Alitalia: si liquida?! Una risposta della CUB trasporti

Antonio Amoroso

1. Salvare la Compagnia di Bandiera e il futuro di migliaia di lavoratori

La Compagnia di Bandiera e tutto il settore del trasporto aereo italiano attraversano una crisi le cui radici affondano negli effetti devastanti della deregolamentazione (deregulation) che ha investito il comparto fin dagli inizi degli anni ‘90.

È ormai dimostrato che la situazione in cui versa il settore non è frutto dei più recenti fattori internazionali di crisi (11 settembre, SARS, Guerra): le difficoltà che coinvolgono molti vettori in Europa (...e non solo!) persistono nonostante i forti segnali di ripresa del traffico aereo, segnati da una risalita degli indici di movimentazione passeggeri e merci al di sopra delle più ottimistiche previsioni (come accade ad es. a Fiumicino).

Per quanto attiene ai vettori italiani, grave è la situazione sia dell’Alitalia che delle altre aviolinee con ricadute pesantissime anche sull’occupazione e le condizioni di lavoro.

Dunque, 11 settembre, SARS e Guerra si sono sovrapposti a una preesistente situazione di criticità determinata dalla scomparsa di punti di riferimento certi che si concretizzavano (negli anni ‘70) in norme definite, rapporti di lavoro prevalentemente stabili, creazione di grandi aziende pubbliche, sia nella gestione delle infrastrutture e dei servizi, sia nel campo dei vettori con una grande Compagnia di Bandiera pubblica.

Molte, quindi, le cause della situazione attuale: generali e di sistema ma, anche, specifiche.

Fin da subito, denunciamo l’aberrante facoltà concessa, dagli inizi degli anni ‘90, a chiunque lo volesse, di costituire piccole e piccolissime aviolinee. Una tendenza che ha portato oggi a operare in Italia oltre 20 vettori, quasi tutti concentrati sul traffico domestico.

Queste compagnie hanno eroso progressivamente quote di traffico alla Compagnia di Bandiera, basando la loro competitività sui bassi costi di gestione e soprattutto sull’abbattimento del costo del personale, generando ulteriore peggioramento delle condizioni di lavoro e riducendo le tutele esistenti per migliaia di lavoratori, se non addirittura mettendo in crisi i livelli di sicurezza per gli stessi viaggiatori.

Questo fenomeno si è potuto consolidare, in Italia, anche grazie al mancato sostegno dei Governi italiani alla Compagnia di Bandiera nelle sedi della Comunità Europea dove, sempre agli inizi degli anni ‘90, si decise il nuovo assetto del trasporto aereo europeo e si lasciò che il ruolo di vettori guida venisse affidato alle compagnie di bandiera inglesi, francesi e tedesche.

Negli ultimi dieci anni è stato inevitabile quindi il progressivo declino della nostra Compagnia di Bandiera nonostante le alleanze commerciali, il nuovo hub, la vendita del patrimonio, le cessioni di pezzi di azienda, il precariato, i tagli al personale e alle retribuzioni dei dipendenti.

Fallimentari sono stati i piani di risanamento che si sono susseguiti, peraltro finalizzati a fare cassa senza puntare al risanamento e allo sviluppo.

Altro che Alitalia vettore globale: tale concetto è stato talvolta sbandierato dalla politica solo per propaganda.

2. Un processo di ridimensionamento che parte da lontano

In realtà il progetto di rilanciare la Compagnia di Bandiera come vettore globale, da anni, non è più supportato dalla classe politica italiana.

Nessun Governo, nei 10 anni passati, ha tentato di imporre la rinegoziazione nella Comunità Europea della posizione Alitalia, già uscita dal novero delle suddette tre maggiori compagnie.

La strategia della U.E. è chiara da anni. La De Palacio, ultimamente responsabile di inaccettabili e illegittimi pronunciamenti per conto della U.E. (in aperta violazione all’art. 222 Trattato della C.E. che vieta alla Commissione Europea di esprimersi sugli assetti proprietari delle aziende degli Stati membri) in merito all’obbligo di privatizzare l’Alitalia e di tagliare il personale in cambio del varo del prestito-ponte, già a giugno del 2003 dichiarava che in Europa sarebbero state molte le compagnie, entro breve tempo, spazzate via o comprate dai vettori più forti ...

Da tempo, pertanto, si è subita l’imposizione di un ridimensionamento della Compagnia di Bandiera che la politica italiana, invece, avrebbe dovuto ostacolare. Ridimensionamento che alcune forze politiche (del centro-destra come del centro-sinistra) hanno addirittura favorito e che oggi continuano a rivendicare e a sostenere (vedi ultime dichiarazioni di Bersani, Letta, D’Alema ma anche Bottiglione, Fini, ecc.).

La volontà di ridimensionare l’Alitalia ha prevalso e si è concretizzata attraverso il disegno di smembrare e polverizzare la Compagnia: un progetto industriale che alberga da anni nelle stanze del quartier generale della Magliana e che, in parte, è stato già realizzato.

Lo smembramento è stato un obiettivo perseguito con tenacia dal management che si è susseguito alla guida dell’Alitalia e sempre con la scusa di dover far cassa per far fronte a situazioni di emergenza finanziaria.

