Le traiettorie del sindacalismo brasiliano

Brasília Carlos Ferreira

Introduzione

Il movimento associativo dei lavoratori nasce in Brasile all’inizio del secolo e sin da allora è caratterizzato da discontinuità temporale e asimmetria geografica. Storicamente la dinamica del processo d’industrializzazione ha portato alla concentrazione di classi di lavoratori in determinate regioni influenzando direttamente la composizione del panorama sindacale del paese. A periodi d’intensa attività del movimento sindacale si sono alternati momenti di contrazione organizzativa, conseguenza soprattutto di regimi autoritari. Da ciò s’intuisce la coesistenza di un sindacalismo combattivo con pratiche sindacali d’assistenzialismo, dai connotati dell’ufficialità o puramente burocratici. Questa grande diversità rende difficoltoso definire il sindacalismo brasiliano e ci spinge ad evitare generalizzazioni affrettate che, oltre a trascurare le differenze, comporterebbero il rischio di produrre analisi che non agevolano affatto la comprensione del fenomeno sindacale brasiliano.

In questo articolo intendo sottolineare le congiunture più significative vissute dal movimento sindacale brasiliano, in modo da evidenziarne la diversità interna e le sue specificità. Soltanto evidenziando le differenze sarà possibile, tutto sommato, far emergere i suoi punti di forza e percepire le sue tendenze. Come filo conduttore delle traiettorie del movimento sindacale brasiliano utilizzeremo la legislazione sindacale, strumento privilegiato per la percezione delle sue matrici costitutive e parametro fondamentale per la comprensione delle differenti posizioni assunte dai principali protagonisti.

1. Dal Libero Sindacalismo alla Repressione Sindacale

I primi sindacati sorgono in Brasile alla fine del secolo passato, spesso influenzati dall’esperienza organizzativa apportata nel Paese dagli emigranti europei. La formazione della classe lavoratrice brasiliana è segnata da un “peccato originale”: la presenza contemporanea nelle fabbriche del lavoro libero e del lavoro coercitivo dello schiavo. La schiavitù è abolita soltanto nel 1888. Questo marchio d’origine avrà ripercussioni decisive sulla conformazione del lavoro nella società brasiliana.

L’associazionismo della fine del secolo XIX e della prima decade del XX si esprime anche sottoforma di società previdenziali, unioni operaie e associazioni di varia denominazione e a carattere prevalentemente assistenziale. I primi testi giuridici di regolamentazione del lavoro, non entrano in vigore in tutti i paesi, poiché la loro valenza è spesso limitata allo stato della federazione o alla categoria ai quali è rivolta.

Fino agli anni ‘30 i sindacati erano stati liberi, autonomi e indipendenti dallo Stato. Era compito dei lavoratori definire la forma della loro organizzazione, i criteri d’adesione e le modalità di funzionamento. Nel marzo del 1931, nel contesto della Rivoluzione del 1930 che aveva portato Getulio Vargas al potere, viene promulgato il Decreto 19.770, la legge della Sindacalizzazione. Joaquin Pimenta; uno degli autori afferma che il Decreto “fu una specie di carta costituzionale che, poiché ripristinava e garantiva il diritto d’associazione dei lavoratori, ampliava il modello tradizionale di sindacato che, aldilà dell’istituzione, il cui statuto era basato anche sulle norme del diritto privato, forniva un contributo ulteriore allo Stato nella soluzione di problemi direttamente legati agli interessi di classe” (Pimenta, 1949, p. 189).

La legislazione sindacale formalizzata dal governo Vargas s’ispirava alla Carta del Lavoro italiana. In conformità al suo marchio corporativistico, cercava di ridurre i conflitti sociali intrinseci alla relazione capitale-lavoro, definendo i due settori complementari. In termini legali la struttura sindacale si caratterizza per i suoi principi d’unicità sindacale, organizzazione in rami d’attività e subordinazione allo Stato. Il decreto definiva la creazione di un sindacato su base territoriale e per categoria professionale, in una struttura dove ogni settore d’attività poteva comunicare con i suoi simili soltanto verticalmente, non essendo permessa la creazione di una struttura intersindacale. In termini visivi possiamo pensare ad una figura piramidale così rappresentata: un Sindacato con base locale, una Federazione con base regionale e una Confederazione con base nazionale che riuniscono lavoratori di uno stesso ramo d’attività. In cima alla piramide lo Stato, attraverso il Ministero del Lavoro, forniva i presupposti materiali per l’esistenza dei sindacati, con la trattenuta per l’imposta sindacale, e definiva al tempo stesso i limiti della sua azione.

Il panorama sindacale brasiliano è profondamente alterato dalla Legge sulla Sindacalizzazione. In termini legali, i sindacati passano da figure di diritto privato a figure di diritto pubblico, integrate nel dispositivo statale dall’imposta sindacale. La fondazione d’entità sindacali è subordinata alla copertura dei requisiti definiti dal Ministero del Lavoro, preposto alla promulgazione della Carta Sindacale, strumento legale d’espressione dell’atto di creazione dei sindacati. Le istituzioni dei lavoratori riservano allo Stato la funzione d’arbitro, svuotando il potenziale conflittuale che caratterizzava la relazione capitale-lavoro e trasferendolo nell’ambito della giustizia nel lavoro. Il perno fondamentale della nuova legislazione è l’incorporazione subordinata dei lavoratori allo spazio pubblico.

