Nuovo movimento operaio e l’occupazione delle fabbriche in Argentina

Pablo Ghigliani

 [1]

Introduzione

Alla mobilitazione dei piquetero [2] e al sorgere delle assemblee dei quartieri si sono ora aggiunte le occupazioni delle fabbriche [3]. Circa 120 imprese si sono messe a produrre per i propri lavoratori. La notizia ha entusiasmato la sinistra non solo in Argentina ma anche all’estero. Pare che non vi siano dubbi sulla enorme importanza di questo processo. Però ... perché?

Una interpretazione del fenomeno scopre nel fatto concreto della occupazione e della produzione una serie di attributi, immediati o potenziali, che vanno ben al di là della coscienza sociale che i protagonisti hanno di tali attributi. Si tratta, in genere, della applicazione al caso Argentino della classica tesi dei consigli operaio. I suoi argomenti maggiormente menzionati sono: che le occupazioni delle fabbriche prefigurano una nuova società (oppure che appaiono in esse i germi del comunismo); che tramite l’opposizione di fatto al potere costituito emergono embrioni di doppio potere (o che servono come esperienza per una presa del potere statale); che confrontano il capitale come se fosse un fenomeno naturale e distruggono il mito della funzione sociale dell’imprenditore (o che siano necessari i padroni e i tecnici per far funzionare una unità produttiva); per ultimo, che l’appropriarsi dei mezzi di produzione pone in questione l’alienazione capitalista e la nozione stessa di proprietà privata [4].

È in queste interpretazioni automatiche che l’occupazione e la messa in produzione sono gli indicatori sufficienti di tutti gli attributi menzionati. Tuttavia, l’importanza dell’occupazione delle fabbriche in Argentina risiede realmente in questi attributi?

1. La fisionomia generale delle occupazioni

Anche se l’occupazione delle fabbriche è iniziata prima delle proteste e delle lotte popolari che hanno condotto nel dicembre del 2001 alle dimissioni del presidente De la Rua, la mobilizzazione sociale che è avvenuta dopo questi avvenimenti ha dato nuove energie al processo. Così, la risposta all’inasprirsi dell’ondata di licenziamenti e di chiusure delle fabbriche è stata in modo crescente l’occupazione delle fabbriche. Per di più la mobilizzazione sociale si è estesa alle fabbriche occupate, ai lavoratori disoccupati, ai piquetero e alle assemblee di quartiere, generando nuove forme di azione collettiva e consolidando la solidarietà tra di loro.

Un rapporto delle rivista Enfoques Alternativos calcola che tale processo, che coinvolge circa 10,000 lavoratori, comprenda una varia gamma di attività e di stabilimenti di diversa ampiezza (Gambina, 2003). Le occupazioni non si limitano al settore manifatturiero. Supermercati, fabbriche d’autobus e cliniche sono stati occupati dai lavoratori e messi in funzione. Tralasciando i casi particolari, il quadro generale è quello di piccole imprese, molte con tecnologia obsoleta, in cattive condizioni per la mancanza di manutenzione e lontano dai settori più dinamici del capitale. Secondo una ricerca dell’Università di Buenos Aires (UBA), conformemente ai dati delle 107 fabbriche recuperate dall’Agosto del 2000, l’ottanta per cento di esse ha una media di 38 operai e solo il rimanente venti per cento ha più di cento operai (Dandan, 2003).

Vi è una conformità d’opinioni generalizzata secondo la quale le occupazioni sono fino ad ora di carattere difensivo e provocate dalla chiusura avvenuta o imminente dello stabilimento. La stessa ricerca indica che nel 90% dei casi si trattava d’impresa in corso di fallimento (Dandan, 2003). In casi eccezionali, e con l’attiva partecipazione delle assemblee di quartiere, sono state occupate anche fabbriche che erano state chiuse da mesi e perfino da anni [5].

Una volta presa l’unità produttiva, si procede a organizzare la produzione attraverso la gestione operaia. Per far ciò, i lavoratori devono risolvere una serie di problemi operativi, in particolare l’approvvigionamento delle materie prime, la mancanza di credito, e la sopramenzionata mancanza di macchinari adeguati a causa del deterioramento e del progressivo svuotamento da parte degli imprenditori. In molti casi, il detonatore dell’occupazione è precisamente la constatazione da parte dei lavoratori in lotta che i padroni hanno incominciato a smantellare o a rimuovere i macchinari. Una volta incominciata la produzione, la sfida susseguente è costituita dalla commercializzazione della produzione.

Le occupazioni devono resistere continuamente a tentativi di evacuazione. Lo fanno appellandosi al potere giudiziario, negoziando con le amministrazioni provinciali o municipali e talvolta con la forza fisica. In quest’ultimo caso, studenti, assemblee di quartiere, operai di fabbriche occupate, organizzazioni di disoccupati, piquetero e gruppi e partiti politici di sinistra hanno partecipato, assieme ai lavoratori, allo scontro con le forze repressive.

Praticamente tutte le fabbriche occupate si sono organizzate come cooperative. Le uniche eccezioni sono costituite da Zanello, La Esperanza, Bruckman e Zanon [6].

Zanello è un caso particolare. Ha in questo momento 240 operai (quelli che la occuparono erano inizialmente 60), produce trattori, e fornisce l’ottanta per cento del mercato argentino. Si tratta di una società anonima di cui i lavoratori detengono il 33%. Il resto si divide tra il 33% di proprietà dei concessionari che hanno messo il capitale operativo e il 33% del personale gerarchico e superiore; l’uno per cento è dello stato municipale di Las Varillas, nella provincia di Cordoba. Frutto genuino della lotta dei suoi lavoratori, la sua forma di proprietà la distingue dal resto delle occupazioni. Ma non si distingue per i problemi che sorgono e che analizzeremo più sotto.

La ditta La Esperanza, che produce zucchero e alcool, si trova nel Nord Est Argentino, nella provincia del Jujuy. Vi lavorano circa 600 lavoratori, quelli che hanno deciso di occupare la fabbrica. Se ad essi aggiungiamo i lavoratori stagionali e del trasporto che lavorano durante la raccolta annuale, il numero dei lavoratori supera i duemila.

La produzione dello zucchero e lo sfruttamento brutale hanno una lunga storia nella regione. Ne La Esperanza si sono coltivate grandi estensioni di canna da zucchero fin dal secolo diciottesimo. Il suo nome attuale data dal 1883 in uno dei tanti cambi di forma di proprietà con la quale si è organizzata questa impresa. La sua forza lavoro è stata reclutata dal principio del secolo ventesimo tra la popolazione indigena. Prima, attraverso la violenza privata organizzata dei proprietari e poi attraverso la violenza pubblica e ‘civilizzatrice’ dell’esercito Argentino. Durante tutto il secolo passato, la produzione di zucchero nel Nord Est Argentino ha continuato ad essere sinonimo di un’autorità quasi feudale da parte dell’impresa, di forme di sfruttamento della forza lavoro che violano le regole borghesi, di enormi differenze di ricchezza e di importanti conflitti sociali [7].

Per la quantità di produzione, La Esperanza era tra i primi cinque stabilimenti durante tutta la decade degli anni 1980, essendo 23 le fabbriche di una certa importanza in Argentina. All’inizio degli anni ’90 è riuscita a collocarsi al terzo posto con una produzione superiore alle cento mila tonnellate (CAA, 2003).

