HOAC etc [5]. Anche a Madrid nel 1964 si va costituendo la prima Commissione Provinciale della metallurgia madrilena, coordinando i delegati delle grandi imprese della zona: Marconi, Standard, Petaso, Perkins, Casa, etc e posteriormente le commissioni della carta e delle arti grafiche, della costruzione, della chimica, di banca, del trasporto, dell’insegnamento.

Il carattere aperto e flessibile rende difficile l’azione repressiva dello Stato autoritario, per la difficoltà di identificare dei “leader” o dirigenti “naturali” del movimento. Questo è ciò che spiega la capacità di organizzare nel 1966 uno sciopero che ha fatto la storia del movimento operaio con un certo carattere mitico: lo sciopero di “Bandas” (impresa metallurgica di Vizcaya), che iniziava nel novembre 1966 e terminava nel maggio 1967.

Malgrado il decreto dello Stato di Eccezione e la brutale repressione attivata, in quel momento il movimento operaio acquisisce una nuova dimensione di maturità e combattività. Ciò spiega come, a partire da allora, la stessa esistenza della lotta dei lavoratori viene necessariamente concepita come lotta socio -politica, in quanto la delegittimazione del regime è completa e il raggiungimento delle rivendicazioni lavorative, del salario in primo luogo, non viene concepito al di fuori della rivendicazione di libertà e autonomia del movimento operaio.

Nel 1967 viene indetta la prima Assemblea Nazionale delle Commissioni Operaie e da quel momento si entra in una nuova tappa, nella quale, l’estensione della protesta operaia e il consolidamento delle Commissioni Operaie come veicolo di espressione della lotta di classe in questo momento, coincide con un processo di dissenso politico interno.

Il comunicato finale della I Assemblea Nazionale delle Commissioni Operaie segnala i principi di organizzazione che la caratterizzano, appuntando il germe di un nuovo pensiero sull’organizzazione dei lavoratori. In un paese influenzato tradizionalmente dal sindacalismo socialista o dall’anarco
 sindacalismo, le nuove esperienze di lotta pianificano una nuova concezione del protagonismo diretto dei lavoratori. L’Assemblea del 1967 raccoglie questa nuova concezione, che dopo pochi anni si vedrà opacizzata da interessi di partito e urgenze congiunturali:

L’assemblea, analizzando la linea generale di azione delle CC.OO. ha riaffermato le caratteristiche che l’hanno distinta fino a quest’ultima apparizione:

a. Le CC.OO. non sono un’organizzazione, ma una forza coordinata, un movimento aperto, tendente a vincolare tutti i lavoratori che, raggruppati sotto il denominatore comune del rifiuto dell’attuale organizzazione sindacale, sono disposti a lottare per i loro diritti e rivendicazioni di classe e in particolar modo nel momento attuale per la libertà sindacale.

b. Il suo carattere unitario, intendendolo non nel senso di una federazione di gruppi o forze, ma in quello della partecipazione comune nel movimento dei lavoratori in quanto tali, senza distinzioni di ideologie politiche, concezioni filosofiche o credenze religiose.

c. L’indipendenza, nell’attuazione, da qualsiasi gruppo politico, sindacale o religioso. Tale attività verrà guidata esclusivamente dalla volontà dei lavoratori che partecipano al movimento e, in generale, per i sentimenti e le aspirazioni di tutti i lavoratori spagnoli. Ciò non vuol dire che in situazioni specifiche le CC. OO. rinuncino a mantenere, sempre nell’indipendenza, le relazioni che credono convenienti con altre forze o gruppi di opposizione, o a propiziare l’intesa di questi ultimi tra di essi.

d. Lo spirito democratico, sarà in tutte le attività. Partirà in ogni momento dalla base operaia, particolarmente cominciando da un’Assemblea di Lavoratori.

e. La sua azione, aperta e non clandestina, che rifiuti, nelle particolarità di ogni caso specifico e in qualsiasi caso momentaneo, ogni intento a spingere verso la clandestinità.

f. Il suo sentimento di rivendicazione nel campo sindacale e sociale, senza che impedisca in determinati momenti la definizione dell’attitudine di fronte a quelle opzioni politiche che riguardino direttamente gli interessi della classe lavoratrice.

