Rdb verso il IV Congresso

Redazione Proteo

Nei giorni 17-18 e 19 giugno si terrà a Fiuggi il “Quarto Congresso Nazionale della Federazione RdB-CUB”. Il titolo di convocazione “Sogni, Bisogni, Conflitto” già dice molto. La redazione di Proteo ha realizzato una Tavola Rotonda con alcuni dirigenti della Federazione Nazionale della RdB (Pierpaolo Leonardi, Emidia Papi e Domenico Provenzano) che si è tenuta il 5 Aprile 2005.

D. Gli scorsi Congressi hanno puntato sull’indipendenza e sull’identità; cosa vi proponete con il prossimo?

P. Leonardi: Il quarto Congresso nazionale della Federazione RdB/CUB si svolge a due anni dalla Assemblea nazionale della CUB che si è tenuta a Rimini e che ha segnato in positivo il percorso di crescita della Confederazione Unitaria di Base. Il nostro Congresso, che assume appieno le scelte di percorso decise a Rimini, cade in una congiuntura politica assai complessa sia sul piano internazionale che su quello interno. Il varo della Costituzione Europea del libero mercato segna un orizzonte di pesante arretramento dei diritti dei lavoratori i cui risvolti pratici sono però ancora di difficile lettura. Sarà dalla pratica attuazione dei provvedimenti dell’Europa che si sveleranno compiutamente - un primo esempio è dato dalla direttiva Bolkestein e dalle modifiche del quadro di riferimento sulla sicurezza nei luoghi di lavoro - i risvolti di una Costituzione varata in totale assenza di dibattito e di possibilità, per le popolazioni interessate, di intervenire nella sua costruzione e di mancanza di strumenti democratici di approvazione. Sul piano interno la campagna elettorale permanente di cui siamo vittime ormai da quasi due anni fornisce un quadro politico in continuo movimento. È evidente che la definizione dei compiti contingenti di un’ organizzazione sindacale non possa prescindere dalla lettura degli scenari politici che si presentano all’orizzonte anche se, e per noi questo vale più che per molti altri, la totale indipendenza della nostra organizzazione ci rende il compito meno arduo. Negli ultimi due congressi ci siamo dotati di strumenti importanti di lettura della realtà che ci hanno consentito di resistere abbastanza bene alle profonde modificazioni e agli scenari di concertazione che hanno informato gli anni 90 nonché di rafforzare ed estendere il peso e l’influenza dell’organizzazione. Se non avessimo approfondito l’analisi sulle trasformazioni sociali e produttive in atto, con il congresso del ‘96, e se non ci fossimo dotati di una forte identità con quello del 2000, probabilmente avremmo vissuto difficoltà molto maggiori di quelle che abbiamo dovuto affrontare. Le trasformazioni produttive e sociali che avevamo già individuato nel congresso del 96 sono ormai diventate realtà. L’Europa, non solo monetaria, è un fatto ormai concreto. L’introduzione dell’euro ha prodotto, in Italia più che altrove, un impoverimento di massa dei settori popolari e in particolare del lavoro dipendente. Nei singoli Paesi si riduce la capacità propria di intervento sulle politiche economiche e sociali; tutto ormai dipende dalle scelte del nuovo super stato che determina, attraverso il Patto di stabilità, quali siano i parametri che ogni Paese deve rispettare, quali politiche economiche vadano intraprese, quali e quanti tagli allo stato sociale operare perché siano rispettati i vincoli europei. Il lavoro è stato, più di ogni altro fattore, quello che ha pagato maggiormente le nuove politiche europee. In Italia la Legge 30 ha rappresentato il coronamento della destrutturazione totale del mercato del lavoro introducendo ulteriori figure di precarietà che vanno aggiunte a quelle già introdotte dal Pacchetto Treu. I processi di finanziarizzazione dell’economia, da noi ampiamente analizzati negli scorsi anni, continuano lasciando sul campo anche morti e feriti. Le delocalizzazioni delle imprese nei paesi a minore costo del lavoro, a media professionalità e, in alcuni casi, ad alta professionalità degli addetti, hanno prodotto la chiusura e lo spostamento di apparati produttivi di ogni dimensione che hanno aggravato il dato occupazionale del Paese. Le privatizzazioni, seppure in maniera meno pesante da come aveva operato il centro sinistra, sono continuate ed hanno avuto effetti gravissimi sia sulla tenuta del welfare che sulle condizioni occupazionali. Un ciclo pesantissimo, che avrebbe spezzato la capacità di resistenza di qualunque organizzazione non si fosse dotata di una forte identità, strettamente legata all’individuazione dell’identità del movimento dei lavoratori, e non avesse affermato con forza la propria indipendenza dai governi, dai padroni, dai partiti. Questo dato dell’identità e dell’indipendenza l’abbiamo affrontato compiutamente con il 3° congresso che ci ha fornito strumenti adeguati a resistere in un quadro di trasformazione, per l’Italia, epocale. Abbiamo rifiutato la concezione dilagante secondo cui al mercato non ci si può opporre perché esso rappresenta “il bene” per la società e, quindi, anche per il singolo lavoratore che vivendo dentro il mercato globale avrà comunque opportunità se si disporrà alla precarietà, agli scarsi salari, alla perdita di diritti. Abbiamo ritenuto utile e fondamentale partire invece non solo dal rifiuto del mercato ma dalla affermazione forte che il punto di vista del mondo del lavoro si crea a partire dalla propria condizione materiale e quindi dall’esigenza di garanzie sul piano materiale. La forte identità e indipendenza dell’organizzazione ci è stata utile ad attraversare, crescendo in numeri e peso politico, sia il periodo buio della concertazione, sia quello nero della fine della relazioni sindacali nel paese inaugurato dal centro destra. Oggi il quarto congresso dovrà, tenendo conto dell’ampia riflessione che ho brevemente riassunto, attrezzare al meglio l’organizzazione per rispondere concretamente alle trasformazioni in atto, avendo la consapevolezza della crescita del ruolo e della funzione della RdB e della CUB.