Nello stesso periodo nasce la legislazione sociale che, come la legislazione sindacale, entra in vigore su tutto il territorio nazionale,. “Soltanto durante l’anno 1931 furono elaborate sei proposte di leggi sociali (Horário de Trabalho; Regulamentação do Trabalho Feminino e do Trabalho de Menores; Convenções Coletivas de Trabalho; Juntas de Conciliação e Julgamento e Salário Mínimo) e furono promulgate due leggi - quella sulla Sindacalizzazione e quella sulla Nazionalizzazione del Lavoro” (Gomes, 1979, p.224). In termini economico-sociali lo Stato passa a regolare il costo della rigenerazione della forza lavoro attraverso il Salario Minimo, mentre sul piano politico cerca di controllare le forme d’inserimento di questi nuovi protagonisti sociali.

La promulgazione della legislazione sociale passa alla storia ufficiale come una “donazione” del governo Vargas, sebbene le risoluzioni legali rispondessero alle richieste storiche dei lavoratori, espresse durante la Prima Repubblica con rivendicazioni e scioperi (1889-1930). D’altro canto, il governo definiva norme e condizioni per l’accesso ai diritti, estromettendo da questi i lavoratori associati a sindacati non ufficializzati dallo Stato. Pertanto, il decreto di sindacalizzazione associato ai decreti che fornivano le norme della legislazione sociale, per assicurare il diritto d’associazione e rappresentazione dei lavoratori, definisce anche le condizioni di accesso a questi diritti e, in ultima istanza, i limiti dell’accesso alla cittadinanza per la popolazione lavoratrice.

Di fronte al movimento associativo la Legge sulla Sindacalizzazione rappresenta un paradosso: infatti, nel momento stesso in cui elimina la libertà d’organizzazione, l’indipendenza e l’autonomia dei sindacati, questa legislazione rende però possibile l’organizzazione sindacale dei lavoratori, fino ad allora ostacolata dall’intolleranza dei padroni e dall’intensa repressione esercitata. Le frazioni senza esperienza organizzativa invocano la legalità affinché il governo fornisca al sindacato i mezzi per affrontare la resistenza dei padroni. Da parte loro i vecchi sindacati che rifiutano l’ufficializzazione di fronte allo Stato, cercano di attrarre nuovi aderenti e adoperarsi per ottenere, con organismi soggetti alle norme ufficiali, l’adesione dei lavoratori.

Tuttavia la legislazione in vigore con il Decreto Sindacale non assicura, di fatto, ai lavoratori il diritto all’organizzazione, che continua ad essere oggetto di repressione da parte del patronato, recalcitrante all’applicazione della legislazione sociale considerata un’intromissione dello Stato nei propri affari privati. L’esigenza riconosciuta dal Ministero del Lavoro di fornire sistematicamente informazioni uniformi a livello nazionale sulle imprese, comporta delle abitudini amministrative viste dal patronato come una perdita di tempo. L’impresa di quel periodo registra numerose denuncie di lavoratori ai quali l’impresario rifiuta il rispetto delle leggi sociali e sindacali (Ferriera, 2000).

Nel contesto di un riassetto delle forze politiche negli anni ‘30, i lavoratori utilizzano le entità sindacali come strumento di lotta per rivendicazioni che vanno oltre l’universo manifatturiero. Attraverso i sindacati esprimono le loro rivendicazioni per l’ottenimento di scuole, abitazioni decenti, riserve d’acqua e posti di lavoro sicuri. Richieste si basano sulla nozione dei diritti propri di una cittadinanza in costruzione. Questa pratica evidenzia la tensione interna nella costruzione della cittadinanza come risultato dell’accostamento di due progetti: l’attribuzione di una cittadinanza definita nei suoi limiti dallo Stato e lo shock del tentativo dei lavoratori di diventare cittadini oltre ogni limite d’attribuzione e di tutela.

Paradossalmente in questo periodo insieme allo scossone generato da questa legge si registra anche la formazione d’entità intersindacali orizzontali. Le entità intersindacali, anch’esse non autorizzate dalla legge, sono utilizzate dai sindacati per ottenere credito nella lotta interna al movimento. L’inesistenza in un primo momento, di una attività repressiva del governo contro le entità non ufficiali favorisce la grande eterogeneità delle organizzazioni associative. Ciò permette la coesistenza di sindacati ufficiali, sindacati indipendenti e intersindacati, dove in molti casi le entità preesistenti, come le leghe, le unioni e le associazioni, avevano una composizione interna molto varia (Ferriera, 1997).

Pertanto il processo di adeguamento delle entità sindacali al modello ufficiale avviene gradualmente. All’inizio, i sindacati indipendenti intensificano le loro strategie organizzative in maniera da competere con i sindacati ufficiali e ottenere una maggiore legittimità all’interno della classe lavoratrice. Ma poi, in considerazione del fatto che l’accesso ai diritti sociali era riservato ai soli lavoratori vincolati alle entità riconosciute dal Ministero del Lavoro, l’affiliazione o la permanenza dei lavoratori in questi era molto difficile. Il movimento sindacale si rende conto che non si tratta più di conquistare legittimità all’interno della classe lavoratrice, ma di accedere alla legalità di fronte allo Stato. Questa legalità gli avrebbe permesso di acquisire il monopolio della rappresentanza dei lavoratori.

