Nuovo trattato o Costituzione? Quale futuro per l’Europa

Arturo Salerni

1. Dopo l’approvazione nello scorso mese di giugno da parte della Conferenza intergovernativa, a Roma alla fine di ottobre venticinque capi di stato e di governo hanno sottoscritto il Trattato costituzionale dell’Unione Europea. Nonostante la solennità della cerimonia capitolina ed il richiamo che la stessa ha esercitato sui mass-media, si apre ora il complesso e contraddittorio percorso che dovrà portare alla ratifica del trattato costituzionale da parte dei Paesi sottoscrittori, che assumerà in alcuni paesi come il nostro un carattere parlamentare ed in altri invece porterà al referendum popolare. Sul nuovo Trattato di Roma, come ormai viene definito per far riecheggiare la portata ormai storica del trattato istitutivo della Comunità economica europea, così come sulla questione parallela dell’allargamento dell’Unione alla Turchia, le divisioni nei diversi paesi sono ampie ed articolate. Ed infatti anche sulla vicenda turca - che peraltro prevede tempi lunghissimi di verifica in un percorso decennale che avrà inizio nel mese di ottobre del 2005 - si chiedono consultazioni popolari, si aprono discussioni che dividono gli schieramenti, si sollecitano guerre di religione e di civiltà, si pretende giustamente il raggiungimento di standard condivisi ed avanzati sul piano della democraticità e del rispetto dei diritti umani.

2. Il primo confronto di una certa consistenza e rilevanza si è svolto poche settimane fa in Francia all’interno del partito socialista: i militanti socialisti sono stati chiamati a confrontarsi sull’atteggiamento che il partito dovrà assumere nel referendum popolare che si terrà in quel paese, così centrale nel percorso della costruzione europea, sul trattato costituzionale. Al termine di uno scontro aspro ed incerto i sostenitori del sì al trattato hanno prevalso. La consistente componente contraria all’approvazione del trattato costituzionale siglato a Roma poneva l’accento sulla marcata matrice neoliberista del testo approvato dalla conferenza intergovernativa e sulla necessità di una nuova discussione che coinvolga i popoli dell’Europa per l’adozione di un testo più avanzato che evidenzi e valorizzi le conquiste sociali e democratiche ottenute nel corso degli ultimi decenni nei paesi europei. L’altro confronto significativo (che ha tanti punti di incrocio con la vicenda della costituzionalizzazione dell’Europa), quello sulla Turchia nell’Unione, investe non solo la natura democratica e garantistica degli Stati membri, ma questioni significative in ordine alla libertà di circolazione dei lavoratori e dei cittadini dei diversi Paesi che in un futuro più o meno prossimo faranno parte dell’Unione (oltre la Turchia per il 2007 si prevede l’ingresso di Romania e Bulgaria, e già adesso è aperto il confronto per l’ingresso nell’Unione della Croazia).

3. Come abbiamo avuto più volte modo di sottolineare - trattando su questa rivista l’argomento del trattato elaborato dalla Convenzione presieduta da Giscard ed approvato dalla Conferenza intergovernativa
 ci troviamo di fronte ad un documento caratterizzato da molte anomalie e che è difficilmente classificabile, sul piano anche della tecnica giuridica, come una Costituzione e ci troviamo comunque di fronte ad un trattato stipulato tra i governi degli Stati membri dell’Unione europea, che infatti potrà essere emendato o modificato solo da ulteriori Conferenze intergovernative (e con il consenso unanime dei paesi aderenti) e non dal parlamento europeo, eletto dai cittadini dei venticinque paesi dell’Unione. Da molte parti si è sottolineata l’inevitabile temporaneità del testo, da altre invece l’impossibilità di arrivare allo stato attuale del processo di integrazione ad un testo più avanzato, sia sotto il profilo della creazione di comuni istituzioni dotate di effettiva sovranità che sotto il profilo dei contenuti sociali. Lo scenario dell’integrazione europea - anche a seguito dell’allargamento già determinatosi a maggio e dei futuri ingressi previsti - appare assai incerto: cosa succederà dell’Unione nel caso in cui uno o più Paesi non ratificheranno il trattato?

