Difendersi dall’inflazione, rilanciare una nuova Scala Mobile

DOMENICO PECORARO

MASSIMO CARAPELLA

1. Scala Mobile

La Scala Mobile è uno strumento essenziale di tutela e di salvaguardia dei salari e delle pensioni: è il meccanismo di adeguamento automatico delle retribuzioni al costo della vita avente come obiettivo quello di mantenere inalterato il potere d’acquisto del salario (salario reale) in presenza di oscillazioni dei prezzi. Nel modello di Scala Mobile adottato in Italia fino al 1992, gli adeguamenti salariali venivano effettuati 6 mesi dopo gli aumenti dei prezzi e l’adeguamento era solo parziale1, come si vedrà meglio nel prosieguo dell’articolo. La Scala Mobile veniva calcolata seguendo l’andamento dei prezzi di particolari beni di consumo, generalmente di larga diffusione, che costituivano il cosiddetto “paniere”. Negli ultimi mesi ha ripreso vigore il dibattito sulla Scala Mobile, e sulla opportunità della sua reintroduzione nel sistema salariale nazionale. Si tratta di un tema delicato, che divide anche le organizzazioni sindacali, oltre che il mondo politico, ed attualmente non incontra il favore nemmeno delle forze politiche del cosiddetto centro-sinistra, che sembrano interessate a non creare ansie e timori alla Confindustria, ai cosiddetti moderati, nella consapevolezza che una proposta del genere determinerebbe un attacco frontale da parte di tutti i mezzi di informazione interessati a dimostrare che la Scala Mobile è il peggiore dei mali e che si tratta di un retaggio del passato. O peggio ancora, che la Scala Mobile è la causa dell’inflazione. In altre parole, le forze che compongo l’attuale centro-sinistra - e purtroppo anche i sindacati confederali - sembrano preoccupati di non apparire conflittuali con gli interessi degli industriali, quasi a voler nascondere quella necessaria vocazione di giustizia sociale che deve caratterizzare una formazione di sinistra. Eppure la Scala Mobile incontra il favore e l’attenzione dei lavoratori, indipendentemente dall’appartenenza all’una o all’altra sigla sindacale o alle simpatie politiche: ciascun lavoratore è oggi sempre più consapevole che l’unico strumento per recuperare almeno in parte la perdita del potere di acquisto della moneta è la Scala Mobile. La principale eccezione alla nostra proposta di introduzione della Scala Mobile è che essa produrrebbe l’aumento dell’inflazione e porterebbe ad una perversa spirale prezzi-salari. L’analisi macro-economica dimostra che si tratta di accuse infondate. La Scala Mobile non crea e non può creare inflazione da domanda2 per il semplice motivo che la quantità domandata dei beni resta invariata. Infatti l’adeguamento salariale avviene solo dopo che si sono già verificati gli incrementi dei prezzi, determinando un aumento solo nominale del reddito. Ma la quantità complessiva dei beni che le famiglie possono acquistare resta immutata. Il percorso storico e la sua natura intrinseca dimostrano che la Scala Mobile è stata la risposta e non la causa dell’inflazione. Questo strumento di adeguamento salariale nasce proprio per salvaguardare il potere di acquisto delle retribuzioni in un periodo, quello dell’immediato dopoguerra, in cui l’inflazione era galoppante e finiva con il fagocitare buona parte dei salari e degli stipendi. Nella Tabella n. 1 abbiamo riportato i dati ISTAT sull’incremento dei prezzi dal 1948 al 20053. I dati contenuti nella tabella 1 sono stati riportati nel grafico che consente una migliore visualizzazione delle variazioni del tasso di inflazione in tutti gli anni dal dopoguerra ad oggi. Emerge con tutta evidenza che la spirale inflazionistica ha avuto andamenti altalenanti, del tutto indipendenti dalla presenza o dall’assenza della Scala Mobile. Negli anni Cinquanta e Sessanta la spinta inflazionistica non è stata particolarmente forte, e ha avuto una media annua del 3,5%. Successivamente, a partire dal 1973 e fino al 1984, la spinta inflazionistica è stata fortissima, con punte del 21,1% nel 1980 e del 18,7 nel 1981. In questi terribili 11 anni l’inflazione ha avuto una media annua del 15% circa. Ma la causa non era la Scala Mobile. Del resto anche negli anni precedenti la Scala Mobile era presente e non c’erano quei livelli di inflazione. Successivamente, a partire dal 1985, l’inflazione si è assestata su livelli meno drammatici, ed ha oscillato intorno al 5 - 6 % annuo, come effetto di un rallentamento ciclico e non per effetto di specifiche misure di rilancio dell’economia. Se si analizza il decennio 1986-1995 emerge che il tasso di inflazione è rimasto sostanzialmente invariato, sia prima che dopo l’abolizione del meccanismo di adeguamento automatico dei salari, a conferma che la Scala Mobile non modifica la dinamica dei prezzi.

