Le assurde dinamiche attuali dello sviluppo capitalistico. La questione in Irak è l’imperialismo

Max-Fraad Wolff

Rick Wolff

1. Le modalità dell’espansione capitalista

Per più di un secolo, i teorici dell’imperialismo hanno spiegato ciò che è documentato da innumerevoli analisi empiriche: l’impulso delle economie capitalistiche a riprodursi attraverso l’espansione. Nella loro lotta competitiva per la sopravvivenza, appropriandosi del plusvalore dei loro lavoratori e minando le reciproche posizioni sul mercato - cioè massimizzando i loro ‘profitti’ - le imprese capitaliste valicano i loro confini nazionali. Mercati per l’esportazione, materie prime importate a buon mercato, cibo e immigranti, e sbocchi all’estero per investimenti profittevoli offrono prima o poi ai capitalisti le loro migliori opportunità di successo. Essi hanno afferrato queste opportunità e hanno voluto che i loro governi prima facilitino e poi difendano la loro vantaggiosa dipendenza dalle attività economiche estere. Il colonialismo ufficiale, le sfere di influenza non ufficiali, i neo-colonialismi, gli accordi bilaterali e multilaterali, le organizzazioni regionali e globali (le zone monetarie, le associazioni commerciali, i mercati comuni), e altre forme sono state pensate per gestire l’imperialismo capitalista. La continua re-distribuzione della ricchezza e del potere tra le nazioni capitaliste in lotta tra di loro è stata la causa per cui la loro espansione è sfociata in periodici conflitti e ha causato molte guerre regionali e due guerre mondiali.

Verso la fine del diciannovesimo secolo le strutture di classe capitalistiche avevano consolidato il loro dominio su tutte le altre strutture di classe negli USA. Al dominio seguì l’espansione capitalistica e l’imperialismo statunitense emerse assieme (e talvolta in contrasto con) quello inglese, tedesco e di altre nazioni. Da allora, gli USA non hanno mai fermato la loro traiettoria imperialista. L’Iraq non è altro che l’ultima stazione su quella via.

Il capitalismo, a causa della sopravvivenza delle sue aziende basate sulla proprietà privata e sul libero mercato, aveva bisogno di espansione e le condizioni politiche e culturali per l’imperialismo americano dovevano essere sviluppate, sostenute, e adattate continuamente ai cambiamenti nelle situazioni globali. I leader politici e aziendali, così come i loro interlocutori mass-mediatici media e alleati accademici, dovevano identificare gli ostacoli per l’espansione e dibattere le strategie per superali. Dovevano convincere le masse dei loro cittadini che vi è una corrispondenza tra il loro benessere (economico, politico e culturale) e la libertà del capitalismo americano di espandersi. Dato il moralismo religioso con cui tradizionalmente gli USA razionalizzano tutto, all’espansione capitalistica doveva essere data una vernice moralistica e moralizzante.

Gli aspetti economici dell’espansionismo americano sono sempre stati centrati su alcuni obiettivi fondamentali. L’unica cosa che cambiava era il loro reciproco peso all’interno di un mix di obiettivi economici. Quindi, gli USA hanno cercato sbocchi per beni agricoli e manifatturieri e per servizi quando queste industrie li domandavano. Ugualmente, gli USA si sono focalizzati su un sicuro e vantaggioso accesso a fonti di importazioni (di merci ma anche di tecnologie) abbondanti e a buon mercato richieste dalle industrie americane ma anche domandate dai consumatori americani. Infine, gli USA hanno mirato a condizioni che rendessero possibile alle industrie e ai consumatori americani di perseguire la massima libertà di investire i loro capitali all’estero.

Misure economiche, politiche (includendo quelle militari) e culturali vennero prese, a seconda delle specificità del luogo e del tempo, al fine di rendere il mondo sicuro per l’espansione e aperto all’espansione capitalistica americana. D’altro lato, gli USA formarono, rafforzarono, dissolsero, e/o lasciarono alleanze politiche. Un fermo impegno ad una grande e permanente forza militare - stazionata sia internamente che all’estero - divenne una caratteristica di tutti i governi americani dopo la Seconda Guerra Mondiale. Neppure la fine della guerra fredda poté generare un serio dibattito su una significativa riduzione degli armamenti negli USA, e quindi ancor meno una sperimentale riduzione.