4. L’appuntamento a questo punto è fissato per il primo novembre 2006, data prevista per l’adozione del “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa”. Ne ricordiamo la struttura: un preambolo, una prima parte che enuncia i principi generali, la seconda in cui è stata inserita la Carta dei diritti fondamentali, una terza in cui sono state fissate le politiche e le regole di funzionamento dell’Unione, ed una quarta contenente le disposizioni generali e finali. In allegato al Trattato sono stati inclusi trentasei Protocolli, che vanno dal ruolo dei Parlamenti nazionali, all’Eurogruppo, alla coesione economica, sociale e territoriale. Si tratta comunque di un corpus imponente di norme e protocolli, che in parte richiamano disposizioni già esistenti, che accorpano ed armonizzano normative, che ne inseriscono e creano altre. L’insieme è già entrato nel dibattito politico europeo ed internazionale, perché sino a qualche anno fa la vicenda della costruzione europea avveniva sotto traccia e nel silenzio, e oggi costituisce per alcuni un sogno (si pensi all’ultimo libro di Rifkin, in cui addirittura il sogno europeo è posto in contrapposizione al sogno americano) e per molti comunque l’ingresso di una variabile di notevole forza e significato sullo scacchiere internazionale.

5. Abbiamo avuto modo di accennare nel precedente numero della rivista alla struttura della terza parte del trattato costituzionale e ne abbiamo avviato un primo sommario esame. Abbiamo avuto modo di dire che la terza parte del trattato costituzionale è quella su cui si sono appuntate le critiche più incisive da parte delle componenti sociali, sindacali e delle sinistre, perché in essa si riproduce e si fissa lo spirito neoliberista che ha segnato tanti dei passaggi della faticosa costruzione dell’Unione (si pensi innanzitutto ai vincoli ed alla filosofia che hanno caratterizzato il trattato di Maastricht). Specialmente su di essa infatti, per tornare alla lettura dei fatti più recenti, si è soffermata l’attenzione critica e si è espressa la contrarietà all’approvazione di una parte significativa dei dirigenti e dei militanti del partito socialista francese. La terza parte del trattato costituzionale porta quale rubrica “le politiche e il funzionamento dell’Unione”, è ponderosissima (in quanto si compone di 342 articoli), ed è suddivisa in VII titoli, e spesso riporta norme contenute in precedenti trattati. Ciò evidenzia ancora l’anomalia della struttura di un testo che per un certo verso è costituzione e per altro è un trattato, e per altro ancora una rilegatura dei trattati preesistenti.

6. Val la pena ancora richiamare le disposizioni contenute nel primo titolo della terza parte perché esse devono restare quale criterio per misurare se effettivamente gli obiettivi e principi che dovrebbero ispirare le politiche dell’Unione vengono confermate dallo sviluppo successivo del trattato. “L’Unione assicura la coerenza tra le varie politiche e azioni di cui alla presente parte, tenendo conto dell’insieme dei suoi obiettivi e in conformità del principio di attribuzione delle competenze” (art.III-1); “L’azione dell’Unione a norma della presente parte mira ad eliminare le ineguaglianze e a promuovere la parità tra uomini e donne” (art.III-2); “Nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni di cui alla presente parte, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un livello di occupazione elevato, la garanzia di una protezione sociale adeguata, la lotta contro l’esclusione sociale e un livello elevato di istruzione, formazione e tutela della salute umana” (art.III-2 bis); “Nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni di cui alla presente parte l’Unione mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”(art.III-3); “Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione di cui alla presente parte, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile” (art.III-4); “Nella definizione e nell’attuazione di altre politiche o azioni dell’Unione sono prese considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori” (art.III-5). Ovvero si tratta - anche in apertura della terza, corposa e spesso sovrabbondante parte del trattato costituzionale - del richiamo ad alcuni valori e principi, quasi che la terza parte del trattato costituzionale costituisse un testo a sé, un vagone che può restare unito ai due precedenti o può pure distaccarsene mantenendo nel complesso una sua sistematicità.