È toccato al catering (Sodecaer, Ligabue), agli scali (Az Airport), a prenotazioni (Seven C a Palermo divenuta oggi Alicos), all’attività di volo (Az Express), all’addestramento ed alla formazione, alla rete vendita, al servizio di sicurezza, alle manutenzioni impianti, all’help-desk, a settori dell’amministrazione (con la società Ales e con trasferimenti di attività a Budapest e Manila!), all’assicurazione, al CED (il progetto di cessione non riuscì perché, in extremis, fu respinto dai lavoratori), alla manutenzione motori, ecc.

3. Il piano industriale di Cimoli: un progetto di liquidazione della Compagnia di Bandiera

Anche l’attuale Piano industriale si inserisce in questo filone, segnando l’assoluta continuità con i progetti presentati dagli amministratori delegati succedutisi alla guida della Compagnia.

Di fatto il Piano frammenta definitivamente quello che è rimasto delle attività della Compagnia, le societarizza e le esternalizza, espelle migliaia di lavoratori: di fatto non contempla una strategia di sviluppo ma, ancora una volta, di pesante ridimensionamento.

I numeri esposti da Cimoli, dopo la pace estiva, parlano chiaro.

5.000 lavoratori in esubero: 1500 tra Assistenti di Volo e Piloti, 3500 tra gli addetti di terra.

Inoltre, il personale di terra dell’Alitalia oltre agli esuberi, conoscerà l’incertezza delle esternalizzazioni: una soluzione che colpirà altri circa 5. 000 dipendenti che saranno espulsi dall’azienda con operazioni di out-sourcing e travasati in numerose piccole e piccolissime aziende dopo aver fatto un passaggio breve sotto l’ombrello di Fintecna e/o Finmeccanica.

Infatti il Piano di Cimoli, come quello di Mengozzi e di Zanichelli, è un Piano di liquidazione della Compagnia di Bandiera italiana!

Il Piano, infatti, è funzionale all’acquisizione da parte di Air France-KLM delle attività Alitalia di volo: tratte redditizie, aerei, traffico passeggeri e merci. Allo stesso tempo si scarica il personale e si svendono, per fare cassa, le attività strategiche effettuate a terra.

È questa la chiave di volta, a nostro avviso, dell’intera vicenda: Air France-KLM prima di annettersi l’Alitalia dettano le condizioni, imponendo anche il prezzo sociale e strategico di tale operazione. Vogliono una compagnia snella e attraente, alleggerita del suo personale di cui gli olandesi e i transalpini non saprebbero cosa farne.

A tale proposito ricordiamo che il 7-5-04 il Presidente dell’Aduc dichiarò che l’Alitalia era stata scambiata con qualche commessa sull’alta velocità Lione-Torino-Milano-Venezia-Trieste-Kiev.

Una ipotesi che se venisse confermata, rappresenterebbe una scelta inaccettabile, sottesa non certo dall’intenzione di tutelare gli interessi generali, dei lavoratori e dell’intero Paese.

Infatti, si assesta in questo modo un definitivo colpo mortale all’unico settore industriale strategico rimasto in Italia, disgregandolo completamente e distruggendo quello che, invece, potrebbe essere un volano per l’economia nazionale.

Riteniamo, d’altra parte, che questo sia l’essenza degli accordi di vertice, tuttora secretati, tra il nostro Governo e quello francese, in parte svelati dalle dichiarazioni di Berlusconi del 1 maggio u.s.: “in Alitalia c’è il doppio del personale necessario”.

Dichiarazioni queste del Presidente del Consiglio che non incontrarono, purtroppo, il fuoco di fila neppure nell’opposizione parlamentare, troppo spesso caratterizzatasi nel suo complesso per un basso profilo in questa vicenda.

Infatti il Piano colpisce inesorabilmente il personale ed in particolare si accanisce sui dipendenti di terra della Compagnia (cassa integrazione, mobilità, esternalizzazioni), l’anello debole della catena del lavoro in Alitalia.

Una cosa è la necessità di costituire un solido sistema di alleanze, altra cosa è la volontà di cedere un asset strategico per l’economia del Paese, peraltro dopo aver risolto la questione lavoro con esuberi e dismissioni.

È urgente pertanto imporre una drastica sterzata a tale corso, salvando quel patrimonio industriale, di conoscenze e di professionalità che esiste in Alitalia ed evitare di scaricare sui lavoratori il prezzo di questa operazione.

È certo infatti che non è il costo del lavoro a rappresentare il piombo sulle ali dell’Alitalia e ad impedire la risalita della Compagnia di Bandiera.

Le bugie sull’elevato costo del lavoro del personale di terra dell’Alitalia non reggono più: è uno dei più bassi delle compagnie di riferimento dei paesi industrializzati nel mondo.

Tagli salariali, rinunce contrattuali, azioni in cambio di aumenti, precariato hanno fatto la loro parte e gli aeroporti italiani sono diventati una giungla senza diritti per chi ci lavora.

Anni di accordi per “assicurare la competitività dell’azienda” non hanno garantito nulla e nessuno, spianando la strada solo a chi dovrà comprarci, mettendo le mani sull’affare del Trasporto Aereo italiano.