Nel frattempo il grande impulso all’ufficializzazione delle entità libere avviene in occasione della convocazione dei delegati di classe alla Costituente del 1934. L’obbligo, per i candidati alla delegazione, di essere vincolati ad entità riconosciute dallo Stato, fa correre i sindacati all’accreditamento presso il Ministero del Lavoro. Questo mutamento di strategia si riflette anche nei cambiamenti in corso sul piano ideologico, nella misura in cui le correnti anarchico-sindacaliste, contrarie ad ogni rapporto con lo Stato, cominciano a perdere la loro egemonia all’interno del movimento sindacale del Partido Comunista. Fondato nel 1922 e fino ad allora con una timida presenza sulla scena sindacale, il PC comprende la possibilità di usufruire a proprio beneficio del principio d’unicità sindacale e sceglie il movimento sindacale come terreno principale d’azione.

Durante il periodo della dittatura dello “Stato Nuovo” che ha era iniziata nel 1937, si va consolidando il processo d’adeguamento dei sindacati alla legislazione ufficiale. La Costituente del 1937 mantiene inalterata la legislazione sindacale. Il governo se ne serve per reprimere duramente le organizzazioni sindacali indipendenti, obbligandole a adeguarsi ai requisiti ufficiali. In questo periodo molte entità, non avendo più alcuna possibilità di sopravvivenza al di fuori delle regole imposte dal Ministero del Lavoro, completano l’adeguamento.

Concluso il processo d’assoggettamento dei sindacati allo Stato, cambia la logica interna del movimento e ha inizio un nuovo periodo. Ormai non si tratta più di gruppi di militanti, la cui azione è legittimata dal consenso dei suoi pari e resa completa attraverso questa. Si tratta di guadagnare la legalità come entità burocratica, ossia come agenzia vincolata all’apparato statale. Il rapporto Stato-lavoratori si rivela più complesso, tanto da portare all’introduzione d’elementi di controllo più raffinati e ancor più dannosi della repressione diretta.

Il modello regolatore dello Stato nei rapporti di lavoro è uno degli aspetti preponderanti della società brasiliana a partire dagli anni ‘30. La legislazione sindacale si rivela una delle istituzioni più durature del paese. Sopravvivendo a mutazioni congiunturali significative, all’alternanza tra periodi di autoritarismo e di democrazia, alla costituzione di un significativo parco industriale e al processo di urbanizzazione che negli ultimi 30 anni aveva modificato profondamente la società brasiliana, la legislazione sindacale arriva, fino ai giorni nostri, praticamente inalterata. Questa longevità ha comportato la costituzione di una tradizione che continua a segnare profondamente la società brasiliana.

2. Sindacati e democratizzazione

Nell’immediato dopoguerra i sindacati, a seguito del processo di democratizzazione in corso nel paese, vivono un ciclo d’espansione. Per quasi due decenni il movimento sindacale non solo sviluppa le sue strategie organizzative, accrescendo il numero degli iscritti, ma interviene anche intensamente nello spazio pubblico. In termini ideologici si consolida la presenza e l’influenza del Partido Comunista all’interno del movimento organizzato dei lavoratori. Alleandosi a sinistra con il Partido Trabalhista Brasileiro (PTB), il PCB conquista la direzione d’importanti sindacati, federazioni e confederazioni. Sul piano interno il PCB definisce le strategie sindacali mentre su quello esterno conduce il movimento sindacale sulla scena politica.

Inoltre pur non essendo previste dalla legislazione sindacale, sorgono in questo periodo numerose entità intersindacali, come il Pacto de Unidade e Ação (PUA), o il Movimento Unificado dos Trabalhadores (MUT), che agiscono come Centrali Sindacali articolando e dirigendo il movimento. Tra queste la più importante è la Central General dos Trabalhadores (CGT) che nasce come direzione per gli scioperi ma che in seguito si trasforma in una Centrale Sindacale con sedi statali in quasi tutto il paese.

È l’inizio degli anni ‘60 e la società brasiliana vive un momento di mobilitazione a favore della realizzazione della cosiddetta “Reformas de Base”: una riforma agraria, urbana, dell’educazione, ecc. I lavoratori approfittano della congiuntura favorevole per esprimere le loro rivendicazioni, provocando molti scioperi in tutto il paese. Il movimento sindacale occupa l’arena politica dando impulso alle tesi “pecebistas” [i] dell’alleanza con la borghesia nazionale. Le direzioni sindacali rimangono al centro della crisi politica del governo di João Goulart che terminano con il colpo di stato militare del 1964.

È importante fare notare che senza che si sia avuto alcun cambiamento nella legislazione sindacale, si passa dal periodo di forte repressione del Nuovo Stato (1937-1945) che in pratica mette al bando l’esistenza del movimento sindacale, ad una situazione d’intensa mobilitazione espressa nel continuo susseguirsi di scioperi, nella formazione di strutture orizzontali e nella presenza di lavoratori sulla scena pubblica. Ciò che viene dimostrato è l’estrema elasticità di una legislazione sindacale in grado di adeguarsi alle diverse congiunture, fino a passare da un opposto all’altro senza la necessità di essere modificata.