D. Quali sono, invece, i contenuti e gli obiettivi del congresso della RdB/CUB P.I.?

D. Provenzano: È un momento particolarmente importante perché, nonostante l’interruzione data dalla conferenza di organizzazione del 2002, interviene dopo cinque anni dall’ultimo con il quale abbiamo sancito la costituzione della categoria unica di Pubblico Impiego; è di fatto la prima vera assemblea congressuale di P.I. Con questo congresso vogliamo rivolgerci in primo luogo al nostro interno e poi all’esterno da noi. Abbiamo bisogno di fare un bilancio di questi cinque anni, intensi e difficili ma anche esaltanti, per capire quanti e quali correttivi apportare alla nostra linea politica e ai livelli organizzativi fin qui sperimentati dentro uno scenario in continua trasformazione. Negli anni passati abbiamo sperimentato il rapporto con il precedente governo di centro sinistra e l’attuale di centrodestra e le loro politiche verso la Pubblica Amministrazione e verso i suoi lavoratori, un vero e proprio saccheggio della natura pubblica e universalistica del rapporto dello Stato con i suoi cittadini e un’aggressione crescente ai diritti e alle tutele dei lavoratori; abbiamo affrontato due impegnativi appuntamenti elettorali per la costituzione delle RSU; abbiamo dovuto fare i conti con il nuovo feudalesimo chiamato federalismo; siamo stati costretti a misurarci con l’irrompere della guerra come strumento permanente di regolazione dei rapporti di forza a livello internazionale con tutte le sue conseguenze nefaste, ecc. Un terremoto di avvenimenti di rilevanza epocale che ci vedono, però, più forti di prima! È necessario, perciò, analizzare bene questo periodo ed introdurre i correttivi organizzativi idonei a sostenere il peso delle responsabilità che ci consegna questo nuovo quadro politico e aggiornare l’analisi di fase. D’altra parte vogliamo rilanciare il conflitto e il protagonismo dei dipendenti pubblici su diversi terreni, in primo luogo contro lo smantellamento della Pubblica Amministrazione a difesa e rilancio dello Stato sociale. Vogliamo rafforzare ed estendere la lotta alla precarietà in ogni sua forma a partire dall’abrogazione delle leggi Treu e 30 anche nella P.A. e, in collegamento con il resto del movimento, riaffermare il diritto al lavoro e al salario. Ci proponiamo il rilancio della lotta per la democrazia nei luoghi di lavoro in un nuovo rapporto con gli eletti RSU attribuendo a questa battaglia un significato più generale rispetto al grave deficit di democrazia e di rappresentanza che caratterizza la situazione politica italiana. È già all’ordine del giorno la lotta contro lo scippo del TFS, il TFR del settore pubblico, come precondizione per imporre al quadro politico la necessità di ripensare e rafforzare la Previdenza pubblica.