2. Nascita della Scala Mobile

La Scala Mobile nasce il 6 dicembre 1945 a seguito dell’accordo tra la Confederazione Generale dell’Industria italiana e la Confederazione Generale del Lavoro. L’accordo era settoriale, in quanto era riferito unicamente agli operai dell’industria che lavoravano nell’Italia settentrionale. Le parti convennero di “istituire una sistema di Scala Mobile sull’indennità di contingenza, opportunamente perequata per rendere automatici, in relazione all’andamento del costo della vita, gli adeguamenti di retribuzione che risultassero necessari”4. L’articolo 11 di tale accordo stabilì che l’indennità di contingenza sarebbe variata nel tempo in proporzione alle variazioni del costo della vita, risultanti dai numeri indici appositamente calcolati per tutte le province interessate all’accordo. Gli indici erano calcolati in base a precise norme tecniche fissate da una commissione paritetica, costituita a Milano e composta da due rappresentanti della confederazione dell’industria e due rappresentanti della confederazione del lavoro. Fu costituito un paniere di prodotti e servizi denominato “paniere costo vita”, che rappresentava il consumo di una famiglia tipo, composta di 2 coniugi e 2 figli. Il calcolo della variazione della contingenza avveniva trimestralmente e per provincia in relazione alle variazioni dell’importo del bilancio. L’indennità di contingenza costituiva, così, un elemento aggiuntivo alla paga base ed era un elemento variabile della retribuzione complessiva in relazione alle variazioni del costo della vita. Questo accordo venne successivamente esteso al centro e al sud d’Italia con il concordato di perequazione del 23 maggio 1946. In quella data fu concluso il primo accordo a carattere nazionale denominato “accordo di sistemazione e tregua salariale”, finalizzato a normalizzare numerose situazione retributive dei dipendenti dell’industria e a ridurre la conflittualità sindacale. Con questo accordo il sistema della Scala Mobile subì rilevanti modifiche e grazie all’azione incisiva delle organizzazioni sindacali furono ottenute delle modifiche importantissime e impensabili oggi: • fu unificata per tutto il territorio nazionale la nuova base per il calcolo della contingenza, abolendo la precedente distinzione tra le province settentrionali e meridionali; • fu ridotto a due mesi, anziché a tre il periodo di variazione della contingenza, con l’intento di conseguire un più rapido adeguamento della contingenza al costo della vita. Questo iniziale sistema di adeguamento dei salari al costo della vita, attraverso il meccanismo della Scala Mobile, aveva degli aspetti che a distanza di 55 - 60 anni sembrano avveniristici e che ancora oggi sono ammirevoli. La determinazione dell’indice del costo della vita non avveniva unilateralmente come accade oggi. Già nell’accordo del 6 dicembre 1945 fu stabilito che gli indici di incremento del costo della vita dovessero essere calcolati in base a tecniche stabilite da una Commissione paritetica costituita a Milano e composta da due rappresentanti della confermazione dell’industria e due rappresentanti della confederazione del lavoro. Successivamente, con l’accordo preliminare di rivalutazione del 5 agosto 1949, la confederazione generale italiana del lavoro e la confederazione generale dell’industria espressero la necessità di approfondire gli studi circa il metodo di calcolo di un indice nazionale del costo della vita e la formulazione di un nuovo bilancio della famiglia tipo. L’accordo, inoltre, decretò la cessazione del funzionamento degli indici provinciali. Inoltre, allo scopo di migliorare il sistema della Scala Mobile, ed in particolare ristrutturare lo schema dei consumi della famiglia tipo, l’istituto centrale di statistica (ISTAT) dispose la costituzione di una apposita commissione di studio che comprendeva, oltre ai membri del consiglio superiore di statistica, esperti designati dalle varie organizzazioni sindacali interessate e rappresentanti del Ministero del Lavoro e di alcuni principali Comuni. La commissione iniziò i suoi lavori nel novembre del 1949 e stabilì i criteri per la formazione del nuovo bilancio familiare, base di calcolo del costo della vita, attraverso la ponderazione dei singoli elementi dei compongono il paniere della spesa della famiglia tipo. In quegli anni fu seguito quello che oggi definiremmo un metodo concertativo, nel senso che determinazioni così importanti sui bilanci