Nella fase di democratizzazione degli anni ‘50 e ‘60 predomina l’impegno del movimento sindacale all’interno del quadro più generale delle “grande politica”. Tuttavia, tenendo anche in considerazione l’emergenza del CGT e il suo sforzo di ramificazione in tutto il paese, così come il dilagare di scioperi provocati da numerosi ed importanti movimenti, la pratica sindacale di quel periodo può essere caratterizzata come “cupulista”. In questa, le direzioni politicizzate, definiscono all’interno del partito le tattiche e le strategie d’azione che devono essere perseguite dalla base. Decisioni che collocano i lavoratori al traino della politica partitica e delle alleanze formulate dal PC in un quadro nazional-populista.

Durante questo periodo il movimento sindacale ottiene una grande visibilità pubblica. Le aree conservatrici allarmate da ciò, denunciano che è in corso l’instaurazione di una “República Sindacalista no Brasil”. La situazione d’intensa mobilitazione è interrotta dal colpo di stato del 1964, che dà luogo ad un nuovo intervallo autoritario terminato soltanto negli anni ‘80.

La dittatura militare reprime violentemente i lavoratori. Le sedi sindacali sono violate, la leadership e i membri delle direzioni arrestati e il governo militare nomina degli “interventores” [i] alla direzione dei sindacati. La CGT è sciolta, i suoi dirigenti perseguiti, arrestati o eliminati. Centinaia di lavoratori urbani e rurali che sopravvivono alle prime persecuzioni, temendo l’imminente imprigionamento, entrano in “clandestinità” rimanendovi fino all’amnistia. Il movimento sindacale è disarticolato e reso privo di carattere attraverso la trasformazione dei sindacati in ripartizioni pubbliche, rivolte alla prestazione di servizi per i lavoratori.

Nel 1968 con il riemergere degli scioperi metalmeccanici in Contagem, le città di Minas Gerais e Osasco, della grande San Paulo, sorprendono il paese con un atto di resistenza dei sindacati. Nell’impossibilità di continuare la pratica sindacale di mobilitazione pubblica, i lavoratori ricorrono ad organizzazioni silenziose ed interne ai Comitati di Fabbrica che erano stati all’origine degli storici scioperi del 1968. Con un innovativo modo di affrontare gli scioperi, i lavoratori occupano i complessi delle fabbriche, mantenendosi al suo interno durante tutto lo svolgersi del movimento. Il governo invia l’esercito e i carri armati per reprimere con estrema violenza gli scioperanti. Il cattivo esito degli scioperi di Contagem e Osasco segna la sconfitta del movimento sindacale, rinchiudendolo in un silenzio che sarebbe stato infranto soltanto 10 anni più tardi nelle giornate dello sciopero dell’ABC paulista.

La legislazione sindacale rimane inalterata anche durante questo nuovo periodo d’autoritarismo. Per reprimere i sindacati i governi militari ricorrono a dispositivi legali già esistenti. Si effettuano solo due invasioni nel campo della legislazione sul lavoro. Aldilà della regolamentazione sul valore del Salario Minimo, i governi autoritari definiscono attraverso le leggi il livello di percentuale d’aggiustamento dei salari. Nel 1966 è istituito un Fundo de Garantia por Tempo de Serviço (FGTS), che anticipa di 30 anni la rottura della stabilità nell’impiego. Composto di quote, calcolate in base al salario dell’impiegato, da dover essere depositate in una banca per gli impiegati, il FGTS intendeva liberare le imprese dai costi di liquidazione, anticipando di più di 30 anni la flessibilità del lavoro in Brasile. -----

3. Il “Nuovo Sindacalismo”

Il ciclo di scioperi dei metalmeccanici che sarebbe entrato nella storia come il “nuovo sindacalismo”, si protrae, nella regione dell’ABC paulista, dal 1978 al 1985, inaugurando un nuovo periodo per il sindacalismo e per l’intera società brasiliana. Gli scioperi avvengono in un contesto di crisi economica, di compressione salariale e d’iniziale pressione per una politica di “apertura”. Spinto da rivendicazioni salariali e dalla necessità di miglioramenti nelle condizioni di lavoro, il movimento sfida il regime autoritario e finisce per diventare l’elemento decisivo per la fine della dittatura militare.

Questo movimento osa sfidare il potere autoritario spingendo i lavoratori, organizzati in commissioni e nuclei di gruppi di fabbrica, ad esternare le loro rivendicazioni e il loro scontento sulla pubblica piazza. Questi scioperi sono segnati da grandi innovazioni sul piano organizzativo: la partecipazione delle basi, i fondi per gli scioperi a livello nazionale, l’articolazione con i movimenti popolari e le organizzazioni di quartiere danno supporto ai lavoratori affinché resistano ai metodi repressivi del governo.

Il sindacalismo comincia a differenziarsi dai periodi precedenti assumendo caratteristiche di movimento di massa. Nelle campagne salariali, le assemblee realizzate nello stadio di calcio di Vila Euclides a San Bernardo raccolgono 60.000 lavoratori. Le celebrazioni per il Primo Maggio del 1980, segnate dalla tensione per gli scontri tra manifestanti e polizia militare, riuniscono 100.000 persone nel Paço Municipal di San Bernardo. Oltre ai lavoratori compaiono in queste manifestazioni le leadership politiche ed intellettuali dell’opposizione e i settori liberali contrari al regime militare.

