Convegno del Partito dei Comunisti Italiani

Difendiamo il servizio elettrico nazionale contro la distruzione dell’ENEL

Luciano Vasapollo

Del ruolo dell’economia pubblica nel nostro Paese, del suo smantellamento in favore dei processi di privatizzazione, compreso quello dell’ENEL, il Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali se ne è ampiamente occupato anche attraverso le pagine della rivista PROTEO

E’ noto che l’obiettivo delle aziende pubbliche non va ricercato nella massimizzazione del profitto ma in una diversa serie di traguardi che devono essere raggiunti in nome dell’interesse della collettività. Infatti pur essendo fondamentale per questo tipo di aziende raggiungere dei risultati di gestione positivi, d’altro canto è necessario anche tenere in seria considerazione tutti i fattori collegati all’economia nazionale e all’interesse economico e sociale generale. In questo senso si può dire che un’impresa pubblica ha tra i suoi obiettivi principali il raggiungimento dell’efficienza allocativa, redistributiva e sociale che permettano di rendere massima la soddisfazione dei consumatori, di assicurare la maggiore trasparenza possibile e di correggere i fallimenti del mercato.

La necessità di intervenire in settori economici nei quali l’iniziativa privata era in difficoltà ha portato in Italia alla nascita delle partecipazioni statali, e ci sembra che questo sistema abbia dato in passato notevoli risultati positivi, nonostante le sue contraddizioni e i meccanismi e i legami a volte perversi fra mondo partitico e gestione economica. Basti ricordare, ad esempio, l’impulso dato allo sviluppo economico italiano negli anni dal dopoguerra agli inizi degli anni ‘70, anche se la crescita economica si è realizzata provocando squilibri settoriali e territoriali, oltre a quelli economico-redistributivi. A conferma di quanto detto basti ricordare, ad esempio, quanto sia stato importante in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno l’intervento dello Stato nella delicata fase della ricostruzione post-bellica. E’ importante ricordare che gli obiettivi di un’impresa pubblica devono essere in grado di giustificare la presenza pubblica nei settori strategici per lo sviluppo dell’economia nazionale, dando sostegno alle imprese presenti nei settori caratterizzati da redditività di lungo periodo e da investimenti altamente rischiosi e poter nel contempo permettere il perseguimento di politiche strutturali dell’occupazione (e il settore dell’energia elettrica e l’ENEL rispondono sicuramente a questi requisiti).

Si tratta di obiettivi che richiedono quindi una valutazione critica del confine Stato-mercato e una forte riflessione politico-economica e sociale nella realizzazione di un qualsiasi programma di privatizzazione, in particolare poi in un settore ed un mercato come quello energetico.

Ci sembra giusto ricordare che l’articolo 42 della nostra Costituzione prevede due forme di proprietà: quella pubblica e quella privata ed è previsto che quest’ultima sia espropriata per motivi di pubblico interesse. Non è menzionato in alcun articolo della nostra Costituzione il fatto che sia la proprietà pubblica ad essere abolita. Seguendo proprio l’impostazione della nostra Costituzione ne risulta il ruolo che deve avere un’appropriata, articolata e indirizzata economia pubblica, anche a carattere locale, la quale può far sì che il Paese si possa dotare di un modello economico su cui finalmente innescare uno sviluppo compatibile socialmente e dal punto di vista ambientale.

Ed è questo che si è cercato di fare nel nostro Paese attraverso l’economia pubblica, nonostante i limiti e le distorsioni, e perseguire tali obiettivi sarebbe ancora più valido economicamente e socialmente in questa fase dello sviluppo italiano in cui si assiste ad intensi processi di deindustrializzazione e forte concorrenza internazionale. Inoltre, se da sempre vi sono degli specifici settori dell’economia che sono soggetti a controllo da parte dello Stato, in quanto forniscono dei servizi strategici ed essenziali ai cittadini e alle altre imprese (ci si riferisce alle imprese operanti nel campo dell’energia, dell’acqua, telecomunicazioni ecc., senza poi considerare i consumi collettivi, pubblici per eccellenza, come quelli dell’assistenza, sanità, difesa, previdenza ecc., cioè la “produzione di welfare”), oggi, proprio in questi settori l’intervento dello Stato sarebbe ancor più una garanzia per tutti di un accesso paritetico alla qualità dei beni e servizi prodotti.

