Alcune tesi sul presente (ed il futuro) del lavoro

Ricardo Antunes

Come conseguenza delle significative mutazioni che sono avvenute nel mondo della produzione e del lavoro nelle ultime decadi del XX secolo, si torna di frequente a parlare di “scomparsa del lavoro” (Méda, 1997), di sostituzione della sfera del lavoro con quella “comunicativa” (Habermas, 1991 e 1992), di “perdita della centralità della categoria del lavoro” (Offe, 1991), di “fine del lavoro” (come Jeremy Rifkin, 1995), anche nelle versioni più qualificate e critiche dell’ordine del capitale (come quella di Kurz, 1992), solo per citare le formulazioni più indicative. In questo testo, in forma sintetica, illustreremo alcune tesi che contrapposte alle idee sostenute dagli autori appena citati. Lo faremo con la presentazione di alcune tesi centrali che, secondo la nostra opinione, fanno parte del presente (e del futuro) del lavoro.

1) Contro l’equivoca distruzione teorica realizzata negli ultimi decenni, dai cosiddetti critici della società del lavoro, la nostra grande sfida è quella di comprendere la nuova morfologia del lavoro, il suo carattere plurisfaccettato, polisemico e polimorfo. Tutto ciò ci obbliga a sviluppare una nozione amplia e moderna della classe lavoratrice (che chiamerò, con un sinonimo, la classe-che-vive-di-lavoro) e che ingloba la totalità degli uomini e delle donne che vendono la propria forza lavoro in cambio di salario (Antunes, 2002 e 2002a). Questa nuova morfologia del mondo del lavoro ha come nucleo centrale i lavoratori produttivi (nell’accezione utilizzata da Marx, nel Capitolo VI inedito), tuttavia non è ristretto al lavoro manuale diretto, ma incorpora la totalità del lavoro sociale, la totalità del lavoro collettivo salariato. Poiché il lavoratore produttivo è colui che produce direttamente plusvalore e che partecipa direttamente al processo di valorizzazione del capitale, esso detiene, per siffatto motivo, un ruolo centrale all’interno della classe lavoratrice. Tuttavia, è indispensabile aggiungere che la moderna classe lavoratrice comprende anche i lavoratori improduttivi, i cui lavori vengono erogati sotto forma di servizi, sia per l’uso pubblico che per il capitalista, e che non si costituiscono come elemento direttamente produttivo nel processo di valorizzazione del capitale. Ma, poiché c’è una crescente interconnessione tra lavoro produttivo e improduttivo nel capitalismo contemporaneo, e poiché la classe lavoratrice incorpora queste due dimensioni fondamentali del lavoro sotto il capitalismo, questa nozione ampliata ci sembra fondamentale per la comprensione di ciò che è la classe lavoratrice oggi.

2) Una nozione ampliata della classe lavoratrice deve includere anche tutti coloro che vendono la propria forza lavoro in cambio di salario, incorporando, al si là del proletariato industriale, i salariati del settore dei servizi, ma anche il proletariato rurale, che vende la sua forza lavoro per il capitale. Comprende il proletariato precario, il sottoproletariato moderno, part-time, il nuovo proletariato dei McDonald’s, i lavoratori terziarizzati e precari, i lavoratori salariati della cosiddetta “economia informale”, che spesso sono indirettamente subordinati al capitale, nonché i lavoratori disoccupati, espulsi dal processo produttivo e dal mercato del lavoro a causa della ristrutturazione del capitale e che ingrossano l’esercito industriale di riserva nella fase dell’espansione della disoccupazione strutturale.

3) La classe lavoratrice oggi esclude, naturalmente, i gestori del capitale, i suoi alti funzionari, che svolgono un ruolo di controllo nel processo lavorativo, di valorizzazione e riproduzione del capitale all’interno delle imprese e che ricevono rendimenti elevati o ancora coloro che, in possesso di capitale accumulato, vivono della speculazione o degli interessi. Esclude anche, a nostro avviso, i piccoli imprenditori, la piccola borghesia urbana e rurale proprietaria.