familiari, come il calcolo dell’inflazione, erano decisi con organismi in cui erano presenti rappresentanti del governo e della parti sociali. In questa ottica si inserisce la “Commissione Costo della Vita”, istituita con delibera n. 135 del 22 dicembre 1951. La commissione era composta da • Rappresentanti dell’ISTAT: direttore centrale dell’Istat con funzione di presidente, e da altri 4 funzionari dell’istituto centrale di statistica, • 4 rappresentanti dei datori di lavoro (2 per la confindustria, un rappresentante per confommercio, e un rappresentante per la confagricoltura) • 3 rappresentanti sindacali, uno per ciascuno dei tre sindacati confederali CGIL CISL UIL. La commissione aveva il compito di vigilare affinché la rilevazione dei prezzi avvenisse nel rispetto delle norme e che le liste dei generi considerati risultassero conformi con l’andamento dei mercati e dei consumi delle famiglie. La commissione si riuniva una volta al mese per approvare il bilancio sulla base del quale si calcolava l’indice nazionale del costo della vita. Dai verbali delle riunioni mensili dovevano risultare l’approvazione dei prezzi rilavati e la correttezza dello svolgimento di tutte le fasi della rilevazione; l’ISTAT non poteva utilizzare nelle proprie elaborazioni i dati che non erano approvati dalle Commissioni di controllo. La fase dell’approvazione era essenziale per l’approvazione del calcolo dell’incremento del costo della vita e il metodo era negoziale, in maniera tale da consentire ai rappresentanti dei lavoratori di avere peso nelle decisioni finali. Indubbiamente questo sistema consentiva il calcolo del costo della vita, senza quegli errori così evidenti che si verificano oggi. Oggi l’ISTAT effettua il calcolo dell’incremento del costo della vita (nell’indice generale dei prezzi) senza alcun contradditorio, senza confrontare le proprie risultanze con quelle dei rappresentanti dei lavoratori o dei consumatori. E quell’indice, come sappiamo, influenza il nostro salario, incide sui rinnovi contrattuali. Il sistema ideato sessanta anni fa era molto più attento ai diritti dei lavoratori di quello odierno, che lascia al solo istituto centrale di statistica il compito di individuare il tasso di inflazione che meglio rispecchia la volontà del governo e della confindustria. La Scala Mobile per tutto il pubblico impiego fu denominata “indennità integrativa speciale” ed entrò in vigore con la legge 27 maggio 1959 n. 324. Essa era inizialmente applicata con periodicità annuale determinando una sperequazione rispetto agli altri settori produttivi: infatti negli altri settori produttivi l’incremento salariale avveniva ogni bimestre e nel settore pubblico soltanto annualmente. Successivamente la sperequazione fu rimossa, uniformando anche per il pubblico impiego la metodologia per l’adeguamento e per il calcolo dell’incremento del costo della vita. La legge n. 364 del 31 luglio 1975 stabilì l’equiparazione del valore del punto dell’indennità di contingenza a quello dei restanti settori. Successivamente la legge 609 del 6 dicembre 1979 eliminò l’ultima disparità di trattamento con i dipendenti pubblici e previde che, a decorrere dal 1 febbraio 1980, le variazioni dell’indennità integrativa speciale fossero apportate trimestralmente. Nel periodo in cui era in vigore il meccanismo di adeguamento automatico dei salari si verificò la grave crisi monetaria ed inflazionistica degli anni Settanta, protrattasi fino a metà degli anni Ottanta. Essa non può essere messa in relazione con alla Scala Mobile, e nessun economista serio potrebbe affermarlo. L’inflazione in quegli anni aveva cause ben diverse: come è stato autorevolmente sostenuto dalla professoressa Cavalcanti5, l’inflazione fu tollerata o forse addirittura provocata per favorire le esportazioni e proteggere le imprese nazionali che non riuscivano a competere sul piano internazionale con gli ordinari mezzi di concorrenza e ricorrevano alla svalutazione monetaria e alla riduzione del costo del lavoro che era conseguenza dell’inflazione. Effetto dominante di ogni spinta inflazionistica è la redistribuzione del reddito che avviene sempre a danno dei redditi fissi e a favore dei profitti: negli anni Settanta questo processo fu accentuato dal fenomeno del cosiddetto “drenaggio fiscale” che, con l’aumento automatico delle aliquote al crescere dei prezzi e dei redditi monetari (a parità di reddito reale), introduceva di fatto (soprattutto a carico dei redditi