4. A farla da padrone in Alitalia e in tutto il Trasporto aereo è il lavoro precario

Lavoratori ricattati e sottopagati, soggetti ad una flessibilità totale e senza precedenti: oggi negli aeroporti e in altri settori di terra di Alitalia i precari costituiscono la maggioranza della forza lavoro impiegata.

Negli aeroporti e addirittura in Alitalia, si utilizza anche il lavoro nero come emerse dalle indagini dell’Ispettorato del Lavoro, intervenuto a seguito delle denunce presentate dalla CUB: a Fiumicino con le cooperative di infermieri utilizzate per il trasporto di materiale aeronautico in pista, nell’informatica Alitalia con gli appalti gestiti da dipendenti-quadri aziendali-sindacalisti del settore.

Il precariato è una modernità, in materia di trattamento dei lavoratori, a cui l’Alitalia non ha rinunciato così che oggi per molti nostri colleghi, impiegati in Alitalia anche da anni, in occasione dell’individuazione degli esuberi, non sono neppure considerati tali ma solo semplici contratti in scadenza.

Ad alcuni di questi, come è il caso dei lavoratori e delle lavoratrici addette al settore delle prenotazioni Alitalia (la parte dell’attività che continua ad essere svolta in azienda e non ceduta all’esterno!), la prospettiva della esternalizzazione ad Alicos (una società solo partecipata AZ) non fornisce alcuna garanzia. Ciò anche se il passaggio in una azienda dal futuro incerto e senza prospettive dovesse comportare una eventuale stabilizzazione del contratto.

5. Il problema di Alitalia non è il costo del lavoro

Dunque, il costo del lavoro totale è il più basso tra le compagnie europee. Dal bilancio del 2003 si evince che il costo del lavoro in Alitalia è il 22% dei costi complessivi rispetto al 30% Air France e il 27% della KLM probabili future alleate di Alitalia. Figuriamoci il costo del personale di terra ancor più basso di quello delle altre categorie presenti nella Compagnia di Bandiera.

Che non sia il costo del personale il problema lo comprovano anche altri dati comparati con quelli dei principali vettori europei. Non solo il numero di dipendenti per aeromobile (120 per AZ contro 244 per Lufthansa e 173 per British) ma anche il fatturato per dipendente (213.000 Euro per AZ contro 172.000 Euro per Lufthansa e 195.000 Euro per British) confermano che il problema è altrove.

Una conferma che arriva anche dalla comparazione dei dati relativi al rapporto tra fatturato e costo del lavoro durante l’ultima semestrale.

Un confronto riferito ad un periodo che, nonostante l’aumento generalizzato degli indici di traffico e l’arrivo dell’alta stagione turistica, ha segnato per Alitalia un periodo tutt’altro che brillante a causa di una gestione dell’azienda per nulla lucida e responsabile, tesa più a giustificarne una profonda ristrutturazione piuttosto che il suo rilancio. Nel suddetto periodo risulta, infatti, che in Alitalia il rapporto tra costo del lavoro e fatturato supera solo di un punto percentuale quello della Lufthansa e di un paio di punti quello della British: un dato che smonta il feroce attacco sferrato dall’informazione contro i diritti acquisiti dalla categoria dei lavoratori dell’Alitalia, dipinti come strenui difensori di enormi privilegi.

Anche la comparazione del provento prodotto da ogni singolo dipendente, dimostra che l’Alitalia nel 2001 era dietro sola a Lufthansa e KLM ma sopravanzava British, Air France e Iberia mentre nel 2002 la nostra Compagnia di Bandiera era addirittura seconda solo a Lufthansa ma seguita da KLM, Iberia, Air France e British.

Altro che esuberi e bassa produttività del personale AZ: non è questo il problema di Alitalia, nonostante Cimoli si ostini a martellare su tale questione. Una denuncia strumentale e priva di senso come è dimostrato dai dati appena esposti.

A tale proposito si rifletta sul fatto che mentre in Alitalia si dichiara che esiste un gran numero di esuberi, il Presidente di British, riconoscendo il carattere pubblico del servizio offerto dalla compagnia, seppur privatizzata, si è scusato con l’utenza per i gravi disagi prodotti durante il periodo di ferragosto a causa del pesante sott’organico esistente in compagnia. Un fatto che dimostra la strumentalità delle argomentazioni sostenute contro Alitalia, alla quale si chiede di tagliare il personale nonostante i numeri indichino che per ogni aeromobile della flotta è impiegato oltre il 42,5% di personale in meno rispetto, ad esempio, alla British.

Il problema, quindi, della Compagnia è altro.

Consulenze, sprechi e allegra gestione finanziaria si sommano ad una pessima gestione della vendita del prodotto. Si ricordi, a tale proposito, la recente vertenza tra agenti di viaggio e Compagnia di Bandiera. Quest’ultima, decidendo di tagliare le provvigioni degli agenti di viaggio, in risposta ha subito un vero e proprio boicottaggio che ha favorito la commercializzazione del prodotto offerto dalla concorrenza.