4) Comprendere la classe lavoratrice oggi significa capire anche il significativo processo della femminilizzazione del lavoro, che raggiunge più del 40% o 50% della forza lavoro in diversi paesi, e che è stato assorbito dal capitale, di preferenza nell’universo del lavoro part-time, precario e deregolamentato. Nel Regno Unito, per esempio, il ‘contingente’ femminile ha superato, dal 1998, quello maschile nella composizione della forza lavoro. Si sa che tale nuova divisione sessuale del lavoro ha una caratterizzazione fortemente diseguale quando si comparano i salari o i diritti e le condizioni di lavoro in generale. In questa divisione sessuale del lavoro, operata dal capitale dentro lo spazio manifatturiero, generalmente le attività di concetto o quelle ad alta intensità di capitale sono prevalentemente realizzate dal lavoro maschile, mentre quelle dotate di minore qualificazione e prevalentemente fondate sul lavoro intensivo sono per lo più destinate alle donne lavoratrici e, molto frequentemente, anche ai/lle lavoratori/rici immigranti/e e negri/e. E, inoltre, attraverso la duplicazione dell’atto lavorativo la donna che lavora è doppiamente sfruttata dal capitale, tanto nello spazio produttivo, che in quello riproduttivo. Oltre ad operare sempre più nello spazio pubblico, manifatturiero e dei servizi, ella svolge anche i compiti propri del lavoro domestico, garantendo la sfera della riproduzione della società, sfera del lavoro non-direttamente mercantile, ma indispensabile per la riproduzione del sistema del metabolismo sociale del capitale.

5) Siccome il capitale è un sistema mondiale, il mondo del lavoro e le sue sfide sono a loro volta mondializzate, transnazionalizzate e internazionalizzate. Se la mondializzazione del capitale e della sua catena produttiva è un fatto evidente, non è lo stesso nel mondo del lavoro, che si mantiene ancora nazionale, il che rappresenta un limite enorme per l’azione dei lavoratori. Con la riconfigurazione dello spazio e del tempo della produzione, si hanno un processo di ri-territorializzazione ed un altro di de-territorializzazione, per cui nuove regioni industriali nascono e altre scompaiono. Ciò ricolloca il confronto sociale su un piano più complesso, dato dallo scontro tra il capitale sociale totale e la totalità del lavoro sociale. Si può semplificare con l’esempio dello sciopero dei lavoratori metalmeccanici della General Motors, negli USA, risalente al giugno del 1998, cominciato nel Michigan, in una piccola unità strategica dell’impresa, ma che poi si è diffuso in diversi paesi dove la GM ha le sue unità produttive.

6) A questo proposito può esser fatta rilevare una similitudine tra lo ‘scarto’ e la superfluità del lavoro e tra lo ‘scarto’ e la superfluità della produzione in generale. Come ho potuto sviluppare maggiormente nel mio libro Os Sentidos do Trabalho (2002), nella fase di intensificazione del tasso di utilizzazione decrescente del valore d’uso delle merci (Mészáros, 2002), le chiacchiere sulla qualità diventano evidenti: quanta più “qualità totale” i prodotti incorporano, minore è il loro tempo di durata. La necessità imperiosa di ridurre il tempo di vita utile dei prodotti, avendo come obiettivo quello di aumentare la velocità del ciclo riproduttivo del capitale, fa sì che la “qualità totale” sia, nella maggior parte dei casi, l’involucro, l’apparenza o il perfezionamento del superfluo, una volta che i prodotti devono durare ogni volta di meno per fare in modo che abbiano una ricollocazione agevole nel mercato. In questo modo, il proclamato sviluppo dei processi di “qualità totale” si converte nella espressione fenomenica, superficiale, apparente e superflua di un meccanismo produttivo generatore di ‘scarto’ e superfluo, condizione per la riproduzione allargata del capitale e dei suoi imperativi espansionistici e distruttivi. Dalla industria dei fast food (di cui il McDonald’s ne è l’esempio più rappresentativo), la società dell’entertainment1 e dei shopping center2, passando per l’industria dei computer, la tendenza alla svalutazione e alla decrescita del valore d’uso delle merci è evidente. Con la riduzione dei cicli di vita utile dei prodotti, i capitalisti non hanno altra opzione, per la propria sopravvivenza, se non quella di “innovare” o correre il rischio di essere superati dalle imprese concorrenti.