A incominciare da questo punto, le relazioni industriali della fabbrica soffrono un progressivo e costante deterioramento. Dopo mesi di mancato pagamento dei salari e di peggioramento delle condizioni di lavoro, causato tra l’altro dal deplorevole stato delle attrezzature, gli operai e gli impiegati occupano la fabbrica agli inizi di settembre 1999, prendono in ostaggio i dirigenti dell’impresa, fanno fronte alla repressione e mettono in marcia la produzione della fabbrica con controllo operaio. Dopodiché, la Commissione di Lotta eletta in una assemblea e diretta dal CCC propone, tramite la Legge sui Fallimenti e come risoluzione legale del conflitto, la ‘amministrazione giudiziaria’ dell’impresa con controllo operaio sulle entrate e sulle spese. In questo modo, gli operai si liberano dei vecchi debiti e pongono come condizione che si saldi il debito salariale.

A partire da questo punto, la lotta continua con mobilitazioni, manifestazioni e blocchi stradali. Il loro fine era che si pagassero nuovi ritardi salariali. Tale pagamento è stato occasionalmente fatto grazie a apporti dello stato provinciale sotto forma di prestiti in cambio di ipoteche sui terreni della fabbrica [8]. Alla fine dell’ultimo anno, i lavoratori hanno dovuto occupare di nuovo la fabbrica richiedendo, questa volta senza un esito positivo, il pagamento degli arretrati (Alejandro, 2002). Durante la tappa che inizia nel 1999, la produzione media annuale della fabbrica cade a 53 mila tonnellate.

Dato che la ‘amministrazione giudiziaria’ poco per volta ha limitato e marginalizzato la portata effettiva del controllo operaio, questa strategia è stata considerata da vari settori della sinistra come inadeguata. Per la CCC, la ‘amministrazione giudiziaria’ era parte di una politica graduale. Per primo, permetteva che dopo la occupazione si assicurasse la continuità produttiva coinvolgendo allo stesso tempo lo stato provinciale. E in secondo luogo, assicurava che, una volta sotto la ‘amministrazione giudiziaria’, si approfondisse la lotta per impedire il trasferimento della fabbrica a nuovi proprietari richiedendo la statalizzazione dell’impresa sotto controllo operaio, permettendo, in questo caso, la partecipazione alla gestione di impresari e produttori locali (Aramayo, 2001). Tuttavia, fino ad ora, i risultati di questa strategia non sono stati incoraggianti [9].

Per ultimi, i due casi di Brukman e Zanon che hanno richiesto la statalizzazione della fabbrica con controllo operaio fin dall’inizio della occupazione, scartando ogni altro tipo di soluzione. Brukman è una fabbrica tessile che si trova nella Capitale federale e che occupa 54 lavoratori per la maggior parte donne. Zanon produce ceramiche, impiega circa 300 lavoratori e si trova nella provincia di Neuquen. Mentre proseguono le mobilitazioni, propagandando e richiedendo allo stato questa soluzione, gli operai di entrambe le fabbriche producono e commercializzano la produzione.

L’esistenza di questi cammini divergenti ha provocato un intenso dibattito su quale forma di gestione debbano assumere gli stabilimenti. La discussione si è focalizzata sulla scelta tra organizzazione cooperativa e statalizzazione con controllo operaio.

2. Cooperative o statalizzazione con controllo operaio?

In realtà, dietro questo dibattito si nascondono non due ma almeno quattro posizioni distinte, dato che nella difesa delle cooperative si trovano gruppi con orientamento diverso. L’attore principale è il Movimento Nazionale delle Imprese Recuperate (MNER). Formato nel 2001, il MNER raggruppa la maggior parte delle imprese occupate e domina il campo cooperativista grazie, in parte, all’appoggio concreto che offre ai lavoratori che scelgono questa soluzione. Questo movimento, all’insegna di “occupare, resistere e produrre” persegue politiche pubbliche che beneficiano le imprese occupate e facilitano la formazione di cooperative (Plou, 2002) [10]. Si insiste che il vantaggio di questa forma giuridica è che rende possibile l’accesso al credito e, con esso, allo sviluppo di imprese redditizie (Dandan, 2002). Il perno delle sue azioni è l’azione legale. Nella provincia di Buenos Aires hanno conseguito la espropriazione delle fabbriche fallite (utilizzando per questo la legge della espropriazione della terra) che sono state consegnate in comodato o in donazione ai lavoratori [11]. Ha anche presentato progetti di modifiche della legge sui fallimenti che privilegia i creditori piuttosto che i lavoratori, affinché i beni delle imprese fallite non siano liquidati ma dati per due anni ai loro operatori. Alla fine di questo termine, i lavoratori avrebbero la priorità per l’acquisto dell’unità produttiva (Heller, 2002, 2002c; Argenpress 2002). Per di più, il MNER ha accordi con l’Associazione di Piccole e Medie Imprese (APyME) e con la Università Tecnologica presso la quale cerca un appoggio tecnico per la formazione di personale amministrativo e di direttori d’impresa (Ribecchi, 2002). Le sue alleanze politiche comprendono membri dei partiti politici tradizionali, della burocrazia sindacale e della Chiesa cattolica, i quali hanno partecipato ai due incontri organizzati dal MNER. Questo movimento mette l’accento sulla necessità della occupazione pacifica, all’interno della legge e solo delle imprese fallite.

Tuttavia, dietro la soluzione cooperativistica vi sono due altri gruppi, anche se essi non riescono ad avere un’esistenza organica. Da una parte vi sono coloro che difendono un cooperativismo operaio fortemente impegnato nel campo delle lotte popolari, democratico e ugualitario. Difendono il progresso rappresentato dalla proprietà collettiva dei mezzi di produzione piuttosto che l’impresa capitalistica tipica. La grande maggioranza delle cooperative che si identificano con questi obiettivi si trovano all’interno del MNER dato che hanno problemi comuni, tra cui la minaccia dello sgombero e la necessità di accedere all’uso degli immobili e dei macchinari per via legale. In questo senso, il MNER offre l’appoggio legale e per di più la capacità di lobby legata alle sfere dello stato.

Dall’altro lato, partecipano a questo dibattito come corrente di opinione coloro che, più che optare per la soluzione cooperativistica come obiettivo programmatico, si oppongono alla statalizzazione da un punto di vista ideale dell’autogestione. Questi gruppi esprimono una forte opposizione a ogni ingerenza statale ed una non meno forte diffidenza verso le organizzazioni di partito, compresi i partiti della sinistra. Vedono nelle occupazioni lo stesso spirito di autonomia, orizzontalità, e democrazia diretta che scoprono nel MTD, in certe organizzazioni di piqueteros e nelle assemblee di quartiere [12].

La statalizzazione con controllo operaio è difesa, oltre che dalle fabbriche su menzionate, da diversi partiti della sinistra [13]. Essi criticano la soluzione cooperativistica per due ragioni principali. Primo, sostengono che questa forma di proprietà è in definitiva una forma specifica di proprietà privata sommersa in un mare di relazioni mercantili. Pertanto, continuano, non potrà scappare alla logica capitalista, in tal modo indebolendo ogni potenziale di alternativa al sistema. In secondo luogo, enumerano un insieme di problemi concreti che le cooperative devono affrontare, che derivano precisamente dalla concorrenza capitalista, e che discuteremo in dettaglio più sotto. Quindi propongono l’espropriazione e statalizzazione con controllo operaio delle imprese occupate, senza indennizzo per il capitale e rinnegando i debiti dei padroni. Esigono che lo stato garantisca gli investimenti tecnologici, il presupposto necessario per il funzionamento dell’impresa e per la risuscita della produzione orientata verso i bisogni sociali [14].