L’assemblea ha riaffermato quindi, una volta ancora, che le CC.OO. sono un movimento aperto, unitario, democratico, indipendente e rivendicativo [6].

In questo stesso anno, l’ambigua legalità che circondava le commissioni operaie scompare e il regime, attraverso il Tribunale Supremo, le dichiara illegali, facilitando così un processo di repressione contro un movimento che cominciava a causare importanti difficoltà politiche di legittimazione interna.-----

La repressione ha un esito importante nella detenzione dei principali dirigenti e nello smantellamento di molte commissioni provinciali. Le convocazioni per le manifestazioni negli anni 1967 -1969 furono quasi tutte un completo fallimento. Molti davano la colpa all’irresponsabilità del PCE, che mantenne convocazioni aperte e nella strada in un nuovo contesto di repressione rafforzata [7]. Comunque, considero importante tenere in conto altri fattori, in particolare la mancanza di maturità nella coscienza politica dei lavoratori che aveva facilitato la stasi in quanto vennero ottenuti alcuni miglioramenti nelle condizioni di vita [8]. Come viene indicato più avanti, questo fattore tornò a giocare un ruolo importante durante la transizione verso la democrazia.

In ogni caso, gli ultimi anni del decennio del ’60, che conobbero un importante processo di mobilitazione politica in Europa ed in altre parti del mondo, furono in Spagna anni di scarsa mobilitazione. Si riproduce così un fatto, di difficile spiegazione, che si manifesta nel ciclo economico e politico spagnolo del XX secolo, che vive per 2 o 3 anni prima di ogni cambiamento del ciclo politico europeo e mondiale e 2 o 3 anni dopo, cioè il ritardo delle nuove tendenze economiche.

6. La transizione politica verso la normalizzazione sindacale

La perdita di protagonismo diretto dei lavoratori e delle loro lotte si tradusse in un inasprimento del dibattito politico ed ideologico nelle organizzazioni clandestine. È il momento in cui appaiono sulla scena diverse organizzazioni politiche, di tendenza diversa: maoista come il Movimento Comunista (MCE), l’Organizzazione Rivoluzionaria dei Lavoratori (ORT) ed il Partito del Lavoro (PTE); consiglieri come Bandiera Rossa (OCE -BR) o l’Organizzazione della Sinistra Comunista (OIC), trotzkista come la Lega Comunista Rivoluzionaria (LCR), autonomi come i Gruppi Operai Autonomi (GOA)... Tutti raggiungono un certo inserimento nel nuovo movimento dei lavoratori delle Commissioni Operaie, quando non sorgono direttamente da esse stesse.

La lotta per l’egemonia in seno alla sinistra si trasferisce a una lotta per il controllo delle Commissioni Operaie, che fa perdere autonomia ai dibattiti in seno alle stesse. L’organizzazione di maggiori dimensioni, il Partito Comunista, rafforza anche il controllo sulle Commissioni Operaie, pressando con maggior forza per bloccare la dirigenza delle assemblee e delle delegazioni. In termini politici, il dibattito si centra sul considerare le commissioni operaie come un’organizzazione unica di massa, come un fronte unico di massa o come un’unica centrale sindacale.

Allo stesso tempo, la fine dalla dittatura, che si intravede per l’avanzata età e la malattia del dittatore, porta il dipartimento degli Stati Uniti e la socialdemocrazia europea, per mezzo della Fondazione Friedrich Ebert, a preparare una transizione nella quale, il predominio della sinistra comunista tra le forze di opposizione venga controbilanciato da un partito che concordi con l’establishment delle democrazie occidentali.

Senza entrare nei dettagli della transizione politica spagnola (1975 -1977), conviene evidenziare alcuni dati chiave per l’evoluzione del sindacalismo spagnolo:

Nel periodo di transizione tra la morte del dittatore nel novembre 1977 e le prime elezioni democratiche del giugno 1978, i partiti politici, incluso il partito comunista, vennero legalizzati prima delle organizzazioni sindacali. Quello fu un periodo chiave per escludere la possibilità che la legalizzazione delle organizzazioni sindacali portasse all’apparizione di un nuovo movimento sindacale unitario dominato dalle forze comuniste.