Per realizzare tali obiettivi, però, bisogna saper identificare sempre, nei diversi contesti politici e periodi storico-economici, la forma che possono assumere le imprese pubbliche e come si deve contraddistinguere una diversa, complessiva ed efficiente economia pubblica a valenza sociale.

Oggi più che mai si dovrebbe procedere ad un allargamento della base delle grandi imprese ed un rafforzamento del tessuto di PMI, accompagnato da una equilibrata ed efficiente economia pubblica, in modo da far sì che l’industria italiana abbia adeguata forza per rimettersi in corsa e recuperare quei margini di competitività di cui tanto necessita. E’ importante il recupero tecnologico in settori per il nostro Paese tradizionali e lo sfruttamento della adattabilità alle esigenze ed alternative che si presentano di volta in volta, che sono possibili solo con un serio governo di indirizzo dello sviluppo che non può prescindere dal fondamentale ed efficiente ruolo pubblico nei servizi essenziali e nei settori strategici dell’economia. Si assiste, invece, alla mancanza assoluta di una proposta seria e alternativa di sviluppo incentrata anche sul ruolo di un’efficiente impresa pubblica e, dopo aver eliminato l’anomalia rappresentata dal Ministero delle Partecipazioni Statali, si è commesso l’errore di sdoppiare nuovamente la politica industriale tra due Ministeri: quello dell’Industria e quello del Tesoro che si è fatto carico di indirizzare il modello di sviluppo tutto incentrato su un intenso processo di privatizzazione.

Al rilancio ed alla ridefinizione del ruolo dell’impresa pubblica, certamente non contribuisce, come si è già detto, la mancata chiarezza del Governo Prodi e anche di questo Governo sulle linee di indirizzo complessive dell’economia che sembrano esclusivamente incentrate sul tema delle privatizzazioni.

Ciò spiega ancor meglio i connotati anche qualitativi, oltre che quantitativi, della ristrutturazione del capitale e la voluta ridefinizione dell’economia mista, anzi la sua sostituzione con un’univoca politica di privatizzazioni e come essa assuma sempre più un ruolo fondamentale per cancellare anche ciò che di buono l’economia pubblica aveva realizzato.

Nel febbraio 1998, in una relazione fatta in Parlamento, il Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, elencava i principali compiti delle privatizzazioni nel nostro Paese ed in specifico:

1) permettere una dismissione selettiva del patrimonio statale i cui ricavi influenzino il contenimento del debito pubblico; [1]) distogliere lo Stato da quei settori nei quali non è più comprensibile un suo ruolo da imprenditore; 3) contribuire al rafforzamento dei mercati finanziari. “Risanare sotto ogni profilo l’industria pubblica, creare un mercato dei capitali, ristabilire una linea di demarcazione tra la proprietà pubblica e privata; al tempo stesso diminuire la crescita del debito pubblico. E’ il caso dell’ENI, per il quale si è seguita la linea di concentrare l’attività industriale sulle <attività chiave> e di dismettere le attività non strategiche...... Si, il Tesoro vuole valorizzare prima di vendere....... In conclusione, la valorizzazione non è in contraddizione con la privatizzazione. Anzi, lo ripeto, ne è una doverosa fase preparatoria......”.  [/b]

Quello che si sta perseguendo è proprio l’obiettivo di valorizzare le imprese pubbliche per poi venderle. E questo è il caso emblematico dell’ENEL, che come azienda S.p.A. è attiva da sei anni costando 300mila miliardi agli italiani. L’esigenza di un’azienda privatizzata è quella di creare massimi profitti per i propri azionisti e questo obiettivo mal si accorda con la strategicità di un settore come quello dell’energia elettrica. In che modo in termini di semplice redditività, ad esempio, sarebbe giustificabile un intervento di potenziamento elettrico in una zona poco popolata o rurale? O ancora: come sarebbe pensabile giustificare investimenti innovativi ad alto potenziale tecnologico nelle centrali elettriche più vecchie situate in zone a basso sviluppo economico, misurato esclusivamente in termini di realizzazioni di profitti? Invece andrebbe assunta come prioritaria la prima parte del discorso di Ciampi. Infatti le imprese del panorama industriale italiano che necessitano oggi più che mai di un riassetto , di un risanamento e di un rilancio sono proprio quelle appartenenti alla sfera pubblica, e tra queste certamente vi è l’ENEL.