Una rappresaglia subita da Alitalia che ha messo in evidenza la scelta suicida di rinunciare ad avere una propria rete vendite, caduta sotto la scure di uno dei tanti tagli “intelligenti” operati negli ultimi anni.

6. Il trasporto aereo italiano ha enormi potenzialità

Il problema di Alitalia non è neppure quello di operare in un mercato privo di prospettive di crescita. Anzi, tutt’altro.

Agli indici previsionali medi europei che segnalano nei prossimi anni un incremento del 4-5% del traffico passeggeri, si deve aggiungere la potenzialità specifica del mercato italiano visto che nel nostro Paese attualmente viaggia solo il 5% della popolazione e, primi solo alla Grecia, siamo in fondo alla graduatoria dei maggiori Paesi europei.

Anche per il traffico delle merci in Italia si prevede una enorme espansione, nonostante il progetto della Compagnia di Bandiera sia quello di dismettere, in favore di Air France-KLM, il settore Cargo che, non più tardi di 2 anni fa, aveva un valore di mercato che si aggirava intorno 400 mln di Euro: la stessa cifra del prestito ponte.

Basti considerare che, riguardo a tale questione, il Sole24Ore Trasporti titolava il 25-7-04: “MERCI, ASSALTO STRANIERO. Vettori e aeroporti degli altri Paesi fanno shopping sul nostro mercato”.

Quanto esposto, dunque, comprova che non stiamo parlando, complessivamente di un settore industriale decotto e privo di prospettive di crescita. Tutt’altro.

È per questo che riteniamo necessario che le istituzioni, nazionali e locali, il Parlamento, insomma la Politica, impongano un effettivo rilancio del Trasporto Aereo e della Compagnia di Bandiera.

A nostro avviso tale rilancio non può prescindere dal ritiro del Piano di liquidazione di Alitalia.

Altro che creazione di Best e Bad company di tremontiana memoria. Altro che smembramento della Compagnia di Bandiera, Alitalia Fly e Alitalia Service.

Altro che “migliaia di esuberi” come sembra voler imporre addirittura la Commissione Europea, con una pesantissima ingerenza sul futuro dell’Alitalia e del nostro Paese. -----

7. La cura non è lo smembramento della compagnia

Riteniamo che solo mantenendo l’Alitalia realmente integra e non smembrata è possibile rilanciare il nostro vettore.

Anzi, l’integrità dell’Alitalia è un presupposto per lo sviluppo di quella dimensione globale che la nostra Compagnia di Bandiera aveva prima dei tagli indiscriminati di rotte e linee: una prospettiva che il Piano Cimoli cancella definitivamente riservando ad Alitalia un ruolo da network carrier (cioè non più global carrier) che guarda a modelli quali quello della compagnia Air Lingus (circa 40 aerei e 6000 persone) e Iberia, rinunciando ai modelli di Air France, British e Lufthansa.

Una scelta, quella della contrazione del network AZ, operata sempre nell’ottica del taglio dei costi ma che ha prodotto un pericoloso ridimensionamento della Compagnia di Bandiera. Tutto ciò, peraltro, è avvenuto in un momento in cui l’enorme competitività operata sul corto e medio raggio delle compagnie low-cost, ha indotto gli altri grandi vettori a puntare sullo sviluppo del traffico intercontinentale, cioè in un ambito ove non esiste la concorrenza dei vettori a basso costo.

Per quanto riguarda la frammentazione della Compagnia di Bandiera, riteniamo che sia una operazione coerente con quanto accade nel sistema industriale italiano. Il fatto è che la frammentazione è ritenuta, ora anche da Bankitalia, tra le principali cause del declino economico del nostro Paese.

Inoltre la cessione di interi settori della Compagnia di Bandiera, rappresenta una perdita secca di conoscenze e di professionalità. Costituisce una scelta suicida che non consentirà di sviluppare attività per conto terzi in importanti settori quali la manutenzione degli aeromobili, l’informatica, l’handling aeroportuale.

Si consideri, solo per fare alcuni esempi, che l’attuale espansione della flotta delle grandi compagnie europee, prevede, per il prossimo futuro, un incremento delle attività delle manutenzioni degli aeromobili con un tasso pari a circa il 3% annuo: una fetta di mercato che non vale la pena abbandonare, visto anche il blasone dei nostri tecnici nel mondo.

Per non parlare delle attività informatiche. Cedere il controllo informatico sulle attività della compagnia, significa rinunciare a gestire in house le informazioni, lo sviluppo e le politiche commerciali di una compagnia aerea, magari mettendo a disposizione una enorme e preziosa quantità di dati alla concorrenza.

La cessione dell’informatica da parte di grandi gruppi industriali è una scelta giudicata pericolosa e antieconomica anche da importanti aziende di consulenza informatica americane, come la Gartner Group, leader nel settore.

A nostro avviso, si deve abbandonare tale ipotesi. Occorre invece lavorare seriamente per portare nel centro di calcolo Alitalia, il controllo, lo sviluppo e la gestione di attività informatiche che sono svolte e non solo nella compagnia, a caro prezzo, da soggetti privati, talvolta senza neppure la necessaria conoscenza specifica.