fissi) aumenti di prelievo fiscale che il Parlamento non aveva mai approvato. Sul fronte esterno, la svalutazione genera sempre pressioni per la svalutazione della valuta nazionale e se ne avvantaggiano le imprese esportatrici. Come osservato da Augusto Graziani, l’inflazione degli anni Settanta e degli anni Ottanta non fu generata dalla Scala Mobile, ma dalla svalutazione esterna della moneta6. Ma la reazione della sinistra fu debole di fronte a questa spregiudicata politica governativa di inflazione e redistribuzione verso l’alto. Paradossalmente la sinistra condivideva la diagnosi dominante che attribuiva l’inflazione alla spinta dei salari e finiva con l’ammettere che era necessaria una politica dei redditi. L’unico punto fermo delle sinistre (e su questo gli articoli di Claudio Napoleoni7 sono particolarmente eloquenti) era che la politica dei redditi non andasse semplicemente concessa, nel nome della stabilità monetaria, ma contrattata. Questa scarsa contrapposizione produsse in tutto il periodo a cavallo tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta ad una forte contestazione dei lavoratori verso le scelte sindacali. I lavoratori non accettavano le centralizzazione delle relazioni sindacali, gli accordi di vertice e soprattutto il moderatismo delle rivendicazioni. Un punto sul quale la sinistra non si soffermava a sufficienza era che un’economia come quella italiana non poteva limitarsi a svalutare la moneta per sostenere le esportazioni. Sarebbe stata necessaria una rivoluzione tecnologica, con l’obiettivo di collocarsi nelle fasce più alte delle tecnologie avanzate. Invece l’industria italiana puntò (e continua a farlo anche oggi) soltanto sulla compressione del costo del lavoro, imputando l’inflazione galoppante di quegli anni agli incrementi stipendiali frutto della Scala Mobile, senza considerare che l’inflazione era la causa e non l’effetto. L’esperienza degli anni Settanta è particolarmente importante, perché da quegli anni partì una massiccia campagna organizzata dalla Confindustria e sostenuta da tutti i maggiori mezzi di informazione che ha portato all’abolizione della Scala Mobile. In quegli anni si focalizzò l’attenzione unicamente sul costo del lavoro che si cercò di comprimere. La politica industriale non puntò sull’evoluzione tecnologica per competere sui mercati internazionali, ma soltanto sul basso costo del lavoro, con i continui attacchi al salario e quindi alla Scala Mobile. Si tratta dell’iniziale attacco di una politica che sarà seguita anche nei periodi successivi e che porterà prima al decreto del 14 febbraio 1984 del governo Craxi (cui seguirà il referendum perso dai lavoratori) e poi alla definitiva eliminazione della Scala Mobile8. È utile soffermare l’attenzione sul 14 febbraio 1984, quando il presidente del consiglio Bettino Craxi trasformò in decreto l’accordo separato con il quale CISL, UIL, Confindustria e tutte le associazioni imprenditoriali, comprese le cooperative e lo stesso governo, tagliarono quattro punti della Scala Mobile. Un anno prima dell’accordo di San Valentino, il ministro del Lavoro Scotti aveva firmato con le tre confederazioni sindacali un protocollo di intesa che definiva un primo patto sociale. Si riduceva il valore del punto di Scala Mobile, si concedevano gli straordinari obbligatori, si dava il via, con i contratti di formazione lavoro, alla precarizzazione del rapporto di lavoro. Anche se preparato nel tempo, il decreto del 14 febbraio rappresentò uno strappo. Ciò in primo luogo perché, dopo la lunga stagione dell’unità sindacale, si tornava all’accordo separato contro la CGIL, come nei terribili anni ’50. In secondo luogo perché l’accordo separato che tagliava la Scala Mobile venne poi applicato a tutto il paese con la forza del decreto legge governativo. Il potere politico interveniva dall’alto disciplinando le relazioni sindacali, alla faccia dell’autonomia e della democrazia. La questione sindacale diventava dunque immediatamente questione democratica. Per questo ci fu il referendum del 1985, nel quale la sinistra e i lavoratori furono sconfitti da un attacco di classe del consociatovismo alla scelta del capitale. Il governo e la confindustria prevalsero di poco, nonostante il disimpegno di fatto di gran parte del PCI e della CGIL nella campagna elettorale, l’ostilità degli altri sindacati confederali e la campagna di stampa di tutti i mezzi di informazione ferocemente ostili al referendum.