7. Il titolo III della parte III, dedicato alle “politiche e azioni interne”, è suddiviso - come abbiamo già visto nel precedente numero della rivista - in cinque capi, articolati in sezioni. Il capo I è titolato “Mercato interno”. Le sezioni in cui tale capo è suddiviso sono le seguenti: “I - Instaurazione e funzionamento del mercato interno”, “II - Libera circolazione delle persone e dei servizi”, a sua volta articolata in sottosezioni su lavoratori, libertà di stabilimento, libera prestazione di servizi, “III - Libera circolazione delle merci”, “IV
 Capitali e pagamenti
”, “V - Regole di concorrenza”, “VI
 Disposizioni fiscali
”. Va considerato che nella stesura definitiva del testo cambia anche la numerazione degli articoli, sicché essa ora segue un’unica numerazione per tutto il trattato e non più una numerazione distinta per ogni singola parte (e, naturalmente senza ripercorrere l’iter argomentativo dei precedenti interventi, il lettore dovrà considerare ad esempio che l’art.III-18 diventa ora l’art.133). Con riguardo alla sottosezione I della Sezione II (titolo III - parte III), sottosezione dedicata ai lavoratori, vale la pena riportare il testo degli articoli 134, 135 e 136.

8. Articolo 134: “1. La legge o legge quadro europea stabilisce le misure necessarie per realizzare la libera circolazione dei lavoratori, quale è definita dall’art.III-133. È adottata previa consultazione del Comitato economico e sociale. 2. La legge o legge quadro europea mira in particolare a: a) assicurare una stretta collaborazione tra le amministrazioni nazionali del lavoro; b) eliminare le procedure e prassi amministrative, come anche i termini per l’accesso agli impieghi disponibili, contemplati dalla legislazione interna ovvero da accordi conclusi in precedenza con gli Stati membri, il cui mantenimento sarebbe di ostacolo alla liberalizzazione dei movimenti dei lavoratori; c) abolire tutti i termini e le altre restrizioni, previsti dalle legislazioni interne ovvero da accordi conclusi in precedenza con gli Stati membri, che impongano ai lavoratori degli altri Stati membri, in ordine alla libera scelta di un lavoro, condizioni diverse da quelle stabilite per i lavoratori nazionali; d) istituire meccanismi idonei a mettere in contatto le offerte e le domande di lavoro e a facilitarne l’equilibrio a condizioni che evitino di compromettere il tenore di vita e il livello dell’occupazione nelle diverse regioni e industrie”. Articolo 135: “Gli Stati membri favoriscono, nel quadro di un programma comune, gli scambi di giovani lavoratori”. Articolo 136: “1. In materia di sicurezza sociale, la legge o legge quadro europea stabilisce le misure necessarie per realizzare la libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti dipendenti e autonomi e ai loro aventi diritto: a) il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste, b) il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli stati membri. 2. Qualora un membro del Consiglio ritenga che un progetto di legge o legge quadro europea di cui al paragrafo 1 leda aspetti fondamentali del suo sistema di sicurezza sociale, in particolare per quanto riguarda il campo di applicazione, i costi o la struttura finanziaria, oppure ne alteri l’equilibrio finanziario, può chiedere che il Consiglio sia investito della questione.[...]”.