Questa nuova generazione di sindacalisti, nel difendere un sindacalismo indipendente dallo Stato e autonomo rispetto ai partiti politici, mette le basi per un nuovo modello sindacale e per una nuova azione, diventando il protagonista principale della collettività. Mentre la crisi economica penalizza i lavoratori, la società intera si prepara a nuovi passi verso la democrazia. I metalmeccanici, nel pieno della loro recente riorganizzazione, puntano ad un sindacalismo di confronto che si esprima in un’intensa attività di scioperi. Gli scioperi continuano a segnare le campagne salariali degli anni seguenti e soltanto nel 1985 se ne contano 900. In questi scioperi, oltre alle dispute salariali, c’è un contenuto politico che esprime la necessità di un riscatto della propria dignità e di un desiderio d’affermazione dell’identità collettiva di fronte alla proprietà, al governo e alla stessa società.

Il movimento dei metalmeccanici dell’ABC, rafforzato dalla pressione di tutti quei settori ansiosi di vedere la fine della dittatura, persuade rapidamente tutta la società brasiliana. I vecchi sindacati cambiano il loro scenario attraverso la lotta delle opposizioni sindacali, per sloggiare gli “interventores” collocati dai governi militari alla direzione delle varie entità. La riorganizzazione dei lavoratori del settore privato stimola il movimento associativo delle cosiddette classi medie salariate che cominciano ad organizzarsi in sindacati. I funzionari pubblici, cui era stata proibita la possibilità d’accesso alla sindacalizzazione dalla legge del 1931, danno nuova vita alle loro vecchie associazioni, dotandole di pratiche sindacali. Sorsero anche i Movimenti Sociais Urbanos, sottoforma di Associações de Bairros, Conselhos Comunitários, Movimentos Contra a Carestia ecc. Tutta la società civile si organizza, cercando particolari forme per rivendicare quanto a lungo negato.

I funzionari pubblici portano all’interno dei sindacati importanti settori della burocrazia statale. In un paese dove l’accesso all’educazione era stato, da sempre, un problema per gli strati sociali più bassi, l’ingresso della classe media che include i professori della scuola pubblica, da ai sindacati la possibilità di arricchirsi con scambio d’esperienze concrete: il sapere implicito, con il sapere scolastico. I funzionari pubblici, ancor prima d’ottenere il diritto alla sindacalizzazione che arriva soltanto con la Costituzione del 1988, s’inseriscono nella dinamica sindacale dei lavoratori del settore privato, dando inizio ad una giornata di scioperi per motivi salariali e politici che avrà ripercussioni su tutta la società.

L’opposizione al “vecchio sindacalismo” designa un nuovo movimento. L’emergenza per un sindacalismo combattivo ed autentico attrae l’attenzione del pensiero accademico che forgia l’idea di rottura tra passato e presente, generando due temporalità diverse: “vecchio” e “nuovo” sindacalismo. Passato ormai del tempo, ad un’osservazione più prudente, si capisce che parte delle analisi, prodotte nell’entusiasmo della novità, colorano di tinte più forti il movimento nascente, oscurando le tracce importanti del sindacalismo precedente, che è invece parte integrante di quello rinnovato. Proprio riconoscendo che non c’è una rottura assoluta e neanche una continuità reale, gli studiosi affermano unanimemente che questo è stato un momento di flessione nella storia del sindacalismo brasiliano.

Il “nuovo sindacalismo” si distingue per la critica pratica alla legislazione sindacale precedente. In questa si ritrova una generazione giovane, vincolata a settori di punta dell’economia, che inaugura una nuova agenda, creando una diversa forma di relazione con lo stato, con la proprietà, e con l’insieme della società.

In termini ideologici il “nuovo sindacalismo” è composto di tre matrici differenti: quella sindacale, quella della chiesa popolare e quella della sinistra. Riunisce lavoratori senza esperienza di militanza politica, lavoratori vincolati al movimento della chiesa cattolica ispirata alla Teologia da Libertação e gli originari membri dei partiti tradizionali della sinistra e delle sue ramificazioni. Queste matrici si trovano unite sulla questione della struttura sindacale, e nel criticare le strategie in vigore nel periodo 1945-1964, il cui “cupulismo” subordinava il movimento sindacale agli interessi della borghesia nazionale.

In un contesto politico di ricerca di soluzioni istituzionali per il regime dittatoriale in crisi, i lavoratori s’impongono come elemento imprescindibile per il nuovo arrangiamento politico ed istituzionale che darà luogo al processo d’apertura politica del paese. Quest’inserimento si distingue da quello degli anni ‘30 in cui i lavoratori vengono accettati come interlocutori, purché si sottomettano alle imposizioni della legislazione che definisce i limiti della loro presenza e della loro azione. Inoltre, si distingue anche da quello del periodo 45-64, in cui i lavoratori subiscono l’esperienza di un inserimento soggetto alle ingiunzioni politico-partitiche dell’egemonia del PC. In questo nuovo contesto i lavoratori chiedono di poter sottoporre le proprie richieste e rendono effettive le loro pratiche in modo autonomo dal rapporto con lo Stato e in maniera indipendente dai partiti politici.

