Lavoro e capitale in movimento

Felice Mometti

Le trasformazioni del capitale e la metamorfosi del lavoro, se si potesse riassumere in una frase il libro di Marco Bertorello “Un nuovo movimento operaio” 2004 Edizioni Alegre. Un impegnativo lavoro di ricerca che si colloca sul terreno più volte evocato, in questi anni, delle attuali caratteristiche del rapporto tra capitale e lavoro alla luce della globalizzazione capitalistica. Una globalizzazione come processo non lineare, che però riorganizza incessantemente le nuove dimensioni spaziali e temporali della “catena di montaggio globale”. Il cambiamento radicale degli assetti produttivi, molte volte frettolosamente definito come post-fordismo, assume invece i connotati di un’accumulazione flessibile al cui interno convivono, in modo contraddittorio, il superamento del fordismo e la sua riattualizzazione. Quindi una globalizzazione non semplicemente intesa come sommatoria delle economie nazionali o tutt’al più un aggiornamento dell’internazionalizzazione della produzione, ma fase di rivoluzionamento di quel particolare rapporto sociale che è il Capitale. Sfuggendo sia alla “retorica della complessità” che all’ineluttabilità delle recenti trasformazioni. La globalizzazione capitalistica dà vita ad un variegato panorama produttivo, territoriale e geografico con differenti profili organizzativi non omogenei.Quando si parla di fabbrica integrata e modulare,di delocalizzazione di settori produttivi, delle nuove forme della cooperazione sociale al tempo stesso si nomina il processo di formazione dei soggetti del conflitto. Un approccio, quello proposto dal testo, che si muove - in una dialettica non deterministica - nella relazione tra “nuovi” rapporti di produzione e condizioni di sviluppo di nuove soggettività. Una serie di analisi che, mettendo a confronto le più o meno recenti elaborazioni sulla fine del lavoro, sulla politicità intrinseca delle “moltitudini”, sui prossimi futuri neokeynesiani, forniscono utili indicazioni per affrontare in modo scevro dalla contingenza e “dall’impressione” la materialità della condizione dei corpi e delle menti messi al lavoro. Una materialità che non assume il significato della continuità con i modelli di riferimento precedenti, ma è il contenuto di una nuova morfologia del lavoro sul piano sociale politico e giuridico. Ed è qui che si colloca la crisi degli istituti, delle forme di socializzazione, della generalizzazione dei comportamenti del “vecchio movimento operaio”. Flessibili, precari, atomizzati, è l’immagine dei lavoratori che ci viene restituita dalle politiche neoliberiste.La flessibilità si converte da esigenza interna per far fronte ai nuovi meccanismi di mercato a strumento volto al controllo, al comando sulla forza lavoro ed alla sua subalternità al modo di produzione capitalistico. Il lavoro diventa progetto, mission, incarico, è spezzettato, frantumato. Il lavoratore diventa collaboratore, prestatore d’opera. Bertorello però, in questo quadro, non trascura di analizzare quegli indicatori che alcuni autori considerati innovativi sottovalutano o giudicano scarsamente importanti come i profitti, le rendite, i salari. Tanto da prendere grossi abbagli sulla possibilità di ridistribuire la ricchezza prodotta, come nelle teorie sul reddito di cittadinanza o di esistenza, a prescindere dal processo di valorizzazione del capitale.In questo modo, non senza paradossi, si fa appello all’etica della responsabilità dell’impresa cercando di praticare il “conflitto” in quanto opinione pubblica. Il libro di Bertorello affronta in modo rigoroso, offrendo piste interpretative e spunti di analisi, questi temi. Infatti evita l’ormai antica - e per certi versi inutile - disputa se liberarsi dal lavoro o liberarsi del lavoro, concentrandosi sulla critica del “lavoro reale”. La “centralità del lavoro” trova il suo fondamento non tanto come fine ma come processo di liberazione aperto alle continue ridefinizioni apportate dai soggetti che lo attraversano. Il percorso della ricomposizione sociale e politica del lavoro sarà accidentato, ci porrà problemi inediti come quello del lavoro migrante Più che guardare troppo al passato o di ipotizzare scenari improbabili si tratta di anticipare il futuro agendo nell’attualità dei conflitti. In questo senso si può parlare di nuovo movimento operaio.