L’impresa pubblica italiana, e l’ENEL è un caso emblematico, si trova oggi ad operare in condizioni di assoluta incertezza, che sicuramente non agevolano il già difficile recupero che in alcuni comparti sembra addirittura impossibile. A generare incertezza vi è sicuramente, insieme alla mancanza di una articolata politica di sviluppo, l’accelerazione vertiginosa impressa al processo di privatizzazione, con tutte le sue conseguenze economiche, politiche e sociali. Il venire meno del controllo politico, che certamente rappresenta un fatto positivo, paradossalmente spiazza il sistema delle imprese pubbliche che si trovano improvvisamente di fronte ad una ridefinizione della loro funzione obiettivo. Operare sul mercato senza più alcun tipo di protezione, rappresenta per l’impresa pubblica italiana un passaggio che, con drammaticità, mette in evidenza la sua strutturale debolezza. La più evidente si riscontra nella incapacità di saper anticipare e rispondere al mercato governando i processi di trasformazione; anche l’incapacità di riposizionarsi sul mercato e di internazionalizzare le proprie attività sono un chiaro esempio di questa debolezza.

 

 

2. Il ruolo dell’ENEL nello sviluppo del Paese

 

Proprio questi limiti precedentemente enunciati per l’impresa pubblica, sono stati e sono i limiti dell’ENEL, che ha bisogno si di un risanamento e rilancio ma come impresa pubblica, perché in tale veste ha conseguito anche successi, buoni risultati e obiettivi di socialità.

Va ricordato che l’ENEL in qualità di ente pubblico nasce giusto 36 anni or sono attraverso la nazionalizzazione di quasi 1.300 aziende elettriche di natura privata. Il fine istituzionale è quello di operare in regime di monopolio e concessione con lo specifico mandato istituzionale di garantire una disponibilità di energia elettrica che debba essere sempre adeguata per quantità e prezzo alle modalità di uno sviluppo economico equilibrato dell’Italia, mantenendo nel contempo minimi costi di gestione, elettrificando la totalità del Paese e assicurando un servizio pubblico, cioè a costi contenuti e differenziati anche attraverso la tariffazione sociale.

In ogni caso anche se con alcune disfunzioni ed inefficienze e con condizioni di lavoro spesso non pienamente soddisfacenti, né in termini salariali né in termini qualitativi, l’ENEL in questi 36 anni ha comunque rappresentato un punto di riferimento per l’intero sviluppo economico e sociale italiano, favorendo, attraverso un servizio elettrico tra i migliori nel mondo, la crescita dell’intero sistema economico e un significativo miglioramento delle condizioni di vita dell’intera popolazione. Basti pensare che si è ampiamente superato il milione di Km di linee esistenti, più che triplicando le linee esistenti nel 1962; la riserva di potenza è quasi il 30% della domanda di picco, livello di percentuale tra i primi nel mondo; in 36 anni la popolazione non servita è passata da circa il 3,5% a neppure lo 0,1%. Non si può quindi sostenere che l’ENEL è uno dei tanti “baracconi pubblici” che non ha funzionato “succhiando e dissipando” denaro pubblico.

Nonostante tali lusinghieri ed economicamente validi risultati, anche in termini di efficienza e di efficacia gestionale, la legge n. 359 dell’agosto 1992 ha disposto la trasformazione dell’ENEL in società per azioni suggerendo per la collocazione sul mercato il modello della public company in quanto questo schema è considerato il più adatto a consentire un avvicinamento dei piccoli risparmiatori (orientati da sempre verso i titoli di Stato) alla proprietà azionaria. Tale legge, inoltre, ha conferito al Ministero del Tesoro l’incarico di elaborare un programma di riordino anche in merito al collocamento della proprietà azionaria sul mercato, ponendo così le basi per lo smantellamento dell’ENEL pubblica e per lo “spezzatino privatistico” con la scusa che non si può passare da un monopolio pubblico a uno privato.

 

3. Liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica e privatizzazione dell’ENEL. I dettami comunitari

 

Il riordino del settore elettrico si sta svolgendo secondo due processi separati che però si intrecciano intimamente: la liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica e la privatizzazione dell’ENEL.