Il finanziamento da parte della socialdemocrazia europea servì per la formazione di un insieme di quadri sindacali, organizzare una struttura nazionale per la UGT e per realizzare un “OPA sindacale”, contro la USO, dalla quale si separa un numero importante di quadri di direzione che passano ad ingrossare le fila del sindacalismo ufficiale. Da parte sua, l’Istituto Americano per lo Sviluppo del Sindacalismo Libero (IADSL, finanziato dal Dipartimento di Stato del governo degli Stati Uniti, sebbene formalmente era connesso con la dirigenza della AFL -CIO) promosse la ricostruzione del sindacalismo nazionalista, sia in Catalogna come nella Regione Basca, anche se ebbe fortuna solo in quest’ultima regione.

Infine, gli stessi dissapori interni tra le forze di sinistra fecero si che la corrente maggioritaria potesse realizzare una svolta verso la costituzione di un centro sindacale, che sebbene conservasse alcune caratteristiche del movimento sindacale degli anni passati, sarebbe più facilmente controllabile che un movimento assembleista come quello che si andava costituendo dall’inizio degli anni ‘60 [9].

L’Assemblea dei Delegati delle Commissioni Operaie di Barcellona, luglio 1976, è l’atto fondamentale di una nuova organizzazione sindacale e l’inizio della fine del movimento operaio di nuovo tipo, malgrado la retorica si mantenne per oltre dieci anni. Uno degli aspetti più significativi di questa assemblea fu il riconoscimento degli altri centri sindacali esistenti, o in fase di ricostruzione, per quanto i delegati facessero un appello all’unità, non dei lavoratori, per mezzo dei loro rappresentanti diretti, ma delle organizzazioni sindacali, attraverso il cosiddetto “Coordinamento delle Organizzazioni Sindacali” (COS), che raggruppava la USO e la UGT.

Nell’assemblea venne decisa la costituzione di un “segretariato” delle Commissioni Operaie, composto da 27 membri (tutti uomini, tutti quadri di partiti politici), dei quali 22 sono membri del PCE, 2 del Movimento Comunista,1 della ORT e 1 del Partito Socialista Popolare (PSP piccolo gruppo socialista che dopo pochi anni venne integrato dal PSOE). L’idea di avanzare verso un processo sindacale costituente e la conformazione di una centrale unica di lavoratori venne diluita quando alcuni mesi dopo venne prodotta la legalizzazione delle centrali sindacali e la Commissione Operaia si andò ad iscrivere come una in più.

L’evoluzione decisa in questa Assemblea di delegati facilitò il processo di divisione sindacale tramato dalle fila socialdemocratiche, per quanto definito lo spazio politico dei settori comunisti di opposizione come forze minoritarie nelle prime elezioni legislative del 1977, fu molto più semplice identificare le Commissioni Operaie come la “centrale sindacale comunista”. Solo l’esistenza di un’ampia base di quadri operai presenti nelle fabbriche e riconosciuti dai compagni, permise che anche le CC.OO. soffrissero varie scissioni nel loro seno, che andarono a conformare nuove confederazioni sindacali oggi scomparse [10],si convertisse nella più grande centrale sindacale del paese. Ma tuttavia molto lontano dal carattere unitario e integratore di tutte le correnti socio -politiche presenti nel mondo operaio.

Da parte sua, la lotta per la rottura democratica si diluì quando, in modo simile a ciò che era accaduto alla fine degli anni sessanta, il governo concesse le rivendicazioni più economiciste dei lavoratori, facilitando così una transizione senza rottura dalla dittatura autocratica alla monarchia democratica [11].

L’evoluzione successiva del movimento operaio sarà caratterizzato dai contenuti dello Statuto dei Lavoratori (1980) che autorizza i comitati di impresa, la rappresentanza dei lavoratori nell’impresa e la facoltà di indire le assemblee. La loro composizione sarà decisa mediante un processo di elezioni da impresa a impresa, nella quale i diversi sindacati, di impresa, federali e confederali presentano i candidati ed occupano i posti in maniera proporzionale [12]. Lo Statuto dei Lavoratori sottrae alle assemblee qualsiasi competenza a negoziare, che viene generalmente trasferita ai “rappresentanti dei lavoratori”.