2. Le demonizzazioni funzionali allo sviluppo capitalistico

Molte campagne culturali accompagnavano parallelamente queste misure. Queste comprendevano concettualizzazioni e disseminazione tra le masse di successive demonizzazioni degli stranieri. Gli orchi sono stati, di volta in volta, europei (del vecchio mondo), e/o giapponesi il cui scopo sarebbe stato quello di privare gli USA del loro legittimo posto nel mondo. Altre volte, i gruppi accusati erano i senza Dio (i non-Cristiani), gente ‘primitiva’ che non desiderava che la cultura superiore, i prodotti, la politica e la religione americane entrassero e circolassero liberamente nelle loro società. I comunisti (spesso identificati con Marxisti, socialisti, anarchici, ecc.) e “fanatici” nazionalisti erano demonizzati in una maniera simile come nemici della libertà e della democrazia. Gli Usa erano in guerra, talvolta violenta e calda, altre volte fredda. Oggigiorno, i demoni sono i “terroristi Islamici” motivati dall’invidia e dal fondamentalismo religioso. Come tutte le successive riflessioni di seri storici hanno dimostrato, il contrappeso alla loro molto circoscritta base nella realtà era una mescolanza spesso isterica di esagerazioni propagandistiche.

Diversi blocchi imperialisti, con interessi specifici, emersero - spesso in tandem con le corrispondenti demonizzazioni. Essi formarono la politica statunitense attraverso diverse combinazioni di pressioni, corruzioni e tangenti a tutti i livelli governativi, blitz mediatici, e talvolta campagne popolari (per esempio, i “revivals” religiosi). I loro obiettivi si muovevano tra, e mescolavano, specifiche regioni del mondo, i mercati per particolari merci, e specifiche opportunità per investimenti esteri. Questi blocchi si allearono a gruppi sociali mossi da motivi più prettamente ideologici al fine di battersi per una formazione culturale egemonica di supporto all’imperialismo americano.

Un tema che emerse e che fu specificamente funzionale all’egemonia americana fu quello della democrazia. L’imperialismo USA si re-inventò come una crociata per la democrazia. Ogni qualvolta i blocchi imperialisti identificarono degli ostacoli per la loro attività all’estero, il governo americano, i media convenzionali, e i loro alleati intellettuali in genere li definirono o li demonizzarono come anti-democratici. Quindi essi divennero, nel migliore dei casi, anacronismi storici, bastioni in via di estinzione contro la marcia della storia verso la democrazia globale condotta dagli USA. Se essi non scomparivano abbastanza rapidamente - cioè quando l’imperialismo USA aveva bisogno di una più rapida acquiescenza con i suoi bisogni - una retorica intensificata accompagnava forti misure politiche il cui scopo spesso era quello di isolare sul piano internazionalmente i demonizzati. Frequentemente, il risultato era una azione militare al fine di garantire ciò che gli altri meccanismi dell’imperialismo USA non avevano, o non avevano con sufficiente rapidità, raggiunto. Ciascun passo di questo crescendo era celebrato come una grande lotta del bene democratico contro il male non democratico. Quando i demoni, occasionalmente, rispondevano all’attacco (o potevano essere così plausibilmente rappresentati) i blocchi imperialisti approfittavano dell’opportunità per passare dall’azione politica a quella militare. Così, la distrutta corazzata Maine, l’incidente della “Baia di Tonkin”, gli attacchi dell’11 Settembre 2001, erano talvolta veri attacchi e talvolta fittizi. Ciò che essi avevano in comune era l’opportunità per i blocchi imperialisti USA di muoversi finalmente militarmente contro i loro nemici/ostacoli designati. Perciò, il governo Bush ha intrapreso una azione militare contro l’Afghanistan e l’Iraq, nonostante che manchi anche una minima prova del loro ruolo negli attacchi dell’11 settembre 2001. Ugualmente, si sta preparando per avvantaggiarsi ulteriormente dell’opportunità nominando un asse dei paesi del male per cui si prevede la prossima azione militare.