Per quanto concerne l’operazione di privatizzazione in senso stretto dell’ENEL, si è già detto che il settore elettrico è altamente strategico in tutte le strutture economiche e in particolare per il nostro Paese che è fortemente dipendente dall’estero per quanto attiene le materie prime e i prodotti energetici. E’, quindi, chiaro che fin da subito il principale problema che bisogna porsi è quello di verificare se è possibile conciliare l’esigenza di un buon livello di economicità con quella di pubblico servizio. La privatizzazione, infatti, imponendo una logica che persegue esclusivamente gli obiettivi reddituali e valoriali d’impresa tende a privilegiare nettamente l’economicità a scapito dell’utilità del servizio pubblico. Una completa dismissione porterebbe senza dubbio all’insorgere di problemi gravissimi e non risolvibili per l’intera economia nazionale.

Le prime ristrutturazioni avvenute in vista della privatizzazione hanno confermato i dubbi esposti. Il processo di privatizzazione comporta necessariamente dinamiche di concentrazione aziendale che fanno sì che i presidi nelle zone a “bassa convenienza” devono essere eliminati per esigenze puramente finanziarie, affossando la logica del sistema a rete. Basti pensare che mentre prima anche le città piccole avevano comunque sedi operative, amministrative e commerciali dell’ENEL, si è ora avviato un processo di smantellamento. Un esempio: in Basilicata e in Molise la struttura locale dell’ENEL in pratica non esiste più; i processi di concentrazione della presenza aziendale ha chiaramente penalizzato oltre ai lavoratori anche i cittadini, come si può notare in gran parte nel Meridione.

Altro esempio. Come si vede dal Graf.1, nel 1996 l’ENEL impiegava 93.879 addetti; è interessante rilevare che il dato se confrontato con quello dell’anno precedente mostra un decremento di oltre 2.400 unità (circa il 2,5%).

E’ importante anche mostrare (Tab.1) la ripartizione del personale tra le varie fasce professionali per consentire un rapido confronto tra i due anni ed evidenziare i mutamenti nella struttura occupazionale che si sono segnalati.

La Tab.1 mostra che sono soprattutto gli operai e poi gli impiegati che subiscono la forte riduzione tra i due anni, mentre l’organico dei quadri e dirigenti è addirittura in aumento. Per non parlare delle condizioni e i ritmi di lavoro che continuano a peggiorare, anche perché non si fa assolutamente ricorso a riduzione di orario di lavoro per compensare l’eventuale eccedenza di manodopera, continuando invece a proporre piani costosi di incentivazioni delle uscite.

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Se nel 1962 la nazionalizzazione del settore energetico è stata una battaglia politica ed economica che ha unito tutte le forze progressiste, di natura socialista e liberale, per affermare il ruolo di uno Stato imprenditore nei servizi di pubblica utilità ed in particolare in un settore strategico come quello dell’energia, ci sembra che oggi attraverso la privatizzazione dell’ENEL si voglia perseguire un disegno tutto politico incentrato su un ruolo dello Stato come portatore degli interessi dell’impresa privata e non per favorire i cittadini e l’interesse pubblico inteso nella sua forte accezione politico-sociale redistributiva.

Che il fine dello smantellamento del servizio elettrico pubblico sia un’operazione tutta politica e tutta interna alla ridefinizione del modello di capitalismo italiano, lo si vede da come il Governo vuole interpretare e recepire la Direttiva Comunitaria n. 96/92/CE. Infatti è un falso sostenere che la privatizzazione del sistema elettrico nazionale è imposta dalla Direttiva Comunitaria n. 96/92/CE. Tale direttiva, come ha già egregiamente sottolineato nel suo intervento Franco Calistri, prevede norme comuni per il mercato dell’energia elettrica indicando criteri cui lo Stato italiano dovrebbe attenersi entro il 19 Febbraio 1999 o chiedere un periodo supplementare di uno o due anni per l’attuazione della direttiva come hanno fatto ad esempio Belgio, Irlanda e Grecia. Premesso che i contenuti di tale direttiva comunitaria si ispirano a criteri di prudenza e gradualità, il tema affrontato è soprattutto quello della liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, che è cosa diversa da un processo di completo riassetto in senso del tutto privatistico dell’intero settore elettrico nazionale.