La posizione del MNER riguardo questo programma è stata una critica superficiale, congiunturale e opportunista dello stato. In sintesi, secondo il suo segretario, “non pare opportuno consegnare le imprese che abbiamo recuperato e messo in funzione a questo stato mafioso” (Dandan, 2002). Tuttavia, parallelamente lo stesso MNER chiede a questo stesso stato garanzie per lo sviluppo delle cooperative attraverso mezzi legislativi e canali di credito. Per questo, esso ricorre alle amministrazioni provinciali e municipali, stabilendo alleanze con settori della burocrazia statale e dei partiti politici che hanno fatto funzionare lo stato argentino fino al ritorno della democrazia.

D’altra parte, varie correnti della sinistra sono d’accordo che il carattere capitalista dello stato finirà per impedire la gestione e autonomia operaia e che un programma come questo corrisponde ad una concezione statalista della rivoluzione che deve essere abbandonata (Heller, 2002d; Gambina, 2003; Ribecchi, 2002) [15]. -----

3. La realtà diversa e contraddittoria delle cooperative

Le cooperative che si sono formate a partire dalle occupazioni hanno diversi destini ma anche comuni problemi. Per incominciare, tutte le cooperative devono far fronte inizialmente alla mancanza di capitale per poter comprare gli input e le materia prime. Quindi, l’impossibilità di comprare grandi quantità si ripercuote negativamente sui prezzi. Ancor peggio, a causa di tale difficoltà la maggior parte delle cooperative devono incominciare la produzione lavorando a ‘facon’ [16], dipendendo così dal capitalista che anticipa i fondi per comprare gli input o che apporta direttamente le materia prime necessarie per il processo produttivo (Dandan, 2003; Heller, 2002b). Secondo la ricerca della UBA a cui abbiamo riferito più sopra (Dandan, 2003), la maggior parte delle cooperative ha incominciato a combinare il ‘facon’ con una certa capitalizzazione autonoma. Tuttavia, l’estensione delle relazioni sociali di produzione espresse dalla pratica del ‘facon’, piuttosto che l’inizio della via verso il superamento del capitalismo, indicherebbero il ritorno a forme primitive di sfruttamento e di sviluppo protocapitalista.

In secondo luogo, vi è il problema dei debiti contratti. Ciò mette in pericolo il futuro economico delle imprese, conducendo i lavoratori ad aumentare il ritmo e le ore di lavoro e a ridurre i loro salari al minimo al fine di far fronte al pagamento dei debiti; e ciò nonostante il fatto che nel 70% dei casi - sempre secondo lo studio della UBA - si sarebbero raggiunti e superati i livelli di produzione precedenti (Dandan, 2003).

Un esempio è fornito da Zanello. Anche se non è una cooperativa, questo caso è utile perché viene considerato un riuscito recupero d’impresa che ha quadruplicato i posti di lavoro. Zanello ha firmato un accordo con il Banco de Córdoba (una banca di stato provinciale e principale creditore dell’impresa) per riscattare il debito che l’impresa ha con questa banca. La banca ha rinunciato ai diritti sugli immobili, per i quali Zanello pagava un affitto al giudice, mentre il governo provinciale ha rinunciato alla espropriazione. L’accordo prevede un pagamento iniziale di un milione di pesos e 60 quote mensili ad un interesse del 15% annuale, fissando la quota iniziale a 150 mila pesos. Questo ammontare equivale al salario mensile totale, che risulta dalla somma di 540 pesos che riceve ogni lavoratore. È importante sottolineare che questi salari sono sotto la linea di povertà (Heller, 2003)  [17].

Infine, la continua depressione delle attività economiche e la caduta verticale del consumo popolare si ripercuote severamente sulle cooperative. L’anarchia del mercato con la sua logica concorrenziale, la stessa che ha rovinato i proprietari di queste imprese, non fa distinzione tra i prodotti dell’egoismo capitalista e i frutti dello sforzo solidario dei nuovi proprietari collettivi.

Vari analisti sostengono che questi fattori starebbero conducendo in molte di queste imprese all’auto-sfruttamento dei lavoratori intrappolati tra la mancanza di capitale, il ritardo tecnologico, i debiti e le costrizioni del mercato (Heller, 2002b; Aguirre e Werner, 2002a).

Tuttavia, segnalare questi limiti non significa che non esistano casi di successi commerciali che fino ad ora hanno superato queste difficoltà. Per esempio, la cooperativa metallurgica Union y Fuerza ha assunto mano d’opera per far fronte ad una domanda superiore del 50% a quella precedente l’occupazione e “a due anni dalla riapertura hanno pagato crediti, ha comprato macchine, ha ampliato i locali... e, a identiche condizioni di lavoro, guadagnano quattro volte di più” (Dandan, 2003). Un altro caso è l’IMPA che produce imballaggi e carta di alluminio. È stata occupata inizialmente da 60 operai e oggi sono 130. Per di più, mentre gli ingegneri aziendali sostenevano che l’alluminio non si poteva recuperare e che bisognava comprarlo dall’azienda monopolistica ALUAR, attualmente il 100% della produzione dell’IMPA viene fatta con materiale riciclato, un re-ingegneria realizzata dagli stessi lavoratori [18].

Vi è un fattore fondamentale che spiega perché queste imprese, sia quelle di successo che quelle che si mantengono ad un livello di sussistenza, riescono a sopravvivere al mercato. Il 90% ha abolito i posti gerarchici, distribuendo i redditi in modo ugualitario (Dandan, 2003). In questo modo, oltre alla eliminazione del reddito netto del capitalista, si evita di pagare il lavoro improduttivo dei manager, dei rappresentanti e del personale gerarchico (Martínes-Voscos, 2002). Ciò aiuta a compensare il pronunciato ritardo tecnologico che caratterizza la maggior parte di tali imprese. Questo risparmio è importante perché, salvo eccezioni, si tratta di piccole imprese con entrate molto basse.

Vi è un lato oscuro in questo processo di formazione delle cooperative, ed è che al tempo stesso si sono trasformate in molti casi in un salvataggio del capitale, sia del proprietario che dei creditori. Le forme che hanno assunto sono varie e si combinano tra di loro.

Quella più comune è stata la indennità statale per l’espropriazione di imprese obsolete che erano destinate a fallire. Oppure gli interessi che lo stato paga ai creditori degli stabilimenti ceduti ai lavoratori per un periodo di due anni [19]. Un’altra è quando i lavoratori finiscono di pagare il debito padronale che rilevano come proprio nel formare la cooperativa [20]. Per ultimo, attraverso la valorizzazione degli attivi se l’impresa funziona grazie agli sforzi dei lavoratori che assumono per due anni il controllo prima del fallimento sotto la tutela del giudice e del sindaco. Una volta passati i due anni, i lavoratori ritornano a fronteggiarsi con i proprietari o con i creditori [21]. Per di più, supponendo che la cooperativa sia in grado di effettuare la compera, la supposta priorità che si accorda ai lavoratori alla fine di questi due anni non passa per adesso da una volontà che accompagna i decreti legislativi giacchè avrebbe bisogno di una approvazione parlamentare nazionale. Fino ad ora, tutto si è svolta a livello municipale e provinciale.

Questo quadro mette a nudo il doppio carattere del programma del MNER. Dall’ottica immediata delle migliaia di lavoratori che hanno trovato un modo di sopravvivenza di fronte alla chiusura della loro fonte di lavoro, tutta la critica pare pedante. E tuttavia è necessaria. Perché il MNER limita oggigiorno le occupazioni ad una instabile soluzione che non trascende la frontiera dei suoi protagonisti e che mette in forse il capitale solo quando fallisce o scappa. I suoi obiettivi di base sono le politiche pubbliche di impiego, specialmente il recupero di imprese e il credito per le stesse. Il suo modello, secondo i suoi dirigenti, si fonda su esperienze come le società anonime di lavoratori, sviluppate in Spagna da Felipe Gonzáles negli anni ’80 e che hanno permesso il recupero di migliaia di imprese (Granovsky, 2002). Mettono gli occhi sui milioni che lo stato trasferisce ai capitalisti e pensano a tutti i problemi che essi potrebbero risolvere con questo denaro. Tuttavia, quando il denaro che ricevono i capitalisti attraverso l’indennizzo o l’interesse statale è il prezzo che bisogna pagare per una nuova e incerta cooperativa, il MNER lascia i calcoli da un lato.