L’imperialismo USA dà una versione moderna delle autocelebrazioni degli imperialismi precedenti come missioni civilizzatrici e di modernizzazione nei confronti di quelle parti del pianeta che sono ancora arretrate. Porta l’utopia della democrazia - costantemente identificata con il capitalismo della proprietà privata e del mercato - a tutti gli angoli del globo bandendo, in questo modo, la povertà e l’oppressione. Ciò avverrà con metodi pacifici o con la forza, a seconda di quanta opposizione i leader delle povere nazioni, non libere e retrograde, osano fare.

I blocchi, in genere egemonici, che supportano l’imperialismo statunitense hanno causato periodiche resistenze negli USA. Ciò non è cambiato, come i milioni di dimostranti hanno reso chiaro dal 15 Febbraio 2003 in poi. Molti gruppi della società americana hanno sempre pensato che i costi dell’imperialismo (in termini di sangue e denaro) siano superiori ai benefici. Talvolta, questi gruppi possono coagularsi in gruppi contro-egemonici che possono fare dell’isolazionismo un tema dominante, come nella guerra del Vietnam, oppure possono aumentare notevolmente i rischi politici della guerra di Bush contro l’Iraq. Però, fino ad adesso, i blocchi anti-imperialisti hanno solo limitato l’imperialismo USA, ma non lo hanno cambiato fondamentalmente.

3. La crisi dell’Iraq del 2003

3.1 I presupposti storici e ideologici

Ciascuna ondata di imperialismo USA ha avuto innumerevoli concause determinanti. L’Iraq del 2003 non è un’eccezione. Qui vogliamo porre l’accento solo su alcuni fattori che meritano la nostra speciale attenzione. Primo, la dipendenza dal petrolio di tutte le economie capitalistiche avanzate ha dato prominenza al Medio Oriente - la cui posizione lo aveva già reso importante dal punto di vista geo-politico - come un oggetto dell’attenzione dell’imperialismo USA. La strategia dell’imperialismo USA nel ventesimo secolo è stata quella di rimpiazzare il potere coloniale ereditato dall’Europa con “l’influenza” degli Stati Uniti sui nuovi paesi “indipendenti” che in realtà dipendono economicamente in maniera simmetrica dai giganteschi conglomerati petroliferi. Tuttavia, il petrolio era solo una parte dell’importanza del Medio Oriente. Questa popolosa regione era importante dal punto di vista economico e politico in molti altri modi per i concorrenti imperialismi - come si vede dalla priorità data al questa regione dall’imperialismo britannico nel suo momento di massimo potere prima che il petrolio fosse diventata una merce così importante globalmente.

In secondo luogo, le società Medio Orientali furono scosse da tumulti specialmente nella seconda metà del ventesimo secolo. Alcuni fattori che contribuirono a ciò furono il declino dell’imperialismo europeo, le destabilizzazioni della guerra mondiale, l’impatto delle idee socialiste e dei movimenti socialisti locali, le conseguenze della Guerra Fredda, le macchinazioni delle gigantesche compagnie petrolifere e dei governi che le supportavano. Le fortune e i programmi sociali delle diverse classi e gruppi etnici e religiosi all’interno delle nazioni mediorientali cambiarono e spesso si scontrarono quando tentarono di far fronte a questi fattori. Infine, specifiche oligarchie locali raggiunsero una posizione di dominio attraverso alleanze con gli interessi petroliferi, dove ciò era possibile, e più generalmente con interessi imperiali occidentali, specialmente USA.

Terzo, queste alleanze richiedevano finanziamenti e armi americane al fine di rendere possibile la sopravvivenza di tali oligarchie attraverso la sconfitta dei loro nemici interni e la pacificazione delle loro popolazioni. Le oligarchie usarono le risorse date loro dagli USA e dai conglomerati petroliferi per rafforzare la loro estrema ricchezza e la loro posizione politica dominante all’interno dei loro paesi. L’imperialismo USA quindi contribuì a condannare la grande maggioranza delle popolazioni mediorientali ad una continua povertà e repressione politica. Lo sfruttamento di classe era ciò a cui erano soggetti coloro, relativamente pochi, che potevano ottenere gli scarsi posti di lavoro creati dallo sviluppo molto lento prodotto dalle imprese capitaliste estere e dallo sviluppo ancora più lento prodotto dalle imprese locali in quei paesi. La soppressione della resistenza, sia reale che potenziale, alla povertà di massa e alla mancanza di potere e l’imposizione di relazioni di sfruttamento di classe richiedevano che le oligarchie frantumassero tutti i movimenti sociali di opposizione e specialmente quelli con seri impegni socialisti o anti-imperialisti (che fossero supportati dall’Unione Sovietica o no). Talvolta, le oligarchie locali riuscirono nel loro intento da sole. Più spesso, esse usarono le finanze delle compagnie petrolifere e l’aiuto, sia nascosto che aperto, degli USA e, in certe occasioni, le ancora interessate vecchie nazioni imperialiste.