E’ infatti lo stesso Trattato dell’Unione Europea che prevede per i paesi aderenti la possibilità di salvaguardare in ogni caso gli interessi generali e gli obblighi di servizio pubblico. Infatti nel 1980 (Direttiva 723/80/CEE del 25 Giugno) la Comunità Europea ha fornito una prima definizione di impresa pubblica intesa come “public undertaking”, ossia come un soggetto “su cui le pubbliche autorità possono esercitare direttamente o indirettamente un’influenza dominante in virtù della loro proprietà su di esso, della loro partecipazione finanziaria, oppure delle regole che lo governano, definendo per autorità pubblica, sia le autorità statali e regionali, che quelle locali”. [2]

In sostanza comunque l’impresa pubblica viene considerata nel Trattato dell’U.E. “.... in due distinte accezioni. Anzitutto è impresa pubblica quella in cui l’influenza dominante dei pubblici poteri si esercita attraverso diritti e facoltà inerenti alla proprietà od alla partecipazione finanziaria indipendentemente dall’attività svolta (si pensi alla miriade di società in partecipazione statale). In secondo luogo va considerata pubblica l’impresa esercente una attività ad inerenza pubblicistica per la quale l’ordinamento interno prevede la possibilità di deroghe al regime ordinario delle libertà di iniziativa sino al limite della sua completa soppressione, con il contestuale affidamento riservato (nel nostro ordinamento sicuramente trasporti, telecomunicazioni, energia, acquedotti, attività portuali, ecc.) ai pubblici poteri, i quali possono esercitarla direttamente (con amministrazioni a personalità indistinta) o a propria volta affidarne lo svolgimento (in esclusiva anche per singoli aspetti) ad enti costituiti appositamente, società in proprietà comune o di proprietà privata (nel caso dello svolgimento delegato dell’attività in riserva i diritti speciali od esclusivi saranno per lo più conferiti utilizzando gli schemi organizzatori della concessione).” [3]

Il diritto comunitario (Trattato Istitutivo della CEE) analizza da vicino il problema delle privatizzazioni soprattutto in due articoli: nell’art. 90, comma 1 [4], si sancisce il principio di parità di trattamento tra imprese pubbliche e private e l’art. 222 decreta il principio dell’indifferenza comunitaria nei confronti dei meri profili soggettivi della proprietà. In sostanza comunque appare chiaro che il diritto comunitario dà una rilevanza molto minima al profilo soggettivo dell’impresa in quanto le norme enunciate non consentono di ritenere che l’affidamento privato di azienda ed attività sia maggiormente conforme alle finalità del Trattato di quanto lo sia l’esercizio effettuato da parte dello Stato, di enti pubblici ovvero di imprese da esse detenute. [5]

La stessa Direttiva 96/92/CE prevede la possibilità da parte dei paesi membri di non aderire a quanto previsto dall’articolato della direttiva stessa, laddove la direttiva entri in contrasto con gli obblighi da parte delle imprese pubbliche di tutelare l’interesse economico generale. In base a tale principio si può quindi derogare dal principio della concorrenza per giustificati motivi addotti dai paesi interessati che siano intimamente motivati dalla difesa dell’interesse economico generale legato a problemi di regolarità e qualità di servizio, determinazione e diversificazione di prezzo e salvaguardia del patrimonio ambientale e dell’assetto complessivo del territorio.

Non si può certo non pensare che nell’interesse economico generale non rientri quello di rifornire di energia elettrica tutti gli utenti di ogni zona, anche la più impervia e disastrata, differenziando e regolamentando le tariffe anche in funzione di principi di socialità. In particolare in un paese come l’Italia, con la sua struttura geografica e socio-economica, è certo da ritenersi come interesse economico generale anche quello di concentrare gli sforzi a favore delle aree depresse del Mezzogiorno e dei ceti meno abbienti in generale.

Proprio pensando alla diversità dei sistemi elettrici nei vari paesi europei, la direttiva 96/92, ponendosi l’obiettivo di liberalizzazione del mercato elettrico, spinge per un approccio graduale e diversificato nei diversi Stati membri proponendo un quadro di riferimento comportamentale nel riassetto degli specifici sistemi elettrici nazionali, incentivando di fatto un recepimento della direttiva con approcci diversi da paese a paese tenendo conto delle specificità dello sviluppo economico che li caratterizzano.