Per di più, anche se si accetta questa logica angusta, il punto focale del MNER nelle imprese fallite rimane al di fuori delle occupazioni provocate da licenziamenti di massa, svuotamenti, o semplicemente da occupazioni di fabbriche che non hanno ancora dichiarato il fallimento. Ignora, prima di tutto, che aspettare la dichiarazione di fallimento implica maggiori possibilità di svuotamenti delle fabbriche da parte dei padroni e, in secondo luogo, che si sottomettono gli operai, che desiderano formare una cooperativa, alla lentezza dei tempi legali [22].

Infine, quelle esperienze cha hanno avuto un successo commerciale - comprendendo quelle che hanno incominciato ad esportare la loro produzione - tendono ad essere assorbite completamente dalla logica mercantile. Su questa via, esse finiscono per concentrare tutti i loro sforzi sulla marcia della produzione, in tal modo alienandosi non solo da ogni programma popolare ma anche dalla solidarietà operaia con quelle cooperative che sono in condizioni precarie.

E qual è la posizione dello stato in tutto ciò? Le dichiarazioni del segretario dello Sviluppo Economico di Buenos Aires, dopo una timida espropriazione temporanea, sono cinicamente eloquenti: “è preferibile investire in macchine e in fonti di lavoro che in sussidi per disoccupati e buoni pasto”.

4. Il caso Zanon: il fiore all’occhiello della tesi consigliare [23]

Il caso di Zanon si evidenzia per la radicalità delle sue posizioni e per la dinamica della lotta che ha condotto alla presa della fabbrica. Il processo risale al conflitto che portò alla vittoria nelle elezioni per i delegati della commissione interna (CI) da parte di un gruppo di operai e che susseguentemente, in pieno conflitto con la direzione, terminò con la sostituzione della vecchia direzione burocratica della fabbrica di ceramica (SOECN).

La combinazione di repressione padronale e complicità sindacale rendevano la militanza di fabbrica a Zanon un compito difficile e rischioso. Perfino tiepidi intenzioni di creare una opposizione dovevano affrontare licenziamenti e minacce. Nel mezzo di questo clima sfavorevole, un pugno di lavoratori prese un cammino eterodosso, l’organizzazione di un torneo di calcio. Lì, tutti i fine settimana, lontano del controllo padronale, si è iniziato un processo di raggruppamento e di maturazione politica che ha portato alla prima assemblea (quelle stesse che erano mezzi di protesta e che erano proibite) e alla formazione di un gruppo di opposizione che susseguentemente vincerà la guida della CI.

La morte di un operaio in un incidente sul lavoro ha fatto da catalizzatore nel primo sciopero che nel luglio del 2000 ha paralizzato le attività della fabbrica per nove giorni. Al principio dell’anno seguente, alla domanda di sicurezza sul lavoro si sommano le proteste per il ritardo del pagamento della tredicesima. La risposta della impresa è stata l’apertura del procedimento di pagamento preferenziale dei creditori, la proposta di ritiri volontari e la minaccia di licenziamenti. Ciò ha condotto ad un nuovo aperto conflitto. La CI, già in mano alla lista di opposizione, riesce, attraverso un documento firmato da tutti i lavoratori della fabbrica, ad essere presente al Ministero del Lavoro, controllando così le negoziazioni per la conduzione dell’impresa. Questa esperienza finisce per rivelare i vaneggiamenti del SOECN e la sua complicità con il padronato e i funzionari del Ministero. Questo ha provocato uno sciopero generale di 34 giorni nei mesi di Maggio-Aprile del 2001. la modalità dello sciopero, all’unisono con le lotte dei piqueteros, comprendeva il blocco stradale e la presenza del MTD neuquino e di imprese della zona.

Infine, il conflitto si aggrava definitivamente quando il padronato spegne i forni, chiude la fabbrica e ferma la produzione. La CI fa un ricorso legale che riceve in principio un giudizio favorevole che obbliga il gruppo imprenditoriale a riaprire la fabbrica. Questa volta, la risposta è l’invio di 200 telegrammi di licenziamento. Gli operai decidono di occupare la fabbrica, riconnettono il gas, mettono in funzione 2 dei 5 forni, e iniziano la produzione con controllo operaio. Parallelamente, la CI estende i contatti ad altre fabbriche e vince le elezioni del settore del SOECN (Godoy e Blanco, 2002; Picchetti, 2002).

Tutte le decisioni del SOECN e della CI della Zanon sono prese in riunioni assembleari e in una maniera identica sono risolti i problemi dell’organizzazione della produzione. Un esempio sono state le assemblee tenute a proposito dei numerosi difetti di qualità registrati all’inizio. Inoltre, gli operai hanno votato coordinatori di produzione dei distinti settori che hanno riunioni congiunte con il SOECN e i delegati di fabbrica, e tutte le settimane viene dato agli operai un rapporto sopra la produzione e le vendite. Si sono organizzate anche “giornate di discussione della produzione” durante le quali si discutono onorari, servizi di guardia, regime interno, livelli di produzione, riposi e giornate libere. Infine, in queste giornate si discute la rotazione dei compiti, cosa che non è stata ancora messa in pratica (Martinez, 2002; Werner e Aguirre, 2002b).

Un fattore chiave è stata la politica di alleanze sociali condotta fino ad ora dagli operai di Zanon, tra le quali spiccano le azioni unitarie forgiate con il MTD Nenquino. Uno dei suoi risultati è stata l’assunzione nella fabbrica di 15 operai disoccupati durante il 2002 [24]. Al principio dello scorso marzo, Zanon ha incorporato ancora 20 lavoratori disoccupati (Zanon, 2003). In un’altra iniziativa congiunta con il MTD di Neuquén, si è portata a termine una sala dell’ospedale che lo stato aveva abbandonato in piena costruzione. Zanon ha messo i materiali e l’MTD la mano d’opera. A loro volta, gli infermieri e i medici dell’ospedale locale hanno provveduto le guardie sanitarie affinché la fabbrica funzionasse in modo sicuro. Allo stesso tempo, con l’obiettivo di estendere queste alleanze sociali e politiche, si è formato un coordinamento che raggruppa i distinti settori in lotta nella regione.

Tra le iniziative innovatrici con le quali si sviluppa la produzione, gli operai hanno disegnato due nuove serie di ceramiche, “El Obreo” e “Mapuche”. Quest’ultimo è un riconoscimento per le comunità indigene dei Mapuches, cacciate dalla voracità dei petrolieri, che hanno partecipato al conflitto portando argilla della loro terra come materia prima per la produzione di ceramiche (Hacher, 2002).

Assieme all’Università del Comahue, hanno elaborato un piano di lavoro per la fabbrica che attualmente sta funzionando per appena il 20% della sua capacità. La produzione è orientata verso un piano di opere pubbliche (a cui partecipò il MTD neuquino) che è stato presentato allo stato provinciale, primo per trovare una soluzione al problema edilizio che riguarda ospedali e scuole, secondo per combattere la mancanza di case di cui soffre la popolazione di Neuquén, e terzo per combattere i problemi urgenti della disoccupazione che affliggono migliaia di lavoratori edili (Zanon, 2002).