7) Quando pensiamo alla forma contemporanea del lavoro, non possiamo concordare con le tesi che sottovalutano il nuovo processo di interazione tra lavoro vivo e lavoro morto. Il capitale, oggi, ha bisogno sempre meno di lavoro stabile e sempre più di forme diversificate di lavoro parziale o part-time, terziarizzato, di lavoratori con il trattino, che vanno diffondendosi esplosivamente in tutto il mondo. Dal momento che il capitale non può eliminare il lavoro vivo dal processo di produzione di merci, sia esso materiale o immateriale, esso, al di là di incrementare senza limiti il lavoro morto incorporato nel macchinario tecnico-scientifico, deve aumentare la produttività del lavoro in modo da intensificare le forme di estrazioni del pluslavoro in un tempo sempre più ristretto. La riduzione del proletariato taylorizzato, l’espansione del lavoro intellettuale astratto negli impianti produttivi di punta e la diffusione dei nuovi proletari precari e terziarizzati tipici dell’ “era dell’impresa snella”, sono esempi calzanti di ciò a cui alludevamo prima. 8) Nel mondo del lavoro contemporaneo il sapere scientifico e il sapere appreso sul luogo di lavoro si mescolano ancora più direttamente. Le macchine intelligenti possono sostituire in gran quantità il lavoro vivo, ma non possono estinguerlo ed eliminarlo definitivamente. Al contrario, la loro introduzione consente l’utilizzo dell lavoro intellettuale dei/lle lavoratori/trici che, lavorando insieme alla macchina informatica, trasferiscono parte delle loro nuove conoscenze alla nuova macchina che scaturisce da tale processo, dando nuove configurazione alla teoria del valore. Si stabilisce un complesso processo interattivo tra il lavoro e la scienza produttiva, che non porta all’estinzione del lavoro, come ebbe ad immaginare Habermas, bensì ad un processo di “retro-alimentazione” che necessità sempre più di una forza lavoro ancora più complessa, multifunzionale, che deve essere sfruttata in modo ancora più intenso e sofisticato, almeno nei rami produttivi a maggiore intensità tecnologica. Con la trasformazione del lavoro vivo in lavoro morto, a partire dal momento in cui, grazie allo sviluppo dei software, la macchina informatica passa a svolgere attività proprie della intelligenza umana, ciò a cui assistiamo è un processo che Lojkine (1995) ha denominato come oggettivazione delle attività celebrali nella macchina, trasferimento del sapere intellettuale e cognitivo della classe lavoratrice nella macchina informatica. Il trasferimento di facoltà intellettuali nella macchina informatica, che si converte in linguaggio di macchina tipico della fase informatica, grazie all’opera degli informatici, accentua la trasformazione del lavoro vivo in lavoro morto e ricrea nuove forme e modalità del lavoro.

9) Nella società contemporanea si sviluppa anche un’altra tendenza data dal crescente connubio tra lavoro materiale e immateriale, una volta che, al di là della monumentale precarizzazione del lavoro (aspetto centrale quando si analizza il mondo del lavoro oggi), assistiamo ad un aumento della attività dotate di maggiore dimensione intellettuale, sia nelle attività industriali più informatizzate, sia nelle sfere comprensive del settore dei servizi o nelle comunicazioni, tra le altre. Il lavoro immateriale (o non-materiale, come scrisse Marx nel Capitalo VI inedito de Il Capitale) indica contemporaneamente la validità della sfera informatica della forma-merce: essa è espressione del contenuto informatico della merce, essendo espressione delle mutazioni del lavoro operaio all’interno delle grandi imprese e del settore dei servizi che sono dotati di tecnologia di punta. Lavoro materiale e immateriale, nell’intreccio crescente che sviluppano, si trovano, intanto, fondamentalmente subordinati alla logica della produzione di merci e di capitale, come suggeriscono Vincent (1993) e Tosel (1995).

10) In questo modo, invece di ‘snobbare’ il lavoro e sostituire la legge del valore come misura sociale prevalente, la nuova fase dei capitali globali ri-trasferisce, in qualche misura, il savoir faire per [para o trabalho] il lavoro, ma lo fa appropriandosi sempre di più della sua dimensione intellettuale, delle sue capacità cognitive, cercando di coinvolgere più energicamente ed intensamente la soggettività operaia. Poiché la macchina non può sopprimere completamente il lavoro umano, essa necessita di una maggiore interazione tra la soggettività che lavora e la nuova macchina intelligente. In questo processo, il coinvolgimento interattivo incrementa ancora di più l’estraniazione e l’alienazione del lavoro, aumentando le forme moderne della reificazione, attraverso le soggettività inautentiche ed eterodeterminate (v. Tertulian, 1993).