L’incontro all’interno del “nuovo sindacalismo”, tra l’area intellettuale e quella dei salariati è uno dei punti di partenza del processo che ha portato, negli anni a seguire, alla nascita della Central Única dos Trabalhadores (CUT) e alla fondazione del Partido dos Trabalhadores (PT), entrambi tributari di un’esperienza sindacale che, grazie all’introduzione di nuovi soggetti politici e di nuove pratiche nella sfera pubblica, ha provocato profondi cambiamenti nell’ambito pubblico brasiliano.

4. Dal “nuovo sindacalismo” al sindacalismo rinnovato

Con il ritorno del paese ad un regime democratico e con la rinascita di un movimento sindacale con una nuova configurazione politica ed organizzativa, in Brasile inizia la discussione sulla riforma dei rapporti di lavoro. Le proposte di cambiamento danno origine ai lavori della Costituente che si conclude con l’emanazione della Costituzione del 1988, anche detta “cidadã”. La nuova Costituzione accondiscende alle nuove richieste di libertà del diritto allo sciopero. Nel frattempo però mantiene due importanti pilastri di sostegno della vecchia struttura sindacale: l’unicità sindacale e l’imposta sindacale obbligatoria, dando al nuovo sistema sindacale brasiliano una forma che è l’espressione della coesistenza di tracce della vecchia struttura corporativa e aspetti di una nuova concezione. Esempio di ciò sono la pluralità sindacale al culmine della sua struttura attraverso le Centrais Sindacais e il mantenimento del monopolio della rappresentanza alla base del sistema, con un sindacato unico su base territoriale e suddiviso per categorie professionale.

Negli ultimi decenni l’intensa attività di ristrutturazione dei settori dell’economia è stata motivo di cambiamenti nel modello di gestione e regolamentazione del lavoro. La ricerca della competitività sui mercati globali ha comportato, come fattore determinante, la flessibilità del mercato del lavoro, favorendo ideali contrari alla regolamentazione statale e contrattuale della forza lavoro. Sebbene questa fosse la tendenza generale, la natura e la portata di questi mutamenti hanno cominciato ad essere discussi in ogni paese a partire da un insieme d’elementi intrinseci al particolare contesto dei rapporti di lavoro costituiti storicamente e sono il risultato di diversi arrangiamenti istituzionali, sociali e culturali. “Oltre alla pura forza di mercato il contratto di lavoro coinvolge sempre istituzioni formali ed informali che regolano l’insieme delle norme contrattate” (Pessanha e Morel, 1999).

Il tema della flessibilità dei rapporti di lavoro è applicato in ogni paese a partire dagli elementi di una cultura politica che si esprime negli accordi, nelle mediazioni e nel grado di sostegno e copertura della legislazione. In Brasile questo dibattito incontra una tradizione profondamente normativa ed interventista, limite fondamentale nei rapporti di lavoro nel paese. In maniera episodica, a partire dal contesto di democratizzazione degli anni ‘80, lavoratori, imprenditori e governo cominciano a dare prova della volontà di effettuare profondi cambiamenti nella legislazione, in materia di lavoro e di sindacati. Al centro di questa discussione si trova il ruolo dello Stato e il suo rapporto con il sistema di lavoro. Questo dibattito non si rifletterà soltanto sul rapporto tra Stato e lavoratori, ma definirà anche la posizione proposta a questi ultimi all’interno di un nuovo “patto” tra Stato e società.

Durante gli anni ‘90 i profondi mutamenti registrati nel mondo del lavoro raggiungono i sindacati brasiliani, portandoli verso una crisi dalla quale scaturiranno importanti trasformazioni del movimento sindacale erede del “nuovo sindacalismo”. Due decenni dopo essere diventato il “protagonista collettivo” più importante nella società brasiliana, questo sindacalismo, autore del rinnovamento della tradizione sindacale, deve scontrarsi con la necessità di cambiare ancora gli orientamenti e le pratiche, ridefinendo la sua stessa identità.

Il cambiamento strategico porta il “nuovo sindacalismo” a dare priorità alla negoziazione con la proprietà, a discapito del sindacalismo di confronto che lo aveva distinto. Il passaggio da un sindacalismo di confronto e conflitto ad uno di negoziazione genera un forte dibattito all’interno della CUT, rendendo protagonista la corrente minoritaria che si oppone alla direzione. Responsabile dell’introiezione nei gruppi di salariati d’una cultura sindacale aggressiva e conflittuale, l’esperienza sindacale di questi ultimi 20 anni si cristallizza come tradizione e mostra resistenza ai mutamenti che il nuovo quadro esige.

I mutamenti nell’azione sindacale si scontrano con la mancanza di una tradizione nella negoziazione della società brasiliana. In Brasile, la struttura sindacale aveva sostituito la negoziazione tra lavoratori ed imprenditori con la Justiça do Trabalho, come forma per evitare il conflitto. Il “nuovo sindacalismo” è stato responsabile della rottura di questo modello e della creazione di spazi politici ed istituzionali che avevano reso possibile la partecipazione dei sindacati alle negoziazioni. In questo scenario, caratteristico degli anni ‘80, con un’elevata inflazione e con una recessione delle attività produttive, un tipo di sindacalismo conflittuale che si esprimeva con grandi e numerosi scioperi, era stato decisivo per le negoziazioni. Questo quadro, con la crisi dell’impiego degli anni ‘90, è stato nuovamente e significativamente alterato rendendo il sindacato più fragile e riducendo il numero degli scioperi.