Il SOECN si è trasformato durante questo processo in un simbolo delle occupazioni e nella punta di lancia di coloro che difendono il programma di statalizzazione senza indennizzo e con controllo operaio di tutte le fabbriche occupate. Assieme ai lavoratori della Brukman, hanno realizzato tre incontri delle fabbriche occupate per discutere e propagandare questo programma. Essi hanno raggruppato non solo le fabbriche che sono a favore della espropriazione senza indennizzo ma anche un importante numero di organizzazioni piquetera, assemblee di quartiere, sindacati e raggruppamenti sindacali combattivi, raggruppamenti di studenti, e partiti politici di sinistra. -----

5. Prefigurazione del socialismo o di una “economia solidale?”

Abbiamo cercato di dimostrare che il paesaggio dell’occupazione non è omogeneo, presentando nei limiti del possibile abbondante materiale empirico. Le fabbriche occupate hanno diversi gradi di sviluppo e di struttura, hanno diverse difficoltà, e soprattutto perseguono distinte soluzioni, forme di proprietà e programmi politici.

Mentre la interpretazione consigliare sostiene che siamo di fronte ad una prefigurazione del socialismo, per un crescente settore di militanti popolari ciò che si prefigura sono i contorni di una nuova economia sociale, solidale, popolare o alternativa (Dandan, 2002, 2003; FSM, 2002; Bambina, 2003; Plou, 2002; Ribecchi, 2002). Questi militanti e le loro organizzazioni scoprono nella occupazione e nelle cooperative un nuovo sintomo della potenzialità dimostrata dalle micro-imprese produttive che conduce fin d’ora i MTD e le assemblee di quartiere con l’obiettivo di assicurarsi livelli minimi di sussistenza di fronte alla minaccia della disoccupazione, marginalizzazione e povertà. [25]

Senza che si consolidino in un progetto definitivo, emergono diverse proposte per lo sviluppo di una nuova economia [26]. Tra queste vi è anche il programma del MNER analizzato più sopra. Altre incorporano esplicitamente le piccole e medie imprese (PyMES) nel progetto, malgrado che le associazioni che si associano al PyMES siano stati gli attori principali della legge contro i diritti dei lavoratori in nome della flessibilità del lavoro. Non bisogna dimenticare che “la crescita del PyMES” come nuovo settore dinamico e creatore di lavoro è stata una componente ideologica centrale del discorso che ha sostenuto la riforma del lavoro nella metà degli anni novanta. Infine, per i gruppi autogestionari, si tratta semplicemente di sostenere l’espansione di queste esperienze popolari fino a quando questa crescita si trasformi in una alternativa anticapitalista.

Tuttavia, crediamo che sia necessario ripetere ancora una volta che non vi è economia solidale, popolare, sociale o alternativa nel capitalismo. Questa nuova economia non può essere l’orizzonte politico delle lotte sociali perché questa economia non esiste. La sua ambiguità concettuale è tale che è stato possibile che, accanto a vere iniziative popolari, siano fioriti vecchi programmi di difesa della industria nazionale, della piccola e media impresa, dei piccoli produttori rurali e dei piccoli commercianti, per ottenere protezione e credito.

Sostenere che questo ideale non può essere la meta del movimento sociale non significa respingere le iniziative di autogestione. Tutte le coordinazioni che rendono possibile la estensione e la riproduzione materiale delle iniziative popolari e le occupazioni delle fabbriche hanno un’importanza strategica e per questo sono benvenute. È un strategia per la riproduzione materiale e concreta di migliaia di essere umani sprofondati nella più terribile miseria o minacciati da essa, che non hanno nell’immediato futuro nessuna altra alternativa. Ed è anche benvenuta perché le organizzazioni popolari che sono riuscite a sfidare lo status quo in questi ultimi anni si sono affermate precisamente attraverso la lotta per la riappropriazione dello spazio di quartiere e del lavoro alla ricerca di condizioni minime di sussistenza. Anche la lotta per i piani di assistenza sociale concessi dallo stato ha avuto questo carattere. Il movimento piquetero si è rafforzato a partire dal relativo potere di supervisione che ha raggiunto su tutti questi piani di assistenza, molti dei quali sono stati trasformati nello sviluppo di iniziative di tipo comunitario [27].

Però in questi casi come nel movimento dei piqueteros possiamo osservare i risultati contradditori e ambivalenti di queste strategie, e lo stesso si può dire per le distinte traiettorie seguite dalle fabbriche occupate. Mentre alcune organizzazioni piquetere sono dirette verticalmente con pratiche clientelistiche e con una politica che mira più alle classi medie che al movimento operaio, altre organizzazioni si organizzano democraticamente, incoraggiano la formazione politica dei loro membri, hanno minato la struttura clientelistica dello stato e dei partiti tradizionali e si dirigono verso la classe operaia (Perazzi, 2002; Petroni, 2002). Mentre il MNER persegue una politica di alleanze con settori della burocrazia dello stato, nell’ambito della legalità e sottolineando che non è, né vuole essere, una minaccia per il capitale, altre organizzazioni tendono verso una politica di ampie alleanze sociali con i disoccupati, le assemblee di quartiere, i lavoratori in lotta, i sindacati e gruppi sindacali combattivi, rivendicando che i padroni non si indennizzano e che non si riconoscono i loro debiti.

6. Considerazioni finali

Siamo arrivati alla fine di questo articolo e non abbiamo risposto in nessuna forma esplicita alla domanda con cui lo abbiamo aperto: perché sono importanti le occupazioni? Per un attributo immanente che la sinistra argentina attribuisce alle occupazioni delle fabbriche?

Crediamo di no.

È vero che per molti militanti le occupazioni prefigurano una nuova società: l’economia popolare e alternativa. Ed è anche vero che essi mettono in dubbio la proprietà privata alla quale oppongono la proprietà collettiva delle cooperative. In relazione allo stato, più che con embrioni di doppio potere, il quadro generale è quello del puro e semplice pragmatismo: si ricorre ad esso cercando un appoggio legislativo mentre si fa fronte coraggiosamente al suo braccio armato di fronte a ciascun tentativo di sgombero. È probabile che essi contribuiscano una volta di più a dimostrare che i lavoratori possono produrre senza i padroni. Tuttavia, la supposta rilevanza ideologica che il mito della funzione sociale dell’imprenditore avrebbe nel capitalismo non è evidente e merita di essere dibattuta. Si può sostenere seriamente che è ampiamente accettato nella società che i lavoratori sono incapaci di produrre senza i padroni? È difficile. Quando i lavoratori riescono a produrre in maniera redditizia, lo fanno in maniera competitiva. Però questo è un altro problema, l’altro lato del quale è la debolezza ideologica dimostrata da molti promotori delle occupazioni che cercano difese produttiviste delle stesse senza rompere in tal modo con il corso della logica capitalista.

L’ansietà rivoluzionaria non è buona consigliera quando bisogna interpretare le realtà che dobbiamo trasformare se si rimpiazza l’analisi dell’insieme con quella dei casi particolari che ci entusiasmano. “Ottimismo della volontà, pessimismo dell’intelligenza” continua ad essere un buon consiglio. L’importanza delle occupazioni non è nella prefigurazione ideale, che è aliena all’orizzonte della grande maggioranza dei loro protagonisti e della loro conduzione delle occupazioni, ma nelle sue ripercussioni politiche concrete, anche quando queste possano sembrare modeste.