Quarto, per raggiungere e sostenere l’ascesa politica delle oligarchie vi era bisogno di un intenso programma ideologico. Il suo scopo principale era quello di proteggere l’imperialismo USA, i giganti petroliferi, e le oligarchie locali, di modo che non fossero identificati come “l’asse del male” responsabile per le sofferenze delle masse nel Medio Oriente. Il suo metodo principale era una campagna distorta - una specie di sostituzione, una specie di anti-imperialismo con connotati religiosi - costruito attorno la nozione di una crociata contro due mali. Gli oligarchi definirono i due grandi nemici del modo islamico come Israele (spesso identificato con gli Ebrei) e i Marxisti atei, i socialisti e i comunisti, sia stranieri (collegati alla Unione Sovietica) che nazionali. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, solo due movimenti di massa nella maggior parte dei paesi del Medio Oriente avevano la possibilità di contrastare il potere sociale degli oligarchi: (1) i religiosi mussulmani e i loro fedeli e (2) le alleanze di nazionalisti e socialisti. Con la benedizione degli USA, gli oligarchi si allearono con i primi per distruggere i secondi.

L’esenzione dei cristiani dalla lista dei nemici degli oligarchi si collocava molto bene nei, ed era cruciale per, la dipendenza degli oligarchi dall’imperialismo USA. Mirare alla Unione Sovietica, ai socialisti, e ai comunisti dappertutto (Indonesia, Afghanistan, Iran, Cecenia, ecc.) si collocava molto bene nel programma imperialista degli USA della Guerra Fredda. Un supporto finanziario largamente esortatorio e limitato ai Palestinesi contro Israele ed una crociata, sia internamente che all’estero, molto più sostanziale contro tutto ciò che sapeva di sinistra divennero il perno dell’egemonia culturale e politica degli oligarchi. Le crociate contro la sinistra guadagnarono finanziamenti e generosità militare da parte degli USA, che gli oligarchi potevano usare sia internamente che all’estero secondo i loro bisogni.

Eppure le contraddizioni assediavano quest’alleanza e i suoi programmi. Per Israele, al fine di sopravvivere e quindi giocare il suo ruolo centrale, era necessario il finanziamento e il supporto USA. La politica interna degli USA richiedeva la stessa cosa. Tuttavia, il rischio era che l’ostilità per Israele si riversasse sull’imperialismo USA come il vero bersaglio, cioè come il vero nemico del mondo islamico. In altri posti, il risvegliarsi di una mentalità da crociata islamica rischiava che altri alleati dell’imperialismi USA, come gli Indù in India, fossero presi di mira. I conflitti che ne risultarono tra alleati degli USA (vedi Pakistan e India) hanno minacciato ripetutamente altri fini dell’imperialismo USA. La mobilitazione di una crociata Islamica si rivelò essere potenzialmente rischiosa anche per gli oligarchi, la combinazione della cui ricchezza e stretta cooperazione con l’Europa Occidentale e con le elite americane li posizionava distanti dalle vite normali delle masse delle loro nazioni. La loro vulnerabilità interna obbligò gli oligarchi a coltivare i rapporti con l’establishment religioso e, in molti casi, specialmente con i fondamentalisti le cui convinzioni li spingevano a dedicare le loro vite alla mobilitazione delle masse contro quelli che si credevano essere i nemici dell’Islam. L’accordo che essi fecero supportò fortemente e quindi rinforzò le istituzioni Islamiche, specialmente quelle fondamentaliste, per resistere alle incursioni del secolarismo moderno (che era associato alla sinistra). In cambio, gli oligarchi ricevettero i servizi dell’unica alternativa disponibile, organizzata e con una base di massa, alla sinistra interna. Lo scopo principale di quella alleanza era di distruggere la sinistra.