Il cambiamento di strategia, dal confronto alla negoziazione, sposta alcuni settori del sindacalismo al di fuori dei limiti delle rivendicazioni corporative, collocandoli in posizioni attive d’intervento sul piano più generale della società. Importanti gruppi del movimento sindacale brasiliano sono coinvolti in dibattiti sul sistema pubblico dell’Educazione e sul Programa de Qualificação Profissional. Questi partecipano a livello nazionale sia al Conselho Tripartite che gestiva il Fundo de Amparo ao Trabalhador (FAT) sia al Conselhos Estaduais. La presenza di gruppi sindacali ai Conselhos de Saúde a livello federale, statale e municipale, al Conselho Curador do FGTS e al Conselho de Administração do Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social (BNDES), evidenziano un sindacalismo in grado di intervenire nelle dispute sulla gestione dei fondi pubblici e sulla formulazione di politiche pubbliche che riguardano tutta la società.

Per quanto riguarda la CUT, la sostituzione del confronto conflittuale con la negoziazione e l’incorporazione di nuovi elementi nell’agenda sindacale, come l’enfasi posta dalla Central ai programmi di Qualificação Profissional, incontrano una forte resistenza dei gruppi oppositori. Queste correnti si oppongono a ciò che considerano una perdita di potere conflittuale della Central. Secondo questi, dando priorità al campo di formazione professionale, il CUT stava cambiando la propria identità e perdendo l’aggressività della sua origine classista, pregiudicando la sua formazione sindacale e politica, parte integrante del suo progetto strategico.

Parlare delle prospettive del sindacalismo brasiliano non è prudente, considerati il grado d’eterogeneità della sua organizzazione, la capacità d’azione, i concetti sindacali e la stessa importanza economica dei settori produttivi, sebbene appaia chiaro che, specialmente i gruppi del sindacalismo legati alla CUT, vivono attualmente una fase di transizione, nella forma e nel contenuto delle rivendicazioni.

All’inizio degli anni ‘90 l’agenda sindacale è stata modificata e attualmente possiamo identificare quattro grandi percorsi d’azione. Il primo riguarda azioni che cercano di dare una risposta alla sfida del cambiamento del piano di produzione e ai suoi effetti immediati nella crisi dell’impiego e nella tendenza al precariato nel lavoro. Un secondo sforzo è rivolto al dibattito sulla riforma della struttura sindacale e ai mutamenti nella legislazione sul lavoro. Un terzo fronte d’azione s’incontra nel tentativo di creare una nuova forma di struttura verticale e d’organizzazione nello spazio del lavoro, con l’obiettivo di rafforzare il rapporto tra le basi e la direzione.

Tuttavia è il quarto punto quello che ci richiama a maggiore attenzione, ossia l’attività in aree che non sono di competenza specifica dei sindacati. Gruppi sindacali della frangia della CUT, stanno sempre più uscendo dagli interessi corporativi delle categorie che rappresentano e intervengono in questioni riguardanti la società più in generale. Cercano collaborazioni con le prefetture in campagne che hanno lo scopo di eliminare l’analfabetismo, che propongono programmi per la costruzione di abitazioni popolari e per la partecipazione ai numerosi Conselhos Públicos. Inoltre, intervengono in campagne a difesa dei bambini e degli adolescenti, contro la discriminazione razziale, a favore dell’ambiente e nel conseguimento della parità tra i sessi. Questi cambiamenti nell’agenda sindacale sono stati motivo di grandi discussioni. Gli atti dei congressi mostrano l’insoddisfazione di alcuni gruppi per ciò che considerano una deviazione dalle funzioni proprie dei sindacati. La questione della cittadinanza è stata al centro di questi dibattiti, poiché legata all’agenda e alla dialettica sindacale.

5. Sindacati e Cittadinanza

In termini generali il quadro sindacale brasiliano somiglia a quello che si osserva a livello internazionale. L’aumento della disoccupazione, la competizione per il mantenimento del posto di lavoro, le tensioni con coloro che mantengono un impiego più o meno fisso, l’eterogeneità in ambito lavorativo, il crescente precariato, ostacolano la possibilità di una effettiva solidarietà e indeboliscono i sindacati. La disoccupazione colpisce direttamente il sindacato riducendo il numero di membri (anche potenziali) e la loro fiducia nella sua efficacia ed inoltre, poiché sussiste una chiara diversità di situazioni in coloro che lavorano, impedisce l’azione congiunta. L’attività sindacale è meno incisiva nei settori più precari del mercato del lavoro, con una bassa coesione e una ridotta capacità di negoziazione collettiva. Inoltre questa si riduce per diverse ragioni anche tra i lavoratori con maggiori qualifiche e capacità. Coloro che lavorano nel settore dei servizi privati, tendenzialmente in crescita, sono tradizionalmente meno inclini a aderire al sindacato.

Tuttavia l’attuale crisi del sindacalismo che riguarda tutta la cosiddetta società occidentale, ha un carattere generale il cui manifestarsi è però influenzato dalle peculiarità particolari e specifiche d’ogni formazione storica. Pertanto il paragone tra le diverse esperienze internazionali deve essere fatto con prudenza. Le traiettorie tracciate anteriormente dai protagonisti di ciascuna formazione sociale hanno dato luogo ad esperienze sindacali distinte, la cui specificità deve essere ricercata negli elementi unici ed irripetibili caratterizzanti la storia d’ogni società.