Prima di tutto, la nostra analisi dimostra che non c’è motivo di sperare nelle tradizionali burocrazie politiche che si annidano nello stato. Un esempio di ciò sono i limiti di quello che hanno offerto ai lavoratori tramite le pseudo-espropriazioni, l’assenza di qualsiasi appoggio finanziario alle cooperative nascenti, e gli sfacciati intenti di salvare un insieme di creditori e capitalisti che per il loro numero, potere politico, e rilevanza economica si meritano appena questo nome nel mondo contemporaneo.

In secondo luogo, le occupazioni, le esperienze di controllo operaio, e i dibattiti che ne scaturiscono, rivitalizzano vecchie aspirazioni e pratiche del movimento operaio. Per incominciare, reintroducono nuovamente nella scena argentina l’occupazione della fabbrica come una forma di lotta legittima. Per esempio, recentemente furono occupati per cinque giorni gli edifici della Telecom. Nella casa editrice Perfil furono evitati, con l’occupazione, i licenziamenti pianificati dall’impresa. E, l’anno passato, questa minaccia ha fatto retrocedere Parmalat e attualmente sta in agguato nella politica di licenziamenti della Renault. Per di più, sia nella forma maggioritaria dell’autogestione cooperativa, sia nella statalizzazione con controllo operaio (Zanon e Brukman), sia nel controllo e supervisione dei dirigenti (come nella YCRT, fino ad un certo punto La Esperanza, e le recenti proposte in Astilleros Río Santiago), migliaia di lavoratori hanno iniziato a discutere dei loro problemi in termini molto diversi da quelli degli anni ’90. Questo è un cambiamento qualitativo e l’obiettivo della sinistra dovrebbe essere quello di approfondirlo. Per ora, questa possibilità dipende dalla continuità delle esperienze più radicali - oggi minacciate dalle forze repressive - che sono quelle che sono riuscite a raggruppare e ad attrarre i lavoratori in lotta in liste sindacali combattive.

In terzo luogo, le occupazioni dimostrano una volta di più l’impatto che le azioni indipendenti intraprese dai lavoratori hanno sulle lotte popolari. Non esageriamo nella nostra analisi, al contrario. È il riconoscimento che i settori finora coinvolti in tale processo sono del tutto marginali al cuore dinamico del capitale, il che mostra la rilevanza di ogni lotta aperta di classe. Molto rapidamente, molte fabbriche occupate si sono trasformate in perni di organizzazioni e iniziative popolari e hanno raggruppato distinti settori in lotta. In tal modo hanno esteso gli spazi di militanza e politicizzazione che si stanno aprendo nell’Argentina dalla metà degli anni ’90 e che si sono moltiplicati dai giorni che posero fine al governo De la Rua. Grazie a ciò, un gruppo di fabbriche occupate è riuscito a tessere alleanze con piqueteros e assemblee di quartiere in maniera congiunta. L’unità dei distinti settori diventava una richiesta ricorrente delle organizzazioni del campo popolare. Anche se in forma limitata, debole o congiunturale, se questa aspirazione è cresciuta nell’anno passato ed è riuscita a tradursi in azioni comuni, è stato in parte per la direzione esercitata dai lavoratori più politicizzati delle occupazioni [28].

In fine, sono un segnale che mette in guardia il padronato. Non importa che molti capitalisti abbiano tratto vantaggio dalla situazione attraverso le diverse forme di salvataggio descritte; questo è un altro problema. Ciò che è importante dal punto di vista di un’analisi di classe è che l’esempio offerto dalle migliaia di lavoratori che non hanno abbandonato i loro posti di fronte alla chiusura delle fabbriche potrebbe essere seguito da altrettante migliaia se lo stato e la borghesia non invertono il processo tramite la sua integrazione, il suo strangolamento economico o la sua sconfitta. Tutte queste alternative di smobilizzazione sono in corso.

L’integrazione si materializza nel flirtare dei funzionari pubblici con il programma del MNER. Tuttavia, questa è un’alternativa con seri limiti perché, nel mezzo della crisi economica argentina, non è possibile né un modello Spagnolo néil recupero massiccio delle imprese. I successi del MNER sono deboli come è dimostrato dalle espropriazioni transitorie; la proroga concessa a Unión y Fuerza pospone solamente il problema. Non lo risolve, né scoraggia future occupazioni.

Neanche lo strangolamento economico è un semplice cammino dato che, di fronte alla prospettiva della disoccupazione, anche i minimi livelli di sussistenza giustificano agli occhi dei lavoratori la continuazione della lotta.

Questi limiti alimentano la volontà di disarmare il polo più combattivo. Come abbiamo appena menzionato, la repressione pende una volta in più sulla testa di Zanon e Brukman sotto la forma di ordini giudiziari di evacuazione. Il programma di questo polo potrebbe diventare più attraente e rafforzarsi di fronte al fallimento delle espropriazioni temporanee o al fallimento delle cooperative più deboli. Lo stato avrebbe concesso una proroga a Unión y Fuerza se non vi fossero state queste esperienze con il loro potenziale di mobilizzazione e direzione? È impossibile rispondere a questa domanda, però almeno vale la pena di formularla. Il futuro di tutto il processo pare dipendere in gran parte dalla capacità di resistere alle evacuazioni. Ciò metterà alla prova la forza delle alleanze politiche e sociali costruite attorno alle occupazioni. Una volta di più, bisogna lamentare il fatto che continua a mancare all’appuntamento l’appoggio attivo e decisivo delle centrali operaie nazionali. Una volta di più, bisogna lamentare il fatto che i partiti della sinistra coinvolti nelle occupazioni danno lezioni grandiloquenti mentre si danno a litigi insignificanti. Nel frattempo, il momento delle repressione si avvicina, per lo meno per la Zanon e per la Brukman.

Appendice, 8 Maggio, 2003

Dopo aver scritto quest’articolo, all’alba di venerdì 18 Aprile, 2003, 200 poliziotti hanno sgombrato i cinque lavoratori tessili che erano in quel momento di guardia alla Brukman. L’ordine di evacuazione non prevedeva solo uno stretto segreto del procedimento legale, ma raccomandava anche compiti di spionaggio preliminare e si basava su uno sbaglio messo in evidenza tra le righe, che “non vi è supremazia della vita e della integrità fisica di fronte agli interessi economici”, almeno quando si tratta degli interessi economici dei capitalisti.

In seguito all’evizione, ci sono state ampie e immediate dimostrazioni di attiva solidarietà con i 54 lavoratori della Brukman. In poche ore, si sono raggruppate di fronte alla fabbrica più di 4000 persone convocate da diverse organizzazioni. Le manifestazioni di solidarietà sono continuate per tutto il fine settimana e vi sono state trattative per il ritiro della polizia, come passo preliminare a qualsiasi negoziazione con il Ministero del Lavoro e i vecchi proprietari. Tuttavia, di fronte alla reazione popolare, la presenza poliziesca è stata fortemente rafforzata. Il lunedì 21, una nuova mobilitazione ha convocato più di 7.000 manifestanti mentre parallelamente si approfondivano le iniziative tendenti ad una riduzione della tensione. Caduta la sera e di fronte alla mancanza di risposte, gli operai hanno deciso di entrare nella fabbrica dalla quale erano stati evacuati quattro giorni prima e hanno iniziato a marciare verso le sua porte. Questo è stato l’inizio di una feroce repressione.