3. Attacchi alla Scala Mobile fino al suo smantellamento Come si è scritto a partire dalla fine degli anni settanta cominciò l’attacco diretto alla Scala Mobile (e ai salari dei lavoratori). Le autorità monetarie, in particolare la Banca d’Italia, formularono previsioni negative sull’incidenza della Scala Mobile sia sull’inflazione che sul costo del lavoro. E il governo, nel piano di controllo dell’inflazione, emanò un decreto legge 11 ottobre 1976 n. 699 che bloccava l’indennità di contingenza per 19 mesi. Anche la Confindustria sul finire del 1976 chiese alle confederazioni sindacali dei lavoratori di aprire le trattative per studiare i correttivi da apportare alla Scala Mobile. Con l’accordo del gennaio del 1977 le organizzazioni sindacali accettarono di modificare le modalità di calcolo di alcune voci del paniere sindacale. Venne concordato di non calcolare nei prezzi delle tariffe elettriche il sovrapprezzo termico9 e di eliminare alcuni beni e servizi ormai poco diffusi sul mercato. Questo accordo apparve come una prima rinuncia delle organizzazioni sindacali che facero un passo indietro e ottennero un accordo al ribasso, rinunciando ad una parte dell’incremento del costo della vita, che pure era considerevole: quello legato al sovrapprezzo termico. A seguito della forte crescita dell’inflazione verificatasi nel corso del 1980 (+ 21,1%) rispetto all’anno precedente, si riaprì il dibattito sulla struttura del salario e del costo del lavoro, nonché sul ruolo e sulle caratteristiche della Scala Mobile, ritenuta (in mala fede) una delle principali cause dell’elevato tasso di inflazione. Questo processo di demonizzazione della Scala Mobile proseguì rapidamente, sollecitato dalla stampa che strumentalmente addossava le colpe all’inflazione, senza considerare che la Scala Mobile era l’effetto e non la causa dell’inflazione. La Scala Mobile nasceva come risposta all’inflazione e certamente non si poteva dare la colpa di un fenomeno che le autorità monetarie e di governo non sapevano e non volevano affrontare. Indubbiamente negli anni Ottanta l’inflazione era molto alta, ma essa fu favorita dalla politica monetaria e da quella parte degli imprenditori che chiedeva la svalutazione della lira per essere più competitivi all’estero. Il governo Craxi aprì le porte per l’attacco alla Scala Mobile con un decreto legge, convertito nella legge 219 del 12 giugno 1984. Questa norma stabiliva la prederminazione dei punti della Scala Mobile per i primi due trimestri del 1984 sulla base del tasso programmato di inflazione e fissandolo in due punti per ciascuno dei due trimestri. Come accade sempre, anche in quel caso, il tasso di inflazione programmato fu inferiore alla previsione e i punti maturati nei primi due trimestri del 1984 furono 4 in febbraio e 4 in maggio. Il governo si rifiutò di far recuperare ai lavoratori i punti di Scala Mobile tagliati e, proprio per recuperare i 4 punti di Scala Mobile non erogati ai lavoratori, fu promosso un referendum per l’abrogazione della legge ed il ripristino dei punti tagliati. Il referendum, con il 54% dei voti, fu respinto e fu una cocente sconfitta per tutto il mondo dei lavoratori. Rappresentò una spinta per chi continuava a lavorare per eliminare la Scala Mobile e per tutti quelli che avevano a cuore gli interessi confindustriali e padronali. La sconfitta del referendum del 1984 dimostrò anche, ove mai ve ne fosse bisogno, il potere dei mezzi di informazione. La propaganda martellante di quei giorni delineava scenari foschi qualora i lavoratori avessero vinto e ipotizzava spinte inflative sempre più gravi. Questo martellamento di notizie riuscì nel suo intento, tanto che la maggioranza dei votanti diede ragione alla confindustria, al padronato e al governo. È triste, paradossale, pensare che in un referendum di questo tipo, anche chi avrebbe tratto un vantaggio economico dal recupero dei 4 punti di Scala Mobile, poi alla fine abbia votato contro, spaventato da una ipotesi assolutamente infondata. Si profilava una stagione più difficile di lotte sindacali, con la sostanziale impossibilità di concludere un accordo sulla Scala Mobile per il settore industriale. Il 25 novembre 1985 il Ministero della Funzione Pubblica siglò con i rappresentanti della tre organizzazioni sindacali unitarie un accordo per i dipendenti pubblici. Dato il mancato raggiungimento di un accordo