Sebbene le Commissioni Operaie seguitano a considerarsi un sindacato assembleista ed unitario, la nuova legalità va ad orientare poco a poco il lavoro verso i comitati, che sostituiscono con frequenza le assemblee generali in un processo di delega di funzioni e crescente apatia partecipativa da parte dei lavoratori, che entrano in un processo accelerato di non politicizzazione di massa. Questo “potere sindacale” fu concesso in cambio dell’accettazione di un insieme di patti generali tendenti a invertire gli aumenti salariali del periodo di transizione e stabilizzare la politica macroeconomica.

La “normalizzazione” sindacale viene completata nel 1985, quando è approvata la “Legge Organica di Libertà Sindacale” (LOLS), che dà la facoltà alle organizzazioni sindacali “rappresentative” di negoziare nei loro ambiti territoriali (convegni provinciali e statali) e nei rami della produzione (convegni di ramo). La condizione di sindacato “più rappresentativo” è una categoria consentita esclusivamente alle organizzazioni con una rappresentanza tra l’insieme dei delegati superiore al 10%, o al 15% se sono sindacati che si presentano solo in una regione autonoma, come la Regione Basca o la Catalogna. Solamente i sindacati più rappresentativi possono negoziare accordi generali. Di modo che le elezioni a comitati di impresa si riducono ad un esercizio di competenza tra le centrali per determinare la rappresentatività di ognuna, che non si decide né per la capacità di mobilitazione né per l’affiliazione, ma per il voto delegato dei lavoratori.

Con questo nuovo assetto giuridico, i comitati di impresa perdono progressivamente il ruolo di organi di rappresentanza unitaria dei lavoratori, spostando alle sezioni sindacali il potere di negoziazione effettiva. Pertanto negli ultimi 25 anni il movimento operaio spagnolo è andato diluendo il carattere partecipativo, dalle assemblee generali ai comitati di impresa, e da questi alle sezioni sindacali e rafforzando il potere delle direzioni sindacali professionali delle grandi confederazioni sindacali.

Paradossalmente il CC.OO. si opporrà alla LOLS per quanto nel suo discorso permane ancora negli anni ’80 una forte retorica unitaria, e nel suo seno si accumula la maggiore esperienza assembleista del movimento sindacale spagnolo. Ma il processo di adattamento è molto veloce nella pratica e il cambiamento nel discorso si va introducendo poco a poco, senza un’esplicita analisi delle cause del cambiamento e della trasformazione del “sindacalismo di nuovo tipo” in delle pratiche sindacali simili a quelle di altri paesi europei [13].

La decisione di limitare le pratiche sindacali al marchio stabilito dalla legalità vigente si prende senza maggiori riflessioni sulle implicazioni che ha nella perdita di protagonismo diretto dei salariati e in una crescente delegazione di responsabilità nei quadri sindacali professionali, che rafforza la tendenza alla non politicizzazione e all’attitudine passiva dei lavoratori.

La crisi delle organizzazioni comuniste negli anni ’80 determina che l’evoluzione successiva delle Commissioni Operaie, spogliate definitivamente (?) del carattere unitario, e convertite in una confederazione sindacale standard, perdano anche il vincolo con un discorso politico di trasformazione [14], entrando in una dinamica di negoziazione pragmatica non molto differente da quella che troviamo negli altri paesi dell’Unione Europea.

7. Riprendere dal passato gli strumenti per costruire il futuro

Questo breve excursus della ricostruzione del movimento operaio spagnolo permette di dedurre alcune conclusioni utili per una riflessione più generale sul tipo di sindacalismo necessario all’inizio del XXI secolo:

1. I cambiamenti strutturali nelle condizioni sociali e politiche del lavoro devono essere affrontate con cambiamenti correlativi nelle forme di organizzazione dei lavoratori.