Anche la gestione dell’handling aeroportuale deve svilupparsi restando in Alitalia.

Az Airport è una società creata con la scusa di fare profitti gestendo l’handling aeroportuale anche delle altre compagnie sul mercato in espansione di Fiumicino, una prerogativa che non è concessa, dalla direttiva europea, al vettore.

Fino ad oggi questa opportunità, però, non è stata colta, svelando così che il processo di societarizzazione delle attività aeroportuali è stato avviato a suo tempo, solo con l’obiettivo di procedere alla sua alienazione.

È bene, invece, che le attività di scalo tornino ad essere gestite direttamente da personale Alitalia. AZ Airport potrebbe sviluppare, restando sotto il totale controllo Alitalia, le attività per conto terzi: una fonte di redditività enorme.

Inaccettabile, infine, anche la cessione delle attività amministrative e contabili, in favore sia dei vettori dell’alleanza Sky Team, che di piccole aziende private o addirittura delocalizzandole. Una scelta con un impatto sociale pesantissimo.

Insomma una Alitalia, unica e non smantellata è un progetto non solo possibile ma anche un requisito essenziale per rilanciare la Compagnia di Bandiera e consentire il suo risanamento.

8. Un intervento del governo che non può essere rinviato

È altresì importante un intervento delle istituzioni e del Parlamento a sostegno dell’intero settore e per il suo riequilibrio anche attraverso il varo dei cosiddetti requisiti di sistema.

Ad esempio, la maggiorazione del prezzo del carburante in Italia di oltre il 20% medio rispetto agli altri Paesi dell’Europa, mette a dura prova tutte le compagnie nazionali ma soprattutto le già provate casse della Compagnia di Bandiera.

Basti pensare che secondo le stime della Iata, l’associazione mondiale dei vettori aerei, il settore nel suo complesso nel 2004 farebbe utili per 3 MLD di dollari con il petrolio a 30 dollari al barile; con il greggio ad un livello medio di 33 dollari andrebbe in pareggio, a 36 dollari le perdite raggiungerebbero i 3 miliardi; ogni dollaro in più aggiunge un miliardo di perdite. In questi giorni il petrolio è a circa 40 dollari al barile ma in Italia le tasse rendono ancor più proibitivo il costo del carburante.

Il Governo, comunque, si era impegnato per un intervento di riequilibrio del settore ma, come in passato, non sembra che alle parole seguano i fatti.

Se un intervento di sostegno è necessario per quanto riguarda il carburante non è più rinviabile un riequilibrio del sistema aeroportuale italiano con i suoi oltre 100 aeroporti, una ridondanza che produce un riflesso negativo su tutto il sistema stesso.

Troppe volte, infatti, gli aeroporti sono nati per soddisfare le esigenze o le richieste di questo o quel politico di turno: una realtà italiana che deve essere cancellata.

Non è solo il dualismo Malpensa-Fiumicino che deve essere risolto dalla politica con determinazione e senza ulteriori indugi. È un falso problema visto che oggi non esistono le infrastrutture e gli aerei per sviluppare e tenere in vita 2 hub in Italia.

Le questioni sul tappeto sono più generali e necessitano di un intervento complessivo.

9. Lo Stato può e deve intervenire: è l’unica scelta possibile

Per dare un assetto adeguato al settore e alla sua strategicità diventa prioritario riportare tutto il comparto nell’orbita della pubblica amministrazione (Stato, regioni o enti locali) sia nelle funzioni di controllo che di gestione delle infrastrutture e coordinamento, riassegnando le competenze e finalizzandone con precisione i compiti.

È bene precisare che lo Stato italiano, quale membro della Comunità non è obbligato a privatizzare la società di gestione aeroportuale. Né la legge stessa obbliga alla privatizzazione.

La scelta, meramente economica, di privatizzare in tempi rapidi le società di gestione aeroportuale e dei servizi e poi addirittura gli enti della sicurezza quali l’ENAV, ha favorito la creazione di cordate di soggetti privati interessati principalmente a investimenti di carattere speculativo e finanziario.

10. La cura non è la privatizzazione

Riteniamo che la Compagnia di Bandiera italiana debba ritornare sotto il totale controllo pubblico. Una scelta necessaria e non ideologica, come anche sostenuto da Romiti.

Non è vero che ciò non sia possibile. La Comunità Europea vieterebbe una ricapitalizzazione qualora non si rispettassero le prerogative di un investimento di mercato (vedi scheda sulla ricapitalizzazione dell’investitore pubblico).

L’Alitalia, risanata e rilanciata, è nelle condizioni di produrre un tale ritorno alla redditività che la Commissione Europea non potrebbe far altro che prendere atto, quindi, della liceità di investimento dello Stato, in qualità di azionista della Compagnia di Bandiera, peraltro senza imporre restrizioni di alcun tipo.

Questo, quindi, oltre ad essere possibile è urgente e necessario.

Altro non ci trova d’accordo e lo riteniamo pericoloso come il riassetto societario e la privatizzazione di Alitalia, ipotesi contenute nell’accordo di Palazzo Chigi del 6-5-04.