Pertanto, l’intensità della crisi così come le strategie usate dai sindacati per affrontarla, esprimono la specificità politico-sociale di ciascuna società. Questa constatazione ci porta a riflettere sull’importanza storica del sindacato in Brasile, come maestro di cittadinanza. In Brasile la crisi sindacale sembra rivestirsi d’altri contenuti e significati. Le ricerche che abbiamo realizzato dimostrano che per la gran parte dei lavoratori, specialmente quelli con un livello basso di educazione scolastica e minori qualifiche, il sindacato sembra un luogo dove, per la prima volta si acquistano le nozioni di diritti e doveri, dove si vivono concretamente ideali di appartenenza e sentimenti di esistenza collettiva e sociale.

Storicamente si può costatare che in Brasile la conquista della cittadinanza [i] per i gruppi salariabili appare fortemente legata alla questione del lavoro. L’inserimento nel mercato del lavoro formale in Brasile serve da porta d’ingresso per ciò che può essere definito come il processo di costruzione della cittadinanza nazionale: condividere diritti e doveri garantiti, la cui esistenza è più percettibile in un contesto di lavoro formale. Il mercato del lavoro brasiliano si caratterizza per la coesistenza tra un mercato formale ristretto contraddistinto da bassi salari, da un fragile vincolo impiegatizio e da una forza lavoro poco qualificata e un immenso mercato del lavoro atipico fuori d’ogni inquadramento legislativo.

D’altro canto, in un paese in cui il lavoro, in particolare quello non qualificato, è valorizzato negativamente, l’associazione tra cittadinanza e lavoro ha diverse implicazioni che devono essere considerate. La sfida posta ai settori salariati è stata la formazione di un’identità di lavoratore, dove l’elemento che la identificasse - il lavoro - si riempisse di una forte carica negativa. Ostacolata nella sua realizzazione sul piano più generale della società quest’identità sarà cercata all’interno del movimento associativo. I sindacati sono riusciti a dare ai lavoratori una condizione d’autocoscienza e un contorno alla loro esistenza sociale.

Per spiegare questa specificità, alcuni autori (Bonfim, 1996; Cândido, 1987) identificano un certo “male originario” nella formazione delle classi lavoratrici brasiliane. Per queste l’esperienza storica della presenza del lavoro forzato degli schiavi, accanto al lavoratore libero avrebbe segnato negativamente l’incipiente processo d’industrializzazione capitalista e quindi i rapporti sociali nel lavoro: la dignità dei braccianti e dei manovali, a modo di vedere di tali autori avrebbe avuto la sua origine, secondo l’immaginario collettivo brasiliano, da una certa contaminazione del lavoro libero, capitalista, da parte di quello degli schiavi.

Riflettendo sugli elementi che sono alla base della nostra eredità sociale elitaria ed esclusivista, Antônio Cândido, afferma che (...) “in quest’eredità coloniale, il tratto più funesto è il conservatorismo” che “non si può dire ostinato, per essere in gran parte incosciente ma che si può chiamare conservatorismo essenziale, più affettivo che intellettuale” (Cândido, 1990; 27).

Il pensiero di questi autori ci sembra sufficientemente suggestivo da dover considerare gli ostacoli nel nostro paese per l’incorporamento dei lavoratori nell’ambito pubblico. La storia politica brasiliana ha dimostrato largamente la presenza di uno spazio pubblico ridotto, delineato da protagonisti individuali e collettivi oriundi e/o rappresentanti delle elite di proprietari. In Brasile, paese la cui vita politica è stata storicamente segnata dall’emarginazione sociale e dalla dominazione politica, dove la cittadinanza e la democrazia si presentano come un processo caratterizzato da fragilità e da discontinuità, i sindacati, più che in altri paesi, hanno avuto e hanno tuttora, a nostro giudizio, un ruolo civilizzatore (Ferriera, 1997).

Le peculiarità della cultura politica brasiliana, danno un nuovo valore al sindacato attribuendogli lo stato d’unica entità pubblica dove i lavoratori possono esercitare la loro pluralità attraverso l’azione e il dialogo. (Arendt, 1988). Questo sindacato ridimensionato guadagna un’importanza centrale nella laboriosa costruzione della nostra democrazia. All’interno della profonda eterogeneità che caratterizza il sindacalismo brasiliano, possiamo identificare una specie di smembramento per ciò che (in mancanza di un nome) si potrebbe chiamare sindacalismo “cittadino”. In un paese con indici perversi di concentrazione dei redditi che nega ad ampi settori della popolazione l’accesso a beni essenziali come la salute, l’educazione, l’alloggio, questo sindacato rinnovato sembra stia occupando quello spazio che le elite e il governo si sono rifiutati di occupare. Stiamo assistendo ai primi segni di cambiamento del sindacato come espressione esclusiva degli interessi delle categorie di lavoratori, verso un sindacato depositario delle richieste d’ampi settori della società, ossia un “sindacato-cittadino” o un “sindacato dei cittadini”?


[i] Ndt. “pecebistas”: esponenti del PCB (Partido Comunista Brasileiro)

[i] Ntd: Sorta d’ispettori o commissari.

[i] Ndt: Come viene successivamente spiegato, per “cittadinanza” s’intende l’insieme dei diritti che, anche tramite il lavoro, devono essere garantiti a tutta la società.