L’alleanza non era facile a causa delle sua contraddizioni. Alcuni oligarchi, per esempio molti della famiglia reale Saudita, avevano condizioni di vita che rischiavano continuamente di attrarre l’ira dei fondamentalisti. Lo stesso valeva per quegli oligarchi con stretti legami con gli USA da cui erano dipendenti. In queste condizioni, gli oligarchi dovevano sviare l’attenzione dei fondamentalisti verso i nemici dell’Islam in altre parti del mondo. Fecero ciò attraverso generosi finanziamenti di gruppi e organizzazioni fondamentalisti, specialmente delle loro attività esterne. Tuttavia, il rischio era di far sollevare altri oligarchi che potevano diventare il bersaglio dei fondamentalisti. Le vecchie divisioni tra gli oligarchi - sulle loro diverse interpretazioni dell’Islam, sulle loro diverse provenienze etniche, sui loro diversi modi di accordarsi con il secolarismo moderno - erano quindi rese più gravi dall’impegno fondamentalista di alcuni di loro. La guerra tra l’Iraq e l’Iran e i conflitti interni, spesso sanguinosi, tra le moderne oligarchie secolari (e il loro apparato militare così dipendente da, e interconnesso con, l’apparato militare statunitense) e i fondamentalisti all’interno delle loro nazioni (per esempio, Algeria, Iran, Turchia, e Egitto) erano le esplosive conseguenze di tali contraddizioni. -----

Talvolta, i fondamentalisti rovesciarono le oligarchie quando le loro alleanze si ruppero. Era allora possibile che i fondamentalisti si confrontassero con un imperialismo americano deluso dalla disfatta dei suoi alleati oligarchi e deciso ad obbligare i nuovi regimi fondamentalisti a comportasi come gli oligarchi prima di loro. Quando ciò non era possibile, o non era possibile immediatamente, come in Iran, gli USA potevano intervenire militarmente o stimolare (e finanziare) uno dei suoi alleati nel Medio oriente a fare ciò: ad esempio la guerra tra Iran e Iraq. I fondamentalisti, quando riuscirono nelle loro crociate ben finanziate contro i socialisti e comunisti all’estero, scoprirono che non erano più necessari e non avrebbero più ricevuto finanziamenti. Per esempio, in Afghanistan, dopo aver sconfitto il regime pro-Sovietico, i fondamentalisti si sentirono traditi e abbandonati dagli USA. La loro crociata si rivolse allora contro gli USA e culminò negli attacchi dell’11 Settembre 2001.

Spinti da diverse pressioni sia domestiche che estere, occasionalmente alcuni oligarchi presero dei sentieri indipendenti dagli USA. Se ciò creava delle difficoltà per iniziative di politica estera americana concorrenti, creava problemi interni al governo americano, o si scontravano con il disegno imperialista americano, veniva intrapresa un’azione correttiva. Gli USA potevano allora intervenire direttamente, come successe all’Iraq nel 2001, ai Talebani nel 2002, e più recentemente di nuovo all’Iraq. Spesso in questi casi, oligarchi che precedentemente erano stretti alleati dell’imperialismo americano - come Saddam Hussein - rischiarono di essere ridefiniti rapidamente come demoni Hitleriani che minacciavano il mondo.