D. Che valutazione fate dei quattro anni che vi separano dall’ultimo Congresso?

P. Leonardi: Nei quattro anni passati dall’ultimo congresso la CUB e la RdB sono non solo cresciute numericamente con l’apertura di nuove strutture in tutta Italia e in tutti i settori, dal pubblico impiego ai trasporti al territorio, tra i precari e i disoccupati, ma è sensibilmente cresciuto anche il peso politico. Oggi possiamo dire senza falsa modestia che sono centinaia di migliaia coloro che nel mondo del lavoro guardano alla nostra organizzazione come l’unico punto di riferimento credibile fuori dall’alveo concertativo. Un tale risultato è stato possibile grazie alla forte identità di cui ci siamo dotati e dall’aver resistito, unici nel panorama del sindacalismo di base, alle tentazioni dell’ “ecumenismo” anti berlusconiano che ha prodotto, per esempio per i Cobas ed altri un’involuzione che li ha subordinati completamente, attraverso il social forum, alle scelte della CGIL. Un dato rilevante è però anche quello dell’internità delle nostre strutture a tutti i processi di movimento che si sono realizzati in questi anni. Dalle contestazioni al G7 a Napoli a quelle del G8 a Genova fino alla presenza sistematica in ogni situazione in cui il conflitto si manifestava, anche se al di fuori dell’ambito strettamente sindacale come nel caso delle lotte ambientali di Scanzano, Acerra, Benevento. Ciò, più di molte parole, dimostra che l’organizzazione non solo è cresciuta sul piano delle lotte sindacali - basti ricordare la straordinaria stagione degli autoferrotranvieri e del pubblico impiego - ma che ha saputo relazionarsi ed incidere nel territorio, sedimentando rapporti e sperimentando nuove forme di lotta capaci di sintonia con quanto si muove fuori dagli ambiti strettamente sindacali. Da notare come in questi quattro anni sia cresciuta la nostra presenza nel settore, ormai strategico del precariato. Sono migliaia gli ex disoccupati - ora corsisti - delle Liste storiche di Napoli ad aver deciso di aderire alla RdB Precari riconoscendo in questo modo la continua attività messa in campo su questo terreno e sul diritto al reddito e dotandosi di uno strumento sindacale utile a proseguire e sviluppare le vertenze per il diritto al lavoro.

D. E per i contratti in scadenza cosa pensate di fare e quali sono le differenze fra la vostra posizione e quella di Cgil, Cisl e Uil?

D. Provenzano: Siamo a quindici mesi dalla scadenza contrattuale e mai come in questa occasione la questione del rinnovo contrattuale è diventata materia di bassa propaganda politica. Una situazione della quale porta ovviamente la maggiore responsabilità il governo ma, anche se in diversa misura, Cgil, Cisl e Uil che hanno prima balbettato e poi data per buona, come base di partenza, la posizione preannunciata dalla legge finanziaria che offre il 4,31% di adeguamento salariale. Noi pensiamo che per rimettere in discussione la posizione governativa bisogna adottare scelte radicali e innovative. Sul fronte delle lotte, rompendo con la logica degli scioperi di testimonianza ma adottando forme di lotta di lunga durata che si collochino fuori dalle “regole” imposte al conflitto e che vedano la partecipazione, in un fronte unitario di cointeressenza, dei cittadini utenti. Per riuscirci, per mobilitare davvero i lavoratori è necessario adottare una diversa politica contrattuale. Bisogna rompere definitivamente con la politica dei redditi e della concertazione. Basta, quindi, con la richiesta di aumenti in percentuale rispetto all’inflazione attesa o ufficiale, intanto perché è un imbroglio e poi perché non affrontando il problema di una diversa, rovesciata distribuzione della ricchezza tra salario, profitto e rendita non affronta il problema di una diversa politica economica, soprattutto nel bel mezzo di una crisi epocale. Ci apprestiamo, insomma, a fare della scadenza dei contratti l’occasione per rilanciare la questione salariale più in generale chiedendo un aumento di 300 euro in cifre fissa per aggredire la divaricazione crescente tra i diversi comparti e al loro interno tra i diversi livelli di inquadramento.