Spiegare la repressione con l’intenzione di entrare in fabbrica sarebbe come spiegare la Prima Guerra Mondiale con l’attentato di Sarajevo. Che la repressione sia stata pianificato indipendentemente dall’intenzione di recuperare la fabbrica è dimostrato dalla partita di caccia ai manifestanti che ha avuto luogo su un’estensione di 30 caseggiati e da diversi fronti con forze di fanteria, polizia, cani, moto, polizia stradale, e carri armati d’assalto. Neppure l’ospedale infantile Garraham, dove molti feriti e manifestanti hanno cercato rifugio, è stato risparmiato dalla polizia che ha attaccato l’edificio sparando lacrimogeni e pallottole di gomma. A solo una settimana dalle elezioni presidenziali, questa è stata la brutale dimostrazione di forza e di volontà politica della burocrazia statale e un messaggio tanto all’establishment quanto al movimento sociale.

Abbiamo detto alla fine dell’articolo che l’appoggio attivo delle centrali operaie nazionali è stato manifestamente assente durante le occupazioni; deplorevolmente, ha continuato ad essere assente in questo momento cruciale. Abbiamo anche detto che le organizzazioni di sinistra si lanciavano in lezioni grandiloquenti mentre bisticciavano per cose inutili; purtroppo hanno continuato nei loro tic e nello loro pratiche. Tuttavia, a differenza delle centrali operaie, i partiti di sinistra sono stati presenti come lo sono stati durnate tutta l’evoluzione delle occupazioni, opponendosi alla repressione assieme ai lavoratori di altre fabbriche occupate, piquetero, organizzazioni per i diritti umani, assemblee di quartiere, e gruppi di studenti.

Lo sgombero della Brukman conferma una volta di più che il vigore dimostrato da ampi settori del movimento sociale sul piano micro-sociale (soprattutto nei quartieri ma anche nelle occupazioni) riesce a raggiungere alti livelli di mobilitazione ma che non riesce a raggiungere un grado significativo di articolazione e unificazione politica. Per di più, e ancora più sorprendentemente, che non c’era alcuna strategia per affrontare quella che era semplicemente una questione di tempo, cioè il terzo tentativo di evizione.

Anche se ferita a morte, la lotta dei lavoratori della Brukman prosegue in tutti i modi con l’obiettivo di occupare di nuovo la fabbrica e metterla in moto con controllo operaio. Esprimo qui la mia solidarietà con la loro lotta.

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[1] Ringrazio Juan Grigera e Marcelo Raimundo per i loro commenti critici.

[2] Nota del traduttore: le organizzazioni dei piquetero sono organizzazioni di base il cui modo principale di lotta è il blocco stradale. Le loro rivendicazioni sono varie, tra cui l’assistenza sociale. In totale, queste organizzazioni dirigono circa 145,000 piani assistenziali al mese. I loro membri sono disoccupati e abitanti di quartiere poveri, con una grossa presenza di donne. Si calcola che esistano tra i 150,000 e 200,000 piquetero organizzati.

[3] Secondo dei criteri quantitativi (quantità dei militanti, piani di assistenza sociale amministrati e presenza sul territorio) possiamo dividere la mappa dei piquetero in tre parti (Perazzi, 2002). Primo, le organizzazioni più importanti sarebbero la Federacion de Tierra Vivienda che si integra nella Confederacion de Trabajadores Argentinos (FTV-CTA) e la Corrente Clasista y Combativa (CCC). Secondo, il Bloque Piquetero Nacional (BPN) integrato nel Polo Obrero (PO) (il più importante dentro il Bloque secondo questi criteri), il Movimento Teresa Rodriguez (MTR), la Federacion de Trabajadores Combativos (FTC), la Coordinadora de Unidad barrial (CUBA) e il Movimento Territorial de Liberacion ((MTL). Per ultima, la Coordinadora de Trabajadores Desocupados ‘Anibal Veron’ (CTD-AV) che si distingue per il modo particolare con cui combina la auto-organizzazione (che include imprese produttive) con la preoccupazione per i compiti di formazione politica e di formazione entro i principi della orizzontalità , autonomia, partecipazione e democrazia diretta, che sono la base del suo programma anticapitalista (FSM, 2002). A questo quadro dobbiamo aggiungere il Movimento Barrios de Pie (MBP) che si è staccato dal FTV-CTA però senza rompere con la CTA. Per quanto riguarda le assemblee di quartiere, non c’è da essere allegri per quanto riguarda la sua la loro attualità in quanto molte sono sparite e quelle che sono rimaste sono indebolite. Tuttavia hanno partecipato per tutto il 2002 alla difesa delle fabbriche occupate e sicuramente la prossima ondata di mobilitazione le vedrà tra i suoi protagonisti.

[4] Una o più di queste tesi appaiono, con differenti livelli di analisi, in Aguirre-Feijoo (2002); Heller (2002b, 2002d); Lucita (2002); Martinez (2002); Petras (2002); Petras e Veltemyer (2002); Pichetti (2002); PS (2002); Santana (2002); Werner-Aguirre (2002a, 2002b).

[5] Un esempio: la Panificadora 5, l’attuale Cooperativa ‘El Aguante’, chiusa nell’Ottobre del 2001 e occupata nell’Aprile dell’anno seguente con l’appoggio delle assemblee di quartiere. Un caso particolare: quello della Clinica Portuguesa, occupata da un’assemblea di quartiere dopo sei anni con l’obiettivo di lanciare un’attività sociale per i lavoratori delle fabbriche occupate. Un ultimo esempio: l’occupazione della fabbrica di alimentari farinacei Sasetru il 30 di gennaio, e che fu evacuata dalle forze della polizia.

[6] Dobbiamo aggiungere a questo quadro l’esperienza di Yacimientos Carboniferos de Rio Turbio (YCRT) che non appare nel rapporto di Enfoques Alternativos citato da Gambina (2003) e che è ignorata da numerose analisi. YCRT è una miniera di carbone situata nel sud dell’Argentina che dà occupazione a 1100 lavoratori. Fu rilasciata in concessione nel 1944 e rinazionalizzata dopo intense lotte che compresero l’occupazione non solo della miniera ma anche della sede legislativa provinciale - pere tutta una settimana - a causa del ritardo del pagamento dei salari. Il programma della sezione sindacale che guida la lotta comprende la nazionalizzazione dei giacimenti e il controllo operaio della supervisione del processo produttivo e della gestione e dell’amministrazione della miniera (Cresto, 2002; Negro, 2002).

[7] Vi è una vecchia leggenda, quella di “El Familiar”, che circola tra gli indigeni del Nord Est. Secondo questa leggenda, i padroni avevano fatto un patto con il diavolo, “El Familiar”, a cui davano alloggio nella cantina e a cui davano da mangiare tutti gli anni un contadino che ovviamente spariva. Un lavoratore che aveva sentito di questa faccenda, riceve l’ordine di andare in cantina per cercare dei ferri. Messo in guardia dalle dicerie, va quindi con una croce appesa al petto e con un cucchiaio col manico fatto a croce. Armato di croce e cucchiaio, riesce a far fronte al diavolo e a scappare. Si racconta che i padroni abbiano pagato a questo contadino una buona somma di denaro perché egli non raccontasse nulla e lasciasse la fabbrica. Leggenda premonitrice della lotta di decine di operai dello zucchero spariti durante la dittatura (1976-1983) e della attuale complicità di certe dirigenze sindacali.

[8] L’ipoteca sui terreni della fabbrica non è un dato minore. I suoi 64,000 ettari costituiscono il secondo latifondo della provincia. Il governo ha grandi interessi nell’autorizzare questa transazione e ha già ricevuto alcune offerte. Su questi terreni esistono vari insediamenti, inclusi quelli degli stessi lavoratori dello zucchero che lavorano durante la raccolta.