Lo sviluppo economico diseguale, i cambiamenti negli allineamenti politici all’interno di, e tra, paesi nel mondo, e i movimenti culturali globali in continuo movimento hanno introdotto continuamente delle contraddizioni nel contesto e nel meccanismo dell’imperialismo USA. Così, per esempio, il crollo dell’Unione Sovietica e del socialismo dell’Est Europeo in genere dopo il 1989 (e cambiamenti simili in Cina) alterarono l’imperialismo USA nel Medio Oriente e altrove. Le alleanze tra i nazionalisti e i socialisti che erano sopravvissute alle crociate contro di loro fatte dalle alleanze tra gli oligarchi e i fondamentalisti persero ogni supporto (economico, politico e ideologico) che erano riuscite ad ottenere dall’Unione Sovietica e dalla Cina. Per tutti gli anni ‘90, una sinistra non impegnata, demoralizzata e ampiamente distrutta cambiò i propri calcoli politici nel Medio Oriente. Per gli oligarchi (e per gli USA) c’erano meno vantaggi e più costi derivanti dalle loro alleanze con i fondamentalisti che erano ora meno necessari. I loro patroni precedenti sperarono che il fondamentalismo si sarebbe convenientemente trasformato in una religiosità socialmente passiva. Mentre la politica americana spengeva in quella direzione, gli ideologi americani ridefinirono sempre più i precedenti “eroici combattenti per la libertà” come “fanatici religiosi” oppure “fanatici anti-Americani e anti-Cristiani”.

I fondamentalisti considerarono la perdita di appoggio e il peggioramento della loro reputazione negli USA come un tradimento. Lungi dal diminuire, la loro crociata contro il secolarismo, Israele, e gli Stati e le società che loro consideravano come insufficientemente islamici, il rancore aumentò. Con meno aiuto americano da perdere, identificarono gli USA sempre di più e sempre più apertamente come la potenza in ultima istanza dietro Israele, il secolarismo globale, e gli oligarchi che non condividevano la loro dedizione fondamentalista. Da alleati, essi divennero ostacoli per l’imperialismo USA. Una serie di schermaglie emerse tra gli avversari emergenti. Da una parte vi erano gli oligarchi alleati con gli USA (anche se necessità politiche interne mosse alcuni di essi a aiutare apertamente o no il fondamentalismo) mentre dall’altra parte vi era un estremo fondamentalismo, sempre più violento e infuriato. Questa polarità sempre più profonda produsse gli attacchi dell’11 Settembre 2001.

3.2. L’imperialismo USA dopo l’11 Settembre 2001

La distruzione del World Trade Center e i danni al Pentagono dimostrano ben di più della incapacità del governo Bush (CIA, FBI, l’apparato militare, ecc.) di anticipare, prevenire o intercettare gli attacchi. Essi focalizzarono anche l’attenzione sul nuovo e attuale ostacolo/nemico dell’imperialismo USA. E, ancora più importante, gli attacchi offrirono a Bush una opportunità eccezionale per mobilitare il sostegno per un imperialismo americano aggressivo, militarizzato, e promosso dallo Stato. Ciò era stato a lungo richiesto ma senza risultati dall’ala di destra del Partito Repubblicano e dai suoi sostenitori imprenditoriali. Le sfide precedenti all’imperialismo USA dalla Cina, Corea, Cuba, Vietnam, ecc. non erano state affrontate secondo loro con successo da una azione statale sufficientemente aggressiva (cioè militare). Ora essi avevano preso il potere statale (cosa fatta precedentemente da Reagan) e avevano a loro disposizione un attacco agli USA da usare per la necessaria mobilitazione (cosa che non era riuscita al governo Reagan). Una “guerra contro il terrorismo” senza limiti poteva funzionare come un’arma di distrazione di massa, come una distrazione dal fallimento di Bush di prevenire gli attacchi (o di catturare Bin Laden, o di distruggere il fondamentalismo). Allo stesso tempo, poteva essere usato come la maschera culturale per nascondere l’impulso dell’imperialismo USA di assicurarsi le proprie basi e i propri piani sotto le nuove circostanze globali e di minimizzare il dissenso interno.

Ne seguì una demonizzazione tipica, anche se maldestra e confusa, in cui Bin Laden, al-Qaeda, i Talebani, e Saddam Hussein divennero i protagonisti. Al fine di sottolineare la rete di ostacoli all’imperialismo USA che prima o poi doveva essere rimossa, Iraq, la Corea del Nord, Iran e altre nazioni furono raggruppate nell’”asse del male”. Questa demonizzazione distorse grossolanamente, o semplicemente ignorò, le grandi differenze e persino gli scontri tra questi “membri dell’asse”. Ad uso politico interno, le immagini dominanti dipinsero i terroristi come anti-americani, anti-cristiani, anti-democratici, e anti-semiti alleati nella distruzione degli USA tramite una guerra biologica, chimica e atomica fatta da maniaci suicidi. Bush articolò una “guerra contro il terrorismo in ogni parte del mondo”, una guerra interventista e indefinitamente lunga al fine di mascherare la prossima, e la più globale, fase dell’imperialismo USA. La giustificazione era non tanto la classica “missione civilizzatrice” (anche se questa tesi rimane) quanto una semplice “auto-difesa” in cui l’”auto” si estende al di là della stessa “civilizzazione” americana. Questa ultima asserzione è poi usata per far pressione su tutte le organizzazioni internazionali - le Nazioni Unite, la NATO, la UE, e altre ancora - per associarsi o perlomeno appoggiare e contribuire al finanziamento della “guerra” degli USA “contro il terrorismo” pena il rischio di diventare politicamente irrilevanti o persino di sparire.