9. Valutavamo nell’esame del titolo III che ciò che predomina è l’apoteosi dell’utopia liberista dell’anti-trust, quale elemento portante della costruzione dell’Europa che trova nel trattato costituzionale la sua consacrazione. Naturalmente dopo la solennità nell’affermazione del principio si dettano le deroghe alla regola (e cioè l’accordo che viola la libera concorrenza può essere ammesso se esso serva “a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva”). Ma la filosofia liberista che informa questa parte del trattato non si evince soltanto dal capo relativo al mercato interno. Se soffermiamo la nostra attenzione sul capo II (del terzo titolo della terza parte), ovvero quello relativo alla “politica economica e monetaria” (articoli da 177 a 184), ritroviamo in pieno questo pensiero e questa impronta per cui l’azione degli Stati membri e dell’Unione comprende l’adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Questa azione comprende una moneta unica, l’euro, e la definizione e conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l’obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali dell’Unione, conformemente al principio di una economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Cioè ogni obiettivo di politica economica deve essere subordinato all’obiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi e deve essere perseguito nel quadro dei principi dell’economia di mercato aperta. La politica può scegliere le sue strade ma solo all’interno di una quadro predefinito - di stampo radicalmente neoliberista - di obiettivi e principi, in qualche modo costituzionalizzati. Questo vizio di fondo caratterizza tutto il trattato ed in particolare la sua terza parte. La stessa previsione della necessità di favorire una efficace allocazione delle risorse viene ricoperta e circondata dalle cautele e dai vincoli dell’economia di mercato aperta e concorrenziale. Per chi si discosta da questi canoni sono previsti avvertimenti da parte della Commissione e raccomandazioni da parte del Consiglio, salvo ipotesi eccezionali (per esempio a causa di calamità naturali) di assistenza finanziaria. Viene altresì prevista la procedura specifica per il caso di disavanzi pubblici eccessivi in rapporto al prodotto interno lordo dei singoli Stati membri. Alla politica monetaria, al ruolo centrale assegnato alla Banca Centrale europea ed ai compiti del Comitato economico e finanziario, vengono dedicati gli articoli che vanno dal 185 al 193. Alcune disposizioni specifiche (articoli da 194 a 196) vengono inoltre dettate per gli Stati membri la cui moneta è l’euro.

10. Il capo III si riferisce alle “politiche in altri settori”, ed in primis all’occupazione (articoli da III-203 a III-208). L’Unione e gli Stati mebri si dovrebbero adoperare per sviluppare una strategia coordinata a favore dell’occupazione e soprattutto per la promozione di quella che viene definita forza lavoro competente, qualificata, adattabile e di mercati del lavoro in grado di rispondere ai mutamenti economici. L’obiettivo è molto vago, ovvero quello di un livello di occupazione elevato. Si prevede che in base ad una relazione annuale comune del Consiglio e della Commissione, il Consiglio europeo esamina annualmente la situazione dell’occupazione nell’Unione e adotta le conclusioni del caso (che naturalmente sono condizionate dai vincoli e dai principi liberisti che abbiamo avuto modo di esaminare e commentare). Il Consiglio, su proposta della Commissione, adotta annualmente gli orientamenti di cui devono tenere conto gli Stati membri nelle rispettive politiche in materia di occupazione. Ma in questo caso non sono previsti avvertimenti e sanzioni: l’occupazione è senz’altro un obiettivo, ma un obiettivo subordinato e minore; la politica dell’Unione finalizzata al raggiungimento di livelli elevati di occupazione resta generica e soltanto orientativa. Gli Stati membri riferiscono sulle principali disposizioni adottate per l’attuazione delle proprie politiche in materia di occupazione. Comunque la legge o la legge quadro europea può stabilire azioni di incentivazione dirette a promuovere la cooperazione tra Stati membri e a sostenere i loro interventi nel settore dell’occupazione, mediante iniziative volte a sviluppare gli scambi di informazioni e delle migliori prassi, a fornire analisi comparative ed indicazioni, a promuovere approcci innovativi e a valutare le esperienze realizzate, in particolare mediante il ricorso a progetti pilota. Viene prevista l’istituzione di un Comitato per l’occupazione a carattere consultivo al fine di promuovere il coordinamento in materia tra gli Stati membri. Si richiamano ancora il contenuto della Carta Sociale europea del 1961 e la Carta comunitaria dei diritti sociali del 1989 ed i previsti obiettivi della promozione dell’occupazione, del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e della lotta all’emarginazione. Funzionale al perseguimento di tali obiettivi è il previsto sostegno ai singoli Stati membri per il miglioramento dell’ambiente di lavoro, per proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori, della sicurezza sociale, della rappresentanza e della difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, del livello di integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro e della parità tra donne e uomini per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro e il trattamento sul lavoro. Viene promossa la consultazione delle e con le parti sociali a livello dell’Unione e si mira a favorirne il dialogo. Sul resto la vaghezza domina, ed anche ciò dimostra quanto gli obiettivi di natura sociale e relativi ai livelli occupazionali ed alla qualità del lavoro siano considerati di fatto obiettivi assolutamente minori.