Figuriamoci le spregiudicate avventure di chi si è fatto sostenitore e sponsor di gruppi privati mediorentali interessati a mettere le mani sul ricco mercato del Trasporto Aereo italiano o, di recente, di chi propone un coinvolgimento dei dipendenti nella partecipazione azionaria dell’Alitalia: una esperienza già subita dai lavoratori che nel 2000 hanno ricevuto azioni AZ (attualmente divenute poco più che carta straccia!) in cambio di sacrifici. Uno scambio imposto da Cgil, Cisl e Uil, insieme alle Associazioni Professionali di Piloti e Assistenti di Volo, per assicurarsi un posto nel consiglio di amministrazione della Compagnia.

Anche l’ipotesi ventilata dal Governo della creazione di un Polo unico dei vettori italiani, proposto per il superamento della segmentazione delle quote di mercato, non può non vedere una forte presenza pubblica nella sua proprietà.

A riguardo assume ancora più importanza l’avvio urgente della costruzione di un vero contratto unico di categoria, altro tassello fondamentale per il rilancio del comparto non basato sul dumping del costo del lavoro che la sua frammentazione favorisce. Altro che le proposte avanzate da Cimoli al tavolo negoziale sul rinnovo dei contratti: un vero e proprio assalto ai diritti, ai salari e alla dignità dei lavoratori.

D’altra parte non si può prescindere dalla necessità di affrontare la questione salariale dei lavoratori del comparto, soprattutto della categoria di terra: la percentuale di perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni ha raggiunto livelli inaccettabili ed insostenibili.

I duri e ripetuti sacrifici effettuati dai lavoratori non possono essere ripagati con il licenziamento o l’espulsione dall’azienda e la liquidazione dell’Alitalia.

Non lo meritano i lavoratori, non lo meritano i cittadini, non lo merita il Paese.

11. Un necessario pronunciamento delle istituzioni, delle forze politiche del parlamento

È bene quindi che le istituzioni, i parlamentari, le autorità presenti si pronuncino e, dando seguito ai molti impegni presi, offrano la necessaria continuità a quanto già fatto.

È opportuno altresì che insieme a noi e a tutte le forze sociali/sindacali interessate, le istituzioni e i parlamentari pianifichino, anche al di là delle divisioni partitiche e politiche, una strategia comune che punti al rilancio dell’Alitalia, alla tutela di un patrimonio della collettività e alla salvaguardia di migliaia di posti di lavoro.

È opportuno inoltre che ci sia un pronunciamento chiaro e determinato delle forze istituzionali e politiche contro lo smembramento della compagnia di bandiera, contro la cessione a soggetti privati di un bene pubblico e di un servizio sociale.

In particolare ci aspettiamo che da questa tavola rotonda si possa ribadire la necessità industriale che l’handling, l’informatica, le manutenzioni degli aeromobili, l’amministrazione, i settori in cui opera il personale di terra rimangano in Alitalia della quale costituiscono attività strutturali e strategiche come già abbiamo detto.

La loro fuoriuscita determinerà, ne siamo convinti la fine della compagnia stessa. Al suo posto si creerà una specie di low- cost al servizio di Air-France.

Ci aspettiamo inoltre un pronunciamento forte contro il precariato che nessun beneficio ha portato all’azienda né dal punto di vista professionale e produttivo né, come vediamo, dal punto di vista economico nonostante il bassissimo costo e l’altissimo numero di impiegati e operai precari utilizzati in massa nei settori operativi. Una scelta disastrosa dalle conseguenze sociali devastanti.

Ci aspettiamo che l’Alitalia venga considerata finalmente un bene pubblico e come tale amministrata e gestita come avviene per tante aziende pubbliche anche d’oltralpe e in quest’ottica lo Stato si faccia garante e promotore del suo salvataggio e rilancio.

Chiediamo infine una decisa iniziativa istituzionale e politica a favore del varo dei requisiti di sistema che contribuirebbero ad alleggerire i costi di attività degli operatori del settore aereo italiano.

In questa prospettiva la CUB TRASPORTI lancia pertanto la proposta della costituzione di un osservatorio istituzionale, sindacale e parlamentare, aperto a tutte le forze interessate, che si attivi per monitorare, seguire e intervenire con continuità e tempestività in tutte le fasi di questa vicenda che sembra entrata nella fase ultimativa.

L’Alitalia ed i lavoratori devono essere salvati. Il Piano Cimoli deve essere ritirato. Deve esserci l’impegno di tutti per il bene dei lavoratori, dei cittadini e del Paese.

UN ALTRO PIANO È POSSIBILE!

 

Salviamo la Compagnia di Bandiera

Salviamo il futuro dei lavoratori:

l’investitore pubblico può e deve

intervenire!

Le disposizioni della Comunità Europea non vietano il rilancio dell’Alitalia attraverso una ricapitalizzazione pubblica: è possibile un i nvestimento dello Stato quale principale azionista della Compagnia di Bandiera.

La drammaticità della situazione nella quale si trova oggi la Compagnia di Bandiera è tale che un intervento rapido e diretto delle istituzioni e delle forze politiche è ormai non più rinviabile.