La prima priorità, dettata sia dalla politica interna USA che dalla strategia imperialista, fu un’azione militare contro un ostacolo debole, facilmente isolato, e militarmente senza difesa come i Talebani. La seconda scelta del governo Bush, Saddam Hussein, risultò essere meno debole, meno facilmente isolata, ed un molto più costoso ostacolo/obiettivo per l’imperialismo USA. Dopo l’Iraq, sembra che vi siano azioni contro altri governi che sono già state pianificate o addirittura già messe in azione, sia apertamente o occultamente: per esempio la Corea del Nord, la Siria, Cuba, Venezuela, Zimbawe, Libia e Iran. Addizioni, sottrazioni e cambiamenti nella scala di importanza dei diversi obiettivi terranno occupati gli strateghi americani della guerra al terrorismo e forniranno abbondante materiale per l’industria ideologica imperialista: la produzione di discorsi politici, di rapporti scritti da istituti di ricerca, di studi accademici, e delle montature giornalistiche dei media. La missione globale per concedere la “democrazia” dappertutto - specialmente dove i governi sono stati più completamente demonizzati come non democratici - sarà la vernice tematica unificatrice su tutto. Dappertutto, gli ambasciatori USA faranno pressione molto apertamente per elezioni e sistemi parlamentari e molto meno apertamente per il modello USA nel quale queste istituzioni dipendono per la massima parte dalla grande industria sia locale che multinazionale.

3.3 I veri obiettivi della guerra: la competizione per poli geopolitico-economici

La guerra contro l’Iraq illustra sia i contorni generali dell’ imperialismo USA che le sue contraddizioni. Come sempre, il capitalismo USA si trova a dover fronteggiare delle contraddizioni: da soprainvestimenti irrazionali - che producono più merci di quanto non possano essere vendute ai profitti desiderati a lavoratori alienati che resistono la pressione per maggior produttività - a livelli senza precedenti nella storia di debiti delle famiglie e delle imprese. Come sempre, una parte della soluzione a questi problemi è identificata nelle opportunità all’estero di aumentare i profitti attraverso esportazioni, importazioni, debiti esteri, investimenti all’estero. Perciò, il mondo degli affari, la politica, e l’industria ideologica americani devono identificare e dare una graduatoria a ciò che viene percepito come ostacolo per le imprese USA di avvantaggiarsi pienamente di tali opportunità. Contro-strategie economicamente efficienti devono essere escogitate e messe in opera contro gli altri poli avanzati. Misure economiche, politiche (sia militari che no) e culturali saranno soppesate e scelte. Le pratiche del passato saranno valutate e aggiornate per essere messe in campo ora. Nuove politiche - rese possibili dalla tecnologia e rese necessarie dalle nuove condizioni - saranno aggiunte all’arsenale imperialista.

La guerra contro l’Iraq ha dimostrato che quattro sono i poli che coglieranno l’attenzione negli anni a venire: l’Unione Europea, il Giappone, la Russia e la Cina. Le loro diverse capacità economiche, politiche e militari di perseguire le strategie imperialiste che emergono dai loro capitalismi sia privati che di Stato pongono problemi sia attuali che potenziali per i bisogni espansionistici dell’imperialismo americano. Per di più, possibili alleanze (tra queste quattro entità o con altre nazioni) limitano o minacciano di ostacolare le ambizioni imperialiste degli USA. Questi ostacoli sono emersi apertamente nelle gravi divergenze di opinioni sulla guerra contro l’Iraq ma esse erano già affiorate precedentemente per quanto riguarda accordi tariffari, ripartizioni di mercati, concessioni di condutture petrolifere, la protezione delle condizioni ambientali globali, e altre questioni. Nel 2003, campagne di demonizzazione negli USA hanno già incluso negli obiettivi la Francia e la Germania. Il capitalismo americano, le cui interazioni economiche con i capitalismi europei e asiatici sono reciprocamente vantaggiose, deve allo stesso tempo fronteggiare le contraddizioni che emergono dalla competizione dei loro interessi e dagli scontri delle loro espansioni imperialiste.