Ecco quindi che all’Italia si presenta un ventaglio di opportunità di come recepire la direttiva, anzi ci sono tutti i presupposti per non aderire a quanto previsto dall’articolatodella direttiva comunitaria. Tranne che proprio il Governo italiano non riconosca che per il proprio Paese non sussistono motivi di interesse economico generale, o non si voglia forse riaprire il dibattito relativamente ai monopoli naturali e all’effettiva ed equilibrata tutela della concorrenza e su cosa significhi regolarità e qualità del servizio e come questa contrasti con i meri obiettivi di profitto. Forse questo Governo, per la sua composizione politica, più di quelli che lo hanno preceduto, dovrebbe riflettere, invece, sul fatto che è estremamente pericoloso modificare il monopolio dell’ENEL senza distruggere quel patrimonio ideale e prima di tutto di equità sociale ed economica che ha contraddistinto la politica elettrica italiana, basata su l’uguaglianza delle tariffe su tutto il territorio nazionale prescindendo dal reale costo marginale relativo al singolo utente, e imponendo inoltre la tariffazione sociale.

Comunque, come opzione di secondo ordine, se il problema è soltanto quello della liberalizzazione del settore, e non tanto quello della distruzione completa del servizio pubblico attraverso la privatizzazione dell’ENEL, allora ci potrebbe anche essere da parte nostra un approccio non necessariamente di rifiuto preconcetto. Innanzitutto va precisato che la liberalizzazione del mercato elettrico nazionale, voluta dalle direttive comunitarie, è cosa ben diversa dallo spezzettamento e smantellamento dell’ENEL che si vuole attuare con la privatizzazione; inoltre nel nostro Paese la liberalizzazione è già attuata in quanto insieme all’ENEL nel settore elettrico operano privati e municipalizzate. Il Governo, allora, potrebbe accettare e proporre, ad esempio, un modello simile a quello presente in Germania modello che per la distribuzione dell’energia elettrica si affida ad un ruolo prioritario delle aziende municipalizzate, imponendo inoltre, per il nostro Paese una gestione unica nelle aree in cui queste ultime operano in presenza anche dell’ENEL. Sarebbe anche importante fare riferimento al progetto di legge presentato dal Governo francese incentrato su forme di perequazione territoriale delle tariffe, realizzando nel contempo tariffe sociali per i cittadini in situazioni di disagio economico. Nel nostro Paese si potrebbero combinare investimenti diretti e produttivi, in particolare nel Mezzogiorno, favorendo le politiche locali di sviluppo attraverso l’intervento combinato dell’ENEL, delle aziende municipalizzate e gli “autoproduttori” in una politica energetica a carattere europeo. Ribadendo, così, nel contempo un principio politico ed economico fondamentale, e cioè che l’energia elettrica deve rimanere un servizio pubblico tale da assicurare rispetto ambientale e del territorio concorrendo alla sicurezza pubblica e ad un alto grado di coesione sociale, in un piano di intervento europeo che favorisca investimenti produttivi e nella ricerca a carattere innovativo e sviluppo eco-socio-compatibile.

Altro discorso è quello della privatizzazione in senso stretto dell’ENEL che punta esclusivamente a favorire i processi di finanziarizzazione della nostra economia attraverso uno “spezzatino” che passa sulla pelle dei lavoratori dell’ENEL, del Parlamento, di tutti i cittadini-utenti in particolare quelli appartenenti ai ceti più deboli. Lo “spezzatino ENEL” non può favorire l’occupazione, anzi con più aziende si abbatterebbero le economie di scala, le piccole aziende create verrebbero messe fuori mercato dai concorrenti europei, provocando l’aumento delle bollette e diminuendo gli occupati.

Lo smantellamento dell’ENEL porterebbe esclusivamente ulteriori profitti alle banche, ai finanzieri, agli investitori istituzionali e ai grandi poteri finanziari nazionali e internazionali, aggravando nel contempo gli squilibri nello sviluppo economico del nostro Paese, depotenziando le reti elettriche nelle zone disastrate o scarsamente popolate, aumentando pesantemente i costi per i cittadini e sfruttando contemporaneamente quel potenziale produttivo che è stato creato con denaro pubblico, rispondendo così al tanto caro modo di pensare dei capitalisti italiani che è quello di socializzare le perdite privatizzando gli utili.