2. Le contraddizioni espresse nel processo di lavoro, canalizzate politicamente, sono la forza principale di opposizione alla logica del captale e all’espressione politica di questa.

3. Le mediazioni necessarie, personali e strutturali, per raggiungere la coordinazione, l’organizzazione e l’espressione pubblica dei lavoratori, devono avere come obiettivo prioritario la sviluppo della capacità politica delle persone che integrano il collettivo operaio.

4. L’accumulazione della coscienza dei lavoratori si rafforza con il protagonismo diretto e si debilita con le strategie di sostituzione e di delega.

5. L’impronta prettamente giuridica condiziona l’azione sindacale molto più che l’azione politica che si possa sviluppare in altri ambiti, riducendo gli spazi e i limiti di intervento delle strategie autonome di classe.

La transizione politica spagnola evitò una rottura con il processo di accumulazione capitalista limitando il protagonismo dei lavoratori e il modo di agire alle rivendicazioni salariali, orientando la domanda di cambiamento verso le strutture politiche con ambiti di partecipazione ristretti (principalmente elettorali), limitando la rappresentazione diretta all’ambito della negoziazione collettiva e all’elezione di comitati d’impresa. Una volta ottenuto tutto ciò, è stato facile cancellare la memoria collettiva, depoliticizzare la cittadinanza e modificare la correlazione di forze a favore del capitale, cioè, introdurre il Paese sulla via della normalizzazione neoliberale. Per adesso.


[1] Solamente nella zona Basca non si produsse questa desertificazione industriale avendo pattuito il nazionalismo egemonico la resa, evitando l’esecuzione e l’esilio massiccio della forza operaia chiedendo in cambio di mantenere intatte le fabbriche, che passarono nelle mani delle forze franchiste quasi intatte. Ad eccezione della provincia basca di Guipúzcoa, le altre sei provincie industrializzate persero 20.000 persone durante la guerra, alle quali si dovrebbero aggiungere le 2500 esecuzioni in media nelle Asturie, Madrid e Barcelona fino al 1948: la scarsità di manodopera qualificata non fu minore della scarsità di beni durante il lungo periodo del dopoguerra spagnolo, è un fattore di prim’ordine che spiega la sospensione e la retrocessione del processo di industrializzazione (si veda Armando Fernández Steinko, Continuidad y ruptura en la modernización industrial de España. El sector de la maquinaria mecánica, CES, Madrid, 1997, pg. 69)

[2] Posta da Txemi Cantera in: M. Tuñon de Lara (dir.): “I Jornada del Movimento Obrero en las Nacionalidades Históricas”, Unión Local de Comisiones Obreras, El Ferrol 1981, pp. 65 -68.

[3] Come indicatore di ciò, il giornale edito dalla HOAC, il TU (Lavoratori Uniti) aveva raggiunto a metà degli anni ’60 una tiratura di 40.000 copie.

[4] “CC.OO. en sus documentos. 1958 -1976”, Ediciones Hoac, Madrid, 1977.

[5] Il carattere unitario di dette Commissioni si riflette anche nella partecipazione nelle stesse di una Alleanza Sindacale Operaia (ASO), integrata dal CNT, UGT, Solidarietà dei Lavoratori Baschi (STV) e USO, che tra le altre cose, pretendeva di contarrestare l’influenza del PCE nelle commissioni operaie.

[6] “Comunicado Final de la I Asamblea Nacional de CC.OO., Madrid, junio de 1967” in: Documentos Básicos de Comisione s Obreras, pp. 13 -14.

[7] Così, in un documento dell’epoca leggiamo: “dopo il referendum del 1966 [votazione convocata dal regime come una prova di legittimazione] si abbatté sulla classe operaia una repressione sistematica; i dirigenti più conosciuti furono arrestati e incarcerati e numerosi operai licenziati dalle fabbriche. Questa fu una dura lezione che dimostrò quanto fosse pericoloso uscire allo scoperta senza essere nelle condizioni politiche ed organizzative di difendersi ed attaccare a fondo a sua volta. (...) il cambiamento di situazione del 1966 (...) non venne captato dal movimento operaio e dalle sue organizzazioni. Specialmente il PCE, principale ispiratore del nuovo movimento operaio, accecato da un impossibile Patto per la Libertà, tendeva ad utilizzare la classe operaia come carne da macello e base di negoziato, dimenticandosi di rafforzare l’organizzazione e la politica autonoma e lanciando il nuovo movimento contro la repressione senza nessun tipo di protezione, ciò che decimò il movimento e lo divise politicamente.” Organización Comunísta de España -Bandera Roja: “Comisiones Obreras y la construcción del sindacato”, Bandiera Roja, n.15, settembre 1973, pp.12 -13.