Parimenti, contraddizioni interne e dibattiti affliggono l’imperialismo americano. Quegli imperialisti che preferiscono meccanismi economici, diplomatici e culturali lottano contro tali poli geopolitico-economici e contro chiunque desidera giocare la partita a scapito della preponderanza militare americana. Perciò, i ‘falchi’ del regime Bush-Rumsfeld insistono sul fatto che i fallimenti dei governi precedenti dipendevano dal non utilizzare pienamente quella preponderanza nel passato (in Vietnam, Iraq, Iran e altrove) e ciò comportò perdite inutili e costose per gli “interessi USA”. L’altro lato del dibattito politico convenzionale negli USA si preoccupa dei rischi ancor maggiori comportati dallo strafare militare americano. Mentre i capitalisti e i governi multinazionali del mondo si alleano sia con l’uno o con l’altro lato, in genere a seconda della loro valutazione su chi potrebbe meglio servire i loro interessi, il risultato del dibattito dipende dalla miriade di fattori che sovra-determinano i diversi partecipanti al dibattito.

4. Contraddizioni, controtendenze e movimenti di massa

Come sempre, tra questi fattori vi sono l’emergere e la forza dei movimenti di massa anti-imperialisti. La loro importanza - negata e sminuita da così tanti seguaci dell’imperialismo prima che decine di milioni di cittadini di tutto il mondo hanno manifestato il 15 Febbraio del 2003 - è stata riaffermata da quel momento in poi. Come la guerra contro l’Iraq ha mostrato di nuovo, l’imperialismo ha sempre rischi e costi imprevedibili che sono distribuiti in maniera molto diseguale tra i cittadini di entrambi i lati del conflitto imperialista. Diversi gruppi di elettori possono formare coalizioni ben in grado di influenzare, per esempio, il risultato della lotta tra “falchi’ e ‘colombe’. Un’altra possibilità è che la struttura di classe capitalista che è alla radice dell’imperialismo contemporaneo incontri le proprie contraddizioni nella forma di recessioni sia nazionali che globali. I costi delle - e le alternative alle - politiche e guerre imperialiste possono essere percepite in modi differenti in condizioni di recessione.

Guardando al dopo-2003 e considerando la recessione economica globale che persiste ancora dopo tre anni, si possono scorgere segni di un risorgere di alleanze nazionaliste e socialiste. Gli spostamenti politici in America Latina ( specialmente in Brasile e Venezuela ma anche altrove) che rendono più difficile la vita per l’imperialismo USA in quei paesi, prefigurano spostamenti globali? Potrebbero le nazioni islamiche prendere la stessa via? Mentre queste possibilità attirano l’attenzione strategiche dei leader giapponesi, europei, russi e cinesi, preoccupati dalle rivalità inter-imperialiste e dalla militarizzazione di Bush dell’imperialismo americano, quali nuove e rimarcabili alleanze potrebbero svilupparsi?

Tra tutte le contraddizioni e complicazioni oltre a quelle poche che sono state discusse più sopra, un punto chiave conserva un’importanza centrale. Coloro che sono preoccupati dalla strategia militarizzata imperialista del regime di Bush (accoppiata, come sempre, alle ‘patriottiche’ restrizioni dei diritti civili e del dissenso interni) saranno capaci di andare oltre al rifiuto delle politiche dei ‘falchi’ e a favore di quelle delle ‘colombe’? Questa volta, saranno capaci di mettere in dubbio e criticare gli impegni di entrambe verso l’impero USA e verso quella struttura di classe capitalista per cui l’imperialismo è sempre all’ordine del giorno?