D. In questo congresso vengono messe in rilievo alcune specificità che caratterizzano il nostro tempo: il lavoro precario, la disoccupazione, la battaglia per il reddito, come intende affrontarle la RdB?

E. Papi: Per la verità queste tematiche non sono proprio una novità, già nella Conferenza Programmatica del 1994 avevamo individuato il problema del lavoro “grigio” ossia di tutta quell’area di precariato flessibile, come i Lavoratori Socialmente Utili, che già cominciava a caratterizzare il mercato del lavoro nel nostro paese. È indubbio però che in questo Congresso non solo si ribadisce la necessità di continuare ad essere un punto di riferimento politico ed organizzativo per questa parte del mondo del lavoro,il precariato, che aumenta in maniera esponenziale, ma ad esso va associato l’intervento rispetto al privato diffuso alla luce delle trasformazioni, avvenute o in fieri, nei rapporti di lavoro. Le liberalizzazioni, le privatizzazioni dei servizi pubblici, locali e nazionali, stanno trascinando migliaia e migliaia di lavoratori, finora classificabili tra i garantiti, in una specie di limbo in cui non esistono sicurezze né garanzie. È indubbio che questo settore d’intervento riveste un’importanza strategica per lo sviluppo delle RdB, sia a livello di elaborazione politica che di espansione organizzativa, poiché accanto ai settori del lavoro dipendente tradizionale si diffondono sempre di più altri settori che sfuggono al cliché classico del lavoro subordinato. Siamo in presenza infatti di una modificazione strutturale radicale della composizione di classe. Il diffondersi del lavoro a breve termine, a contratto atipico, occasionale, degli appalti non più solo di segmenti di lavoro a scarso contenuto tecnologico, ma di interi settori produttivi nelle grandi aziende, è accompagnato da un cambiamento nella struttura delle istituzioni sociali, politiche, sindacali, che vengono adeguate alla logica del mercato. Gli aspetti più evidenti di questa continua ristrutturazione sono la riduzione dei posti di lavoro, la perdita di controllo e di potere da parte dei lavoratori e delle loro organizzazioni sindacali, la polverizzazione della produzione nel territorio, l’abbattimento di qualunque garanzia e diritto. L’ entrata in vigore della Legge 30/2003, che ha reso brutalmente legittime le più svariate forme di rapporti di lavoro atipici, permetterà ai padroni nostrani, pubblici e privati, di ampliare a dismisura l’area del lavoro fluido. Il modello sindacale tradizionale, costruito sulla base di categorie omogenee - lavoro stabile, aggregato, di grandi dimensioni, incardinato nel territorio - non sembra in grado di intercettare le nuove figure del lavoro precario, flessibile, fluido nel tempo e nello spazio. Se i lavoratori sono nomadi, ricattabili, se i luoghi dei lavori sono sparsi, atomizzati, sfuggenti, l’organizzazione del sindacato non può pensarsi radicata sul posto di lavoro, deve darsi una dimensione esterna al posto di lavoro. Si rende necessario allora pensare ad un modello sindacale che copra ambiti più vasti, con una trama che tenga insieme elementi di difesa pratica ma anche elementi in grado di stimolare l’acquisizione della coscienza della propria condizione, della comprensione della vera natura dei propri problemi individuali, in un parola sia in grado di dare il senso di un’identità; un sindacato in grado di adeguare l’azione alle trasformazioni in atto, che rischiano di vanificare la stessa funzione sindacale. La lotta per il Reddito Sociale Minimo parte da questa precisa necessità e condizione. Essa ha in sè sia l’elemento vertenziale, cioè la richiesta di reddito diretto/indiretto verso soggetti istituzionali ben precisi, che può produrre lotta ed organizzazione, sia un elemento generale che produce quella “identità”, oggetto del nostro ultimo congresso, in quanto afferma il diritto al lavoro ed una richiesta di equità sociale sempre più forte di fronte al manifestarsi delle storture causate da una società basata sul lavoro precario, sull’assenza delle prospettive per le giovani generazioni e sul ricatto occupazionale. La costituzione della “Rete per il Reddito Sociale ed i Diritti” è stato un importante elemento che si è misurato nella concretezza del conflitto sociale, sul piano generale ed in modo organico, in alternativa alla incontrastata impronta politica data dalla CGIL cofferatiana e che, oggi, può rilanciare un’ iniziativa che si ponga non solo il problema della lotta ma anche quello delle alleanze sociali in una fase di pesante attacco - da attendersi anche con il prossimo eventuale governo dell’Unione - alle condizioni di lavoro di vita e di salario del lavoro dipendente sia stabile che precario. Le manifestazioni di Milano con la May day del 1° Maggio 2004 e quella di Roma del 6 Novembre hanno dimostrato che la strada intrapresa produce risultati politici ed organizzativi che rafforzano la nostra prospettiva.