Tale intervento deve essere approntato per garantire un vero rilancio della Compagnia di Bandiera a tutela di migliaia di lavoratori dell’Alitalia e dell’intero sistema economico-industriale del Paese.

Il ridimensionamento dell’Alitalia, la cessione del suo controllo all’alleanza Air France-KLM, la dismissione da parte dello Stato della Compagnia di Bandiera, principale soggetto protagonista delle politiche di sviluppo del settore del Trasporto Aereo italiano, nonché le pesanti ricadute sociali di tali disegni, impongono al Governo e al Parlamento una radicale sterzata rispetto a quanto finora disposto.

Lo smantellamento dell’Alitalia con la fuoriuscita di migliaia di lavoratori, peraltro concentrati nel comparto di terra, rappresenta la definitiva liquidazione della Compagnia stessa e la sua conversione in un vettore ancillare e subordinato alle maggiori compagnie europee presenti nell’alleanza Sky Team.

A tale proposito riteniamo emblematico il sistematico raffronto proposto dal management tra i dati Alitalia e quelli dei vettori low-cost. Tali comparazioni puntano a mistificare la natura delle questioni che affliggono l’Alitalia. È ingiustificato l’accanimento nei confronti del costo del personale, in particolare di quello di terra, i cui livelli di produttività sono in realtà competitivi con quelli delle maggiori compagnie europee.

LA NORMATIVA DELLA COMUNITÀ EUROPEA

Il ricco mercato italiano del trasporto aereo è compatibile con il rilancio dell’Alitalia e con la presenza di una forte Compagnia di Bandiera a vocazione globale: un obiettivo che l’attuale Piano di smembramento e privatizzazione non prevede, trasformandola in network carrier.

Riteniamo che un Piano di vero rilancio dell’Alitalia non possa prescindere, oltre che da una capillare riorganizzazione, da un congruo investimento dello Stato per una adeguata ricapitalizzazione della Compagnia di Bandiera.

Questa, a nostro avviso, è una scelta obbligata, l’unica in grado di impedire un immane disastro sociale e un ulteriore pesante contraccolpo per tutto il sistema industriale italiano.

La normativa europea non vieta l’intervento finanziario di ricapitalizzazione da parte dell’investitore pubblico e non prevede, al contrario di quanto è sostenuto da più parti, l’automatica limitazione allo sviluppo della compagnia aerea stessa.

A tale proposito è bene ricordare, tentando di sgomberare il campo dalle innumerevoli inesatte interpretazioni, la normativa della C.E. in merito agli interventi di risanamento effettuati da parte del capitale pubblico che, a seconda dei casi, può dar luogo a:

- intervento di mercato

- aiuto di Stato

Nell’applicazione degli articoli 92 e 93 del trattato C.E. e dell’articolo 61 dell’accordo S.E.E. agli aiuti di stato nel settore dell’aviazione, la Commissione afferma che:

“...La valutazione della Commissione si svolge in due fasi. Nella prima fase, al fine di determinare l’eventuale presenza di un aiuto la Commissione valuta le circostanze dell’operazione finanziaria alla luce del principio dell’investitore che opera in un a economia di mercato, poiché la medesima misura potrebbe costituire un aiuto o una normale operazione commerciale. Nella seconda fase, qualora consideri che la misura in causa comporti elementi di aiuto, la Commissione esaminerà se l’aiuto sia compatibile con il mercato comune sulla base delle deroghe previste dall’art.92, paragrafo 3 del Trattato e dell’art. 61, paragrafo 3 dell’Accordo...”

“...La Commissione non può sostituirsi al giudizio dell’investitore ma deve stabilire con ragionevole certezza che il programma finanziato dallo Stato sarebbe accettabile per un investitore che opera in una economia di mercato...”

[A tale proposito, la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che occorre valutare “se, in circostanze analoghe, un investitore privato di dimensioni paragonabili a quelle degli enti che gestiscono il settore pubblico, avrebbe effettuato conferimenti di capitale di simile entità” ed inoltre che “il comportamento dell’investitore privato, cui deve essere raffrontato l’intervento dell’investitore pubblico che persegue obiettivi di politica economica, anche se non è necessariamente del comune investitore che colloca capitali in funzione delle loro capacità di produrre reddito a termine più o meno breve, deve quantomeno corrispondere a quello di una holding privata o di un Gruppo imprenditoriale privato che persegue una politica strutturale globale o settoriale, guidato da prospettive di redditività a più lungo termine” (Causa 305/89 Italia contro Commissione, Racc. 1991, pag1-1603)].-----

Come precisato precedentemente, nell’applicazione degli art. 92 e 93 del Trattato, il principio dell’investitore che opera in una economia di mercato è di regola soddisfatto quando la struttura e le prospettive future della società siano tali da far prevedere entro un periodo di tempo ragionevole una redditività che potrà essere considerata normale se paragonata ad una analoga impresa privata.

Quindi:

“...un investitore può conferire nuovo capitale per garantire la sopravvivenza dell’impresa”...”...ma che, previa riorganizzazione, sia eventualmente in grado di ridivenire a più lungo termine redditizia...”