[9] Le relazioni sociali di produzione nella fabbrica sono diverse e complesse. Dopo aver rimpiazzato i proprietari con la ‘amministrazione giudiziaria’, diventa difficile amalgamare, in una politica comune, gli interessi degli operai e impiegati salariati a tempo indeterminato nella fabbrica, dei lavoratori che raccolgono la canna annualmente, dei trasportatori (sia salariati che autonomi) e dei piccolo produttori indipendenti che partecipano alla raccolta e che a loro volta impiegano forza lavoro.

[10] Le imprese raggruppate nel MNER sarebbero 50 secondo Dandan (2002), 60 secondo Zibecchi (20002), 80 secondo Argenpress (2002), 100 secondo Plou (2002).

[11] Alla fine del 2002 vi erano 21 espropriazioni con questo carattere (di esse, una si effettuò nel 2000 e 3 nel 2001).

[12] Si tratta di un gruppo completamente eterogeneo e dalle frontiere confuse. Arrivano dalla tradizione dell’autonomismo italiano però attraverso il filtro di Open Marxism e in particolare della produzione teorica di Holloway (2002), ampiamente diffusa in Argentina. Ne fanno parte dei militanti di distinti MTD integrati nella CTD-AV, fino a, paradossalmente, Autodeterminacion y Libertade il suo discusso Luis Zamorra. Nel mezzo si trovano diversi gruppi di ricerca, redazioni indipendenti, gruppi di studenti, gruppi di autogestione, ecc.

[13] Tra cui il Partido de Trabajadores por el Socialismo (PTS), il Movimiento Socialistde los Trabajadores (MST), e la Union Socialista de los Trabajadores (UST). Difficile da collocare nel quadro generale, il Partido Obrero (PO) propone la espropriazione senza indennizzo e la gestione operaia, si oppone alla statalizzazione che definisce ‘capitalista’, propone di trasformare queste fabbriche in fornitrici privilegiate dello stato, si oppone alla illusione di fabbriche autogestite in mezzo al mercato capitalista, propone una centrale unica di imprese occupate sotto gestione operaia. Una prova fantastica di acrobatismo rivoluzionario.

[14] Un’idea più dettagliata di questa posizione si può ottenere attraverso la lettura su Internet del Proyecto de Ley per la statalizzazione di Zanon presentato nella legislature della provincia di Neunquén.

[15] Recentemente il EDI (2003) si è accodato a questo dibattito con una proposta il cui scopo è di superare entrambe le posizioni. Riconoscendo sia la debolezza della soluzione cooperativista che la difficoltà politica della statalizzazione con controllo operaio delle piccolo imprese, che la maggioranza delle popolazione non vede come un patrimonio pubblico, propone una figura legale specifica che da un lato acceleri il passaggio di proprietà, socializzi la gestione, e restringa la pertinenza delle imprese ai loro lavoratori; e dall’altro lato, rigetti i diritti sul capitale accumulato, obblighi a reinvestire i profitti nel capitale e implichi la distribuzione dei dividendi.

[16] Nota del traduttore: questo termine indica che le materie prime, o in genere gli input, sono anticipati da coloro che ordinano le merci.

[17] Un euro equivale oggi a 3,30 pesos argentini. Il paniere di base (e limite della linea della povertà) è di 726 pesos argentini. Altri esempi: Yaguanè, che ha pagato dal 1997 più di tre milioni di pesos per un debito che supera gli ottanta milioni di dollari. Il suo presidente ha dichiarato in un’intervista rilasciata alla rivista Tres Puntos: “Sappiamo che ci stiamo facendo carico di un debito milionario e non di una fabbrica”. Oppure La Baskonia e il suo debito di 9 milioni di dollari.

[18] All’IMPA guadagnano tutti lo stesso, tra i 750 e gli 800 pesos. Si noto che questo reddito supera appena la linea della povertà. A Zanon, un caso che analizzeremo più sotto, gli operai si sono dati un salario di 800 pesos. Nell’Argentina di oggi, non far parte statisticamente dei poveri è un criterio, più che giustificato, di successo delle lotte popolari. Nell’Uniony Fuerza, un caso modello, il salario sia aggira attorno ai 1500 pesos.

[19] Nel caso di Ghelco Y Chilavert, il governo deve pagare ai proprietari e ai creditori un interesse per due anni. Dopo due anni, i proprietari disporranno nuovamente dei loro beni.

[20] Come nel caso sopra menzionato di Zanello, La Boskonia e Yaguané. Un caso particolare è Polimex. I lavoratori accettarono l’indennizzo in cambio di azioni e ora si trovano a dover far fronte ai debiti ereditati (Aguirre-Feijoo, 2002).

[21] È il,caso della Union y Fuerza. Dopo i due anni, l’espropriazione definitive a loro favore non si compì e la cooperative fu obbligata a comprare le installazioni e gli immobili (Heller, 2002b). Infine si rinnovò il possesso per ancora due anni.

[22] Acrow è un esempio del primo caso e La Baskobya, occupata dai lavoratori senza ricevere un solo peso per sei mesi e senza poter produrre per impedimenti legali, è un esempio del secondo caso.

[23] Mentre scrivo, la giustizia provinciale ha ordinate lo sgombero. Con ciò, la minaccia di una repressione pende di nuovo sui lavoratori della Zanon che hanno dichiarato che resisteranno fino all’ultima conseguenza. Diverse organizzazioni hanno dichiarato il loro appoggio e sono disposte, assieme agli operai, a resistere al braccio armato dello stato neuquino. Esprimo fin d’ora la mia più completa solidarietà con la lotta dei lavoratori della Zanon.

[24] L’influenza che il PTS ha tanto nella Zanon quanto nel MTD di Neuquén ha facilitato il successo di tale politica. Per altri aspetti ha facilitato le divisioni inutili. I posti offerti erano 10. Il MTD di Neuquén ne ricevette 5 e decise di raddoppiarli incorporando 10 membri nella Zanon. Gli altri 5 posti furono per il PO, l’MTR, e l’MPB (Nuestra Lucha, 2002).

[25] Per altri, ciò che si prefigura è il modello conosciuto in Europa come cluster. Questo sarebbe il caso almeno del Siam i cui consiglieri subaffittano il terreno a piccolo imprese di prodotti complementari. In tal modo, ammortizzano con l’affitto i propri costi puntando allo stesso tempo sul muto rafforzamento tramite i vincoli dei propri processi produttivi.

[26] Ciò comprende due Incontri di Economia Solidaria in un ex-bar occupato dai vicini che hanno organizzato assieme ad altre assemblee di quartiere una mensa popolare e una cooperative che vende pane e latte a mense popolari e vicini.

[27] L’importanza materiale e concreta di questo tipo di iniziative autogestonarie si può apprezzare meglio alla luce di alcuni dati fondamentali. Il 57.5% della popolazione argentina vive al di sotto della linea della povertà, il 24% al di sotto della linea di indigenza, la disoccupazione è salita al 20% e la sottooccupazione al 22%. Pertanto, l’importanza politica della appropriazione dei mezzi attraverso l’autogestione e all’interno dei piani sociali gestiti dai piquetero può dedursi dalle condizioni che il BID ha posto per finanziare i future aiuti sociali: congelare la soma di ciascun piano a 150 pesos, riduzione degli stessi a 150,000, e il passaggio del loro controllo ai funzionari della banca. Cioè, toglierli dalle mani dei piquetero.

[28] L’importanza della dimensione politica delle occupazioni è enfatizzata dal collettivo Taller de Estudios Laborales (TEL) che ha messo in evidenza, nel mezzo della ondata piquetera, che non si rovescerà la l’attuale sfavorevole relazione di forza se non si incorporano decisamente nella lotta i lavoratori salariati e le loro organizzazioni (AA.VV. 2002; FSM, 2002); Martínez e Voscos, 2002).