tra la confindustria e la confederazioni sindacali unitarie dei lavoratori, le parti sociali convennero di accettare per il settore privato quanto era stato raggiunto per il pubblico impiego limitatamente al meccanismo della Scala Mobile. Successivamente il governo presento due disegni di legge che estendevano il nuovo sistema di Scala Mobile a tutti i dipendenti. La confindustria, nell’accettare questo accordo, precisava che esso avrebbe avuto efficacia fino al 31 dicembre 1989, salva la possibilità di disdetta con preavviso di sei mesi. Era la prima volta che il settore privato recepiva una normativa in materia di lavoro concordata per il settore pubblico, in passato era avvenuto sempre il contrario ed era la prima volta che un meccanismo di Scala Mobile veniva imposto con una legge: la n. 38 del 26 febbraio 1986. Le caratteristiche fondamentali del nuovo meccanismo si possono così sintetizzare: * calcolo delle variazioni dell’indice sindacale con periodicità semestrale, anziché trimestrale come nel precedente accordo; • determinazione delle variazioni dell’indennità di contingenza in misura diversa per livello salariale, al posto del valore del punto uguale per tutti i lavoratori come previsto dal precedente accordo; • adeguamento retributivo non più per punti di variazione, ma tasso di percentuale di incremento registrato dal valore medio dell’indice sindacale di un semestre rispetto a quello del semestre precedente. Questa variazione veniva applicata al 100% di una retribuzione base uguale per tutti i lavoratori ed al 25% del dell’ammontare minimo mensile, determinato dalla somma del minimo tabellare contrattuale e dell’indennità di contingenza. Si trattava di un accordo al ribasso, come si legge chiaramente nel terzo punto che caratterizza tale accordo. Sostanzialmente si riducono gli incrementi salariali dovuti alla Scala Mobile, con il meccanismo di adeguamento degli stipendi al 100% dell’incremento del costo della vita, ma soltanto per una quota dello stipendio (in genere il 33%) Sul restante 66% della retribuzione complessiva del lavoratore, l’aumento veniva applicato soltanto nella misura del 25%. Tuttavia, la confindustria, pur avendo ottenuto una norma che la favoriva e che non tutelava pienamente i diritti dei lavoratori, il 19 giugno 1990 notificava al Ministero del Lavoro e alle organizzazioni sindacali, di non voler rinnovare oltre la scadenza (peraltro già avvenuta il 31 dicembre del 1989) la propria adesione all’accordo stabilito con la legge del febbraio 1986. Il 6 luglio del 1990 fu raggiunta una nuova intesa tra governo, confindustria e sindacati e con la legge del 13 luglio 1990 n. 191 furono prorogate fino al 31 dicembre 1991 le disposizioni stabilite nella legge del 26 febbraio 1986 n. 38. Ma era ormai le intenzioni erano chiare: la confindustria e il governo (e anche i sindacati confederali) avevano già deciso che il meccanismo della Scala Mobile doveva terminare e alla scadenza della legge, fu deciso di non rinnovarla più. Il 23 luglio 1992 i sindacati confederali rinunciarono definitivamente alla Scala Mobile dopo 46 anni dalla sua nascita.10 Con l’accordo del luglio del 1992, l’impostazione del decreto di San Valentino (quello del governo Craxi) è diventato sistema. I sindacati accettarono l’abolizione della Scala Mobile in cambio di incrementi salariali fissati sulla base dell’inflazione programmata: in altre parole il governo programma l’aumento del costo della vita a un livello sempre più basso di quello effettivo e i salari devono stare a quel livello, salvo poi accontentarsi di un recupero molto parziale e successivo di 2 o 3 anni. I sindacati si accordarono per un malinteso senso dello Stato, per evitare la spirale salari-prezzi, e per rafforzare il sistema industriale e la capacità competitiva (agendo soltanto sul costo del lavoro). A distanza di quasi 14 anni da quell’accordo, si è verificata l’iniqua distribuzione dei salari verso i profitti e il sistema industriale non si è affatto rafforzato, ma ha alimentato la finanza e le speculazioni. Il lavoro, i lavoratori hanno pagato e il sistema ha ingoiato quei sacrifici senza contropartita alcuna. Venti anni fa, quando c’era la lotta alla Scala Mobile, alcuni autorevoli economisti spiegavano che rinunciando alla Scala Mobile, i lavoratori avrebbero avuto più salario con la contrattazioni, ma era una favola.