Inoltre:

“...Nel caso di imprese in perdita, la Commissione considererà un elemento fondamentale, nella sua valutazione, l’esistenza delle necessarie misure di risanamento e di ristrutturazione. Tali misure debbono costituire un programma coerente di ristrutturazione...”

Invece, qualora la Commissione ritenga che l’operazione in esame comporti elementi di aiuto, la stessa esaminerà se l’intervento in questione possa essere considerato compatibile con il mercato comune.

In Particolare:

“...possono essere considerati compatibili con il mercato comune gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di alcune attività economiche...”

“...La commissione può considerare taluni aiuti alla ristrutturazione compatibili con il mercato comune a condizione che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse...”

“...l’approvazione della commissione è peraltro subordinata alle seguenti condizioni:

1) L’aiuto deve rientrare in un programma globale di ristrutturazione...volto a ripristinare l’efficienza economica della Compagnia, affinché entro un lasso di tempo ragionevole, tale Compagnia possa operare in maniera redditizia, in genere senza ulteriori aiuti. L’aiuto deve avere pertanto una durata limitata...

2) Il programma deve essere autosufficiente nel senso che dovrà essere chiaro che nessun ulteriore aiuto sarà necessario nel corso della durata del programma...

...

3) ...Pertanto, il programma oggetto del finanziamento dello Stato può essere considerato non contrario al comune interesse (art. 92, par. 3, lettera C) soltanto se non presenta caratteri di espansione, ossia se esclude l’obiettivo di incrementare la capacità e l’offerta della compagnia aerea in causa a detrimento dei suoi diretti concorrenti europei. In ogni caso il programma non deve avere per effetto di consentire alla compagnia di offrire sui mercati di riferimento un incremento del numero di aeromobili o della capacità passeggeri maggiore di quella che potrebbe discendere da una normale crescita del mercato...”

Come si evidenzia da quanto sopra, la ricapitalizzazione da parte dello Stato di una compagnia aerea, sia esso investimento o aiuto di Stato, non solo è possibile ma non risulta vincolata da alcuna rigorosa e stringente normativa.

L’intervento dei Governi infatti è soggetto ad una ampia possibilità negoziale, sia nel caso di un vero e proprio aiuto di Stato che nel caso di un intervento di mercato.

Inoltre la ricapitalizzazione da parte dello Stato è valutata dalla Commissione anche in considerazione del verificarsi di eventi strutturali e contingenti di particolare gravità, con ripercussioni sulle condizioni di una compagnia aerea.

La ricapitalizzazione è, in base alla normativa, valutata dalla Commissione anche in considerazione del livello di concorrenza esistente nel paese di appartenenza della compagnia stessa: in Italia, il fenomeno del proliferare di innumerevoli piccole e piccolissime compagnie non conosce eguali nel resto dell’Europa.

In aggiunta, altro elemento importante, un investitore può conferire nuovo capitale motivandolo non solo con la probabilità di ricavarne un profitto ma anche per tutelare l’immagine stessa del Gruppo: una considerazione che può essere di supporto in caso di intervento dello Stato in favore di Alitalia (vedi par IV.1 dell’applicazione degli articoli 92 e 93 del trattato C.E. e dell’articolo 61 dell’accordo S.E.E. agli aiuti di stato nel settore dell’aviazione).

È importante sottolineare che l’art. 222 del Trattato C.E. impone che la Commissione non possa pronunciarsi sugli assetti proprietari, prevedendo una parità di trattamento dei regimi di proprietà. Pertanto il pronunciamento della Commissaria Europea De Palacio in merito alla obbligatorietà di procedere alla privatizzazione dell’Alitalia, in conseguenza dell’autorizzazione del prestito-ponte, oltre che inopportuno è stato illegittimo e quindi privo di fondamento giuridico.

Ricordiamo inoltre che l’intervento di ricapitalizzazione dello Stato effettuato nel ‘97, periodo Cempella, dapprima considerato aiuto di Stato dalla Commissione, è stato poi valutato successivamente, con una sentenza della Corte di Giustizia Europea, come un intervento di mercato, svincolando la compagnia italiana da ulteriori limitazioni in un primo momento imposte dalla C.E.

Naturalmente consideriamo un intervento di ricapitalizzazione dello Stato, come azionista della nostra Compagnia, come reale soluzione di rilancio, alternativa al Piano di svendita, privatizzazione e spacchettamento che segna la fine della Compagnia di Bandiera.

Ricordiamo che a sostegno di tale impostazione non c’è stato soltanto l’intervento, peraltro più volte ribadito, di Cesare Romiti ma di recente anche da parte del Presidente dell’Antitrust italiana si è levata una voce a sostegno della ricapitalizzazione dell’Alitalia da parte dello Stato.

Infine su tale questione e sulla necessità di valorizzare il carattere sociale, garantito dall’investitore pubblico, del trasporto aereo si sono espressi anche i partecipanti alla Tavola Rotonda sull’Alitalia organizzata dalla CUB TRASPORTI il 28 Luglio u.s..: rappresentanti della Regione Lazio, della Provincia e del Comune di Roma insieme a parlamentari del Senato e della Camera.

Roma 2 settembre 2004

C.U.B. TRASPORTI settore aereo

Confederazione Unitaria di Base