D. E sull’immigrazione?

E. Papi: A quindici anni dall’ingresso in Italia dei primi consistenti flussi migratori, agli immigrati regolarmente residenti non è stato riconosciuto nessuno dei diritti civili, politici o sociali di cui godono i cittadini italiani ed altri cittadini provenienti da paesi appartenenti all’Unione Europea. La stessa costruzione europea si va delineando come una cittadella che ha scelto una politica di chiusura verso gli stranieri attraverso pratiche sociali che trasformano i migranti in esclusi e nemici della società, in un pericolo da contrastare energicamente e con ogni mezzo, dalla reclusione in veri e propri lager all’espulsione generalizzata, dalla creazione di campi di internamento in territori limitrofi come la Libia, alla militarizzazione dei confini, all’emarginazione sociale e politica di chi ha la fortuna di conquistare un permesso di soggiorno. Il mito delle frontiere chiuse ha già prodotto tanti effetti negativi per gli stessi cittadini dei paesi europei, i cui governi non vogliono accorgersi che con 20,5 milioni di immigrati e altri milioni di naturalizzati l’Europa è già un continente multiculturale. Il nostro lavoro sindacale parte da questo quadro e colloca la battaglia per i diritti degli immigrati nella più generale lotta contro il neoliberismo ed il libero mercato, contro la riduzione degli spazi democratici e di libertà.Le politiche dell’immigrazione in Italia hanno rappresentato un paradigma della facilità con cui è possibile calpestare, ignorare o violare i principi universalistici fondamentali della Costituzione italiana, testimoni di un’involuzione politica e sociale che ha saputo concepire solo misure d’apartheid e di esclusione. L’attuale legislazione italiana in materia d’immigrazione, rappresentata dalla Bossi/Fini, la famigerata Legge 189, che ha preso le mosse dal precedente Testo Unico sull’Immigrazione varato dal centro sinistra, ha introdotto nuove forme di pesante discriminazione xenofoba a danno dei cittadini immigrati che vengono considerati elementi marginali della società italiana, trattati alla stregua di soggetti privi di dignità, cultura e vita propria. È sempre più evidente come la strategia del Governo e del padronato parta dalla necessità di avere a disposizione un numero sempre più elevato di immigrati irregolari, non stabilizzati e clandestini che vada a incrementare una massa sempre più grande di forza lavoro da sfruttare in tempi brevissimi, sottoposta ad un elevato turn over e riciclo continuo. È lo stesso mercato del lavoro, così come si va configurando, che ha bisogno dell’aumento degli ingressi clandestini. La privatizzazione del rilascio dei permessi di soggiorno, l’allungamento dei tempi di rinnovo rispondono a questa necessità di precarizzazione e di continuo abbassamento del costo del lavoro con una immediata ricaduta sui lavoratori italiani, in un continuo gioco al ribasso delle garanzie e dei diritti. Balza agli occhi a questo proposito l’assoluta necessità di non ghettizzare le lotte degli immigrati ma trovare i modi concreti su cui queste si saldano con le lotte dei lavoratori italiani. Un punto centrale rimane la lotta contro i Centri di detenzione temporanea, veri e propri lager, e contro il contratto di soggiorno, condizionato dalla legge 30, da rapporti di lavoro sempre più brevi, che scadono perfino prima del rilascio del relativo permesso di soggiorno! La costruzione di una rete di lotta contro la Legge 30 e contro i CPT diventa per noi prioritaria.