4. Conclusioni

In questa fase di grave crisi economica con un attacco sempre più pesante alle condizioni di vita dei lavoratori italiani, si deve porre al centro dell’attenzione il lavoro e le retribuzioni. Le RdB/CUB propongono, con una iniziativa di raccolta di firme, il ripristino della Scala Mobile per restituire dignità e potere di acquisto ai salari che non ci consentono di vivere dignitosamente. Bisogna porsi uno storico obiettivo di far crescere quel vasto movimento che nel Paese già c’è per il recupero del potere di acquisto dei salari e delle pensioni che da 14 anni a questa parte è peggiorato e ha portato all’impoverimento di lavoratori e pensionati, Un impoverimento dovuto anche al caro-vita, alla cattiva gestione dell’ingresso dell’euro, all’inflazione e ai ritardi nei rinnovi dei contratti nazionali. La risposta a questi problemi è la reintroduzione della Scala Mobile, la difesa dei salari, delle pensioni, dell’occupazione stabile a pieno salario e pieni diritti. Dobbiamo voltare pagina ed eliminare quell’accordo interconfederale del 1992, che ha sostituito l’indicizzazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori all’inflazione rilevata dall’ISTAT - la cosiddetta Scala Mobile - con un modello basato sull’inflazione programmata da contrattare ad ogni rinnovo dei CCNL, un meccanismo che non è riuscito a tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni e delle pensioni. Ciò ha determinato un crescente impoverimento di lavoratori e pensionati e una drastica riduzione dei consumi, che si sono ripercossi sul sistema commerciale e industriale del nostro paese. Aumenti veri in busta paga consentirebbe alle famiglie di indebitarsi un po’ in meno e di spendere per i beni di consumo, aumentanto una domanda di beni che ormai è stagnante. Certamente il meccanismo della Scala Mobile determinerebbe un aumento di redistribuzione al fattore lavoro, con una modesta riduzione dei profitti degli imprenditori, delle rendite degli speculatori e una più equa distribuzione della ricchezza. Non dimentichiamo che negli ultimissimi anni i ricchi sono diventati ancora più ricchi e il ceto medio e basso si è impoverito a causa di politiche economiche e fiscali che hanno determinato una concentrazione di ricchezza verso le remunerazioni al capitale a scapito di quelle del lavoro. Basti pensare alla manovra fiscale entrata in vigore il 1 gennaio 2005 che ha abbassato le tasse ai più ricchi e le ha elevate ai più poveri (in termini di imposte locali e di servizi da pagare). La conseguenza è quella che emerge dal rapporto della Banca d’Italia pubblicato a marzo 2005 nel quale emerge che l’1% della popolazione detiene il 13% della ricchezza totale del Paese (fino a pochi anni fa quello stesso 1% deteneva il 9%). L’analisi storica della Scala Mobile, dalla sua introduzione alla sua definiva soppressione fa emergere alcune caratteristiche interessanti anche dal punto di vista metodologico e statistico. La Scala Mobile era calcolata sulla base degli incrementi dell’indice del costo vita. Questo indice era calcolato sulla base di un paniere e di rilevazioni che dovevano essere concordate con le organizzazioni sindacali e quella padronali. Non era una variabile indipendente e non era soltanto il frutto delle volontà del governo, ma veniva negoziato con il sindacati che vigilavano sulla sua giusta applicazione. Con la sua soppressione ogni riferimento normativo e contrattuale all’indice del costo della vita, fu sostituito con l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai. Come abbiamo potuto verificare in precedenti pubblicazioni, questo indice generale intende rappresentare la distribuzione dei consumi di una famiglia media, e tiene conto di tutte le dinamiche di spese, della distribuzione della spesa nel famigerato paniere e il peso ponderato dei beni all’interno del paniere. Abbiamo dimostrato che il paniere non rappresenta adeguatamente i consumi delle famiglie medie e non consente una adeguata ponderazione delle diverse dinamiche di spesa per ciascuna famiglia11. Il tasso di inflazione che calcola così l’Istat non tiene conto di elementi importanti e non pone nel giusto rilievo le spese degli italiani. Alcuni incrementi di prezzo non sono adeguatamente riportati, con la conseguenza che è sotto gli occhi di tutti: negli ultimi anni l’inflazione è cresciuta ad un ritmo vertiginoso, senza che l’istituto centrale di statistica se ne accorgesse. Ma la differenza di maggior rilievo tra l’indice del costo della vita (abrogato con la legge del 1997) e l’indice dei prezzi al consumo della famiglia media (attualmente in vigore), sta nel fatto che, come detto, alla realizzazione del primo indice concorrevano anche le forze sociali, invece il secondo indice è frutto di calcoli da parte dell’ISTAT che sono contestati da autoriveoli istituti di ricerca come l’EURISPES e soprattutto non trovano riscontro nella realtà e nella quotidiana impossibilità a far quadrare i bilanci familiari. Come emerge da quanto scritto in precedenza, la Scala Mobile non è la causa dell’inflazione, ma ne è l’effetto. Rappresenta soltanto il parziale adeguamento delle retribuzioni all’aumentare del costo della vita. Gli incrementi salariali dovuti al ripristino della Scala Mobile non produrrebbero inflazione, ma consentirebbero all’economia nazionale di sollevarsi dalla quella stagnazione nella quale è piombata dopo gli anni del berlusconismo e dell’introduzione dell’euro.