Anche nel caso dell’ENEL, bisogna avere il coraggio politico di evidenziare assolutamente, in una battaglia dei lavoratori e nel sociale appoggiata da una incisiva iniziativa parlamentare, che le contraddizioni tra regole di mercato e garanzia di una qualità della vita dignitosa dei cittadini-lavoratori non sono risolvibili a partire dagli automatismi interni allo stesso mercato e imposte dalle politiche neo-liberiste.

L’ENEL va mantenuta pubblica, come azienda unica verticalmente integrata capace di concorrere sul mercato elettrico internazionale; si deve imporre la tariffa unica nazionale con salvaguardia di una seria tariffazione sociale; effettuare investimenti sul parco nazionale delle centrali aumentando la capacità produttiva attraverso tecnologie a risparmio energetico, a basso impatto ambientale e con fonti energetiche pulite.

La logica dello smantellamento dell’ENEL è quella di un capitalismo “selvaggio”, senza regole che insegue la mera realizzazione del profitto senza scrupoli, senza regole, creando così seri scompensi sociali in termini di aumento della disoccupazione e di abbassamento della qualità della vita in genere. Il processo di riconversione, di ristrutturazione, di innovazione tecnologica dell’ENEL non può basarsi sul calo dell’occupazione, le migliori politiche imprenditoriali non possono essere quelle basate su maggiori profitti derivanti da più alti tagli occupazionali.

In questo momento di mutamenti epocali bisogna avere il coraggio culturale e politico di denunciare che l’operazione di privatizzazione dell’ENEL ha solo connotati politico-economico-finanziari legati a quei vecchi schemi del modello di capitalismo italiano che ha realizzato molto spesso intrecci capaci di innescare meccanismi perversi e destabilizzanti. Si tratta di un nodo difficile da sciogliere utilizzando i tradizionali modelli di intervento; in un caso come quello dell’ENEL si capisse ancora di più quanto il mercato non possa disciplinare se stesso, necessita della mediazione politica, di un intervento da parte dello Stato che realizzi la trasparenza, l’efficienza e la competitività del mercato, salvaguardando però l’interesse economico e sociale generale, garantendo si redditività da coniugare assolutamente, però, a giustizia sociale e distributiva, creando ricchezza e lavoro.

Si tratta cioè, anche per il settore dell’energia elettrica, di distribuire socialmente l’accumulazione valoriale che il servizio può produrre e non “gonfiare ancora le tasche” con profitti a quei potentati economici che fanno della speculazione finanziaria la loro ragione di esistere. Se seguisse questa impostazione di privatizzazione dell’ENEL e smantellamento del servizio pubblico, il Governo assumerebbe la peggiore cultura d’impresa, la cultura della globalizzazione finanziaria a facile profitto e a bassissima compatibilità ecologica e sociale, una cultura che diventerebbe terreno di concreta iniziativa per gestire anche la convivenza sociale secondo principi di darwinismo economico.

Il sistema elettrico pubblico e l’ENEL hanno invece bisogno di una sana e reale politica industriale di settore all’interno di un piano energetico europeo a forte carattere di innovazione tecnologica a tutela ambientale, incanalando i flussi di risparmio verso investimenti produttivi e di ricerca in senso ampio, capaci di creare lavoro e di attuare un miglioramento complessivo del servizio e delle condizioni di vita dei lavoratori del settore e di tutti i cittadini-utenti.


[1] Il 21 gennaio 1999, alle ore 16 (in Via Appia n.96, 00183, Roma) si è tenuto un Convegno dibattito in cui è stato presentato il dossier sulle privatizzazioni pubblicato nei numeri 1 e 2 di PROTEO.

[/b] Cfr C.A.Ciampi , Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica, nel IL Sole 24 ORE, del 7 Agosto 1998 pagg.1 e 2.

[2] Parris H. et al.: “L’impresa pubblica nell’Europa occidentale”, Franco Angeli, Milano, 1988, pag. 14.

[3] In Amorelli G., “Le privatizzazioni nella prospettiva del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea”, CEDAM, Padova, 1992, p.28-29

[4] “Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente Trattato.....”; le imprese di cui si parla nella norma sono quindi assoggettate alle regole della concorrenza.

[5] Cfr. Amorelli G.., “Le privatizzazioni...”, op. cit., pag.242-243.