[8] Così l’occupazione, che cresceva dello 0,5% l’anno tra il 1963 e il 1966, crebbe di un tasso superiore all’1% l’anno durante i tre anni seguenti e i costi lavorativi unitari nell’economia spagnola, che erano cresciuti meno dell’1% l’anno tra il 1963 e il 1965, crebbero di circa il 2% nei tre anni seguenti (dati: European Economy n. 71/2000).

[9] Vediamo come analizza il processo una organizzazione presente anche durante gli anni dell’espansione economica spagnola, l’Unione Sindacale Operaia: “La USO partecipò alla creazione del Movimento spontaneo delle Commissioni Operaie in diversi luoghi dove erano sorte in principio: Vizcaya, Asturie, Guipúzcoa. Successivamente, davanti alla tattica del PCE di penetrazione e controllo delle stesse, privilegiando il lavoro sovrastrutturale di coordinamento sullo sviluppo e il consolidamento degli organi di classe nell’Impresa (che supponeva di convertire le Commissioni in una filiale di trasmissione del PCE o di altri gruppi politici, a seconda della regione), la USO si svincolò dalle Commissioni e lanciò, a partire dal 1967, il movimento delle ASSEMBLEE DI FABBRICA e dei comitati delle imprese.” (“Por un sindicalismo de clase. Qué es la USO.”, maggio 1975, pp. 21 -22).

[10] In particolare il Sindacato Unitario, spinto dalla ORT, e la Confederazione Sindacale Unitaria dei Lavoratori, promossa dal PTE.

[11] I costi lavorativi unitari, che erano cresciuti di un tasso annuo inferiore allo 0,2% nel 1972 e 1974, si elevano a 1,1%l’anno tra il 1975 e il 1977 (dati European Economy 71/2000).

[12] Attualmente la Confederazione Sindacale delle Commissioni Operaie ha circa 98.000 delegati eletti in comitati di impresa in tutta la Spagna, l’Unione Generale dei Lavoratori 96.000 e il resto delle forze sindacali 65.000, tra le quali spiccano la USO e la UGT (organizzazione sindacale libera, una scissione della confederazione anarco -sindacalista CNT, che non accetta di partecipare ai processi di elezione sindacale e negoziare nei confini della legislazione vigente), con approssimativamente il 5% di rappresentanza ognuno dei comitati d’impresa, il sindacato nazionalista Basco ELA/STV che ha un 55% dei rappresentanti nella Regione Basca e il sindacato nazionalista gagliego Confederazione Sindacale Gagliego (CIG), con il 30 % dei rappresentanti nella regione galiziana.

[13] Gli attuali statuti della Confederazione Sindacale delle Commissioni Operaie mantengono i seguenti “principi nei quali si ispira il sindacalismo di nuovo tipo della C.S. della CC.OO.: Rivendicativo e di classe; Unitario; Democratico e Indipendente; Partecipativo e di massa; Sociopolitico; Internazionalista”. Inoltre continua affermando che “è orientato verso la soppressione della società capitalista e la costruzione di una società socialista e democratica”.

[14] Non solo si è ridotta al minimo la presenza dei quadri sindacali affiliati ai partiti della sinistra radicale, alcuni proveniente da gruppi maoisti, abbandonarono le Commissioni Operaie per costituire piccole piattaforme sindacali articolate nel CAES -Centro di Assessorato e Studi Sociali- e altri si integrarono nella CGT di orientamento libertario. Inoltre gli affiliati al Partito Comunista (o Sinistra Unita) sono attualmente la “corrente critica” di minoranza nella dirigenza delle CC.OO.