Note

* Ricercatore socio-economico indipendente.

** Ricercatore socio-economico indipendente.

1 Il meccanismo di adeguamento dei salari e delle pensioni prevedeva l’aumento al 100% sulla retribuzione base - che rappresentava circa il 33% del salario - e al 25% sulla restante parte del salario.

2 L’inflazione da domanda è l’aumento dei prezzi determinato dalla crescita della domanda dei beni sul mercato a parità di offerta.

3 Tabella del tasso di inflazione consultabile sul sito www.istat.it

4 “L’indice del costo della vita valevole ai fini dell’applicazione della Scala Mobile delle retribuzioni. Dalle origini alla cessazione (1945-1997)” - Edizioni ISTAT n. 6 anno 2000.

5 Maria Luisa Cavalcanti: Moneta e Fisco in Italia. La ragione dei fatti - Napoli 1992.

6 Augusto Graziani: I problemi monetati dall’inizio degli anni settanta.

7 Il pensiero economico di Claudio Napoleoni - rivista di politica economica 1999.

8 la politica industriale del basso costo del lavoro porterà progressivamente l’industria nazionale a non poter più competere nel contesto internazionale e si conclude oggi con le vendite ai grandi gruppi industriali stranieri.

9 Il sovrapprezzo termico è la definizione che gli economisti hanno dato al rialzo dei prezzi del petrolio e dei suoi derivati che ebbe inizio a metà degli anni 70. La crisi ebbe inizio quando il 6 ottobre 1973 l’esercito egiziano attraversò il Canale di Suez ed attaccò quello israeliano attestato sul Sinai (territorio occupato da Israele in occasione della guerra dei sei giorni del giugno 1967): è la guerra del Kippur. Le conseguenze politico-diplomatiche di questa guerra furono alla base di quella che appunto venne chiamata crisi energetica: i paesi arabi, direttamente o indirettamente impegnati nel conflitto con Israele, rappresentavano insieme circa i due terzi delle riserve mondiali di petrolio e, subito dopo l’inizio della guerra, minacciano di ridurre le loro potenzialità estrattive (e quindi di originare grosse carenze di energia in tutti i paesi che dipendono dal loro petrolio) se i paesi occidentali continueranno con la loro politica filo-israeliana senza far pressione sullo stato ebraico affinché restituisca i territori occupati con la guerra del 1967. Contemporaneamente la Libia quasi raddoppia il prezzo del petrolio, mentre l’Arabia decide l’embargo verso gli Stati Uniti (pari al 6% del suo consumo giornaliero) rei di aver lanciato un prestito a favore di Israele (il giorno successivo la quasi totalità dei paesi dell’Oapec si associa a questa decisione) Roberto Renzetti - Breve storia delle vicende energetiche dal dopoguerra al tramonto della scelta nucleare.

10 A titolo puramente statistico, è opportuno precisare che l’accordo del 31 luglio fece cessare la ragione d’essere dell’indice del costo della vita, ma esso, anche dopo il 1992, fu ancora prodotto ed aggiornato dall’Istat fino alla sua soppressione che avvenne soltanto cinque anni più tardi, con la legge 449 del 27 dicembre 1997. Con questa norma, l’indice del costo della vita fu definitivamente sostituito dall’indice dei prezzi al consumo delle famiglie di impiegati e di operai calcolato mensilmente.

11 Carapella - Pecoraio: La povertà percepita - Ed. Il Chiostro 2004.