11) Nel contesto del tardo capitalismo, la tesi habermasiana, sostenuta nella sua Teoria dell’agire comunicativo (1992), sulla pacificazione dei conflitti di classe viene superata dai fatti e va messa in discussione. Non solo il welfare state va sgretolandosi nel relativamente scarso complesso di paesi ove esso effettivamente è stato realizzato, ma anche gli istituti dello Stato keynesiano vengono smantellati a mezzo di privatizzazione, disintegrando ancora di più la base empirica che fonda la tesi habermasiana che propugna la scomparsa della lotta di classe. Con l’erosione crescente del welfare state, l’espressione fenomenica e contingente della pacificazione dei conflitti di classe- alla quale Habermas pretende di conferire statuto di determinazione- dimostra tutta la sua inattualità. E, ciò che dovrebbe essere, per Habermas, una supposta critica esemplificativa della incapacità marxiana di comprendere il tardo capitalismo contemporaneo è, di fatto, una enorme lacuna del costrutto habermasiano. Le recenti azioni di resistenza dei lavoratori, specialmente le manifestazioni di Seattle, Nizza, Praga, Genova, contro la mercificazione del mondo, sono esempi delle nuove forme dello scontro assunte nell’era della mondializzazione del capitale.

12) Nel delineare la distinzione tra lavoro e interazione, prassi lavorativa e azione soggettiva, attività vitale e azione comunicativa, sistema e mondo della vita, Habermas si allontana dal momento nel quale si realizza l’articolazione inter-relazionale tra mondo dell’oggettività e mondo della soggettività, questione nodale per la comprensione dell’essere sociale. Habermas compie una sopravvalutazione e una disgiunzione tra queste due dimensioni decisive della vita sociale, e la perdita di questo legame indissolubile lo porta ad autonomizzare equivocamente la cosiddetta sfera comunicativa. In questo senso, quando Habermas parla di colonizzazione del mondo della vita operata dal sistema, offre una spiegazione molto debole di ciò che sta accadendo nel mondo contemporaneo, caratterizzato dalla presenza del lavoro astratto, dalla feticizzazione del mondo delle merci e dalla crescente reificazione della sfera comunicativa.

13) Se questi punti riassumono alcune caratteristiche della cosiddetta “società del lavoro” della fine del XX secolo, il secolo che sta iniziando esige che si rifletta anche sul futuro del lavoro ovvero sul lavoro del futuro. A tal proposito affiora una questione che, a nostro avviso, è essenziale e che ci limitiamo soltanto a sintetizzare: una vita piena di senso fuori del lavoro presuppone una vita dotata di senso dentro il lavoro. Non è possibile far convivere lavoro privo di senso con un tempo veramente libero. Una vita sprovvista di senso nel lavoro è incompatibile con una vita piena di senso fuori del lavoro. In un certo senso, la sfera esterna al lavoro sarà contaminata dalla disaffezione che si concretizza nella vita lavorativa. Una vita piena di senso in tutte le sfere dell’essere sociale, potrà essere realizzata soltanto attraverso la demolizione delle barriere esistenti tra il tempo di lavoro ed il tempo di non-lavoro, di modo che, a partire da una attività vitale piena di senso, autodeterminata, aldilà dell’attuale divisione gerarchica che subordina il lavoro al capitale e, pertanto, su basi interamente nuove, possa svilupparsi una nuova socialità, dove l’etica, l’arte, la filosofia, il tempo veramente libero e l’ozio, in conformità con le aspirazioni più autentiche, suscitate dai continui stimoli della vita quotidiana, rendano possibile la gestione di forme interamente nuove di socialità, ove la libertà e la necessità si realizzano reciprocamente. Se il lavoro si arricchisce di senso, sarà anche (e decisivamente) grazie all’arte, alla poesia, alla pittura, alla letteratura, alla musica, al tempo libero, all’ozio che l’essere sociale potrà umanizzarsi ed emanciparsi in un senso più profondo.

14) Se il fondamento dell’azione sociale sarà rivolto radicalmente contro le forme di (de)socializzazione e mercificazione del mondo, la battaglia immediata per la riduzione della giornata o del tempo di lavoro diventa pienamente compatibile con il diritto al lavoro (in una giornata ridotta, a parità di salario). In questo modo la rivendicazione centrale per il mondo del lavoro, per la immediata riduzione della giornata (o del tempo) di lavoro e la lotta per l’occupazione sono profondamente articolate e complementari, e non alternative. E l’obiettivo sociale per un lavoro pieno di senso e per una vita autentica fuori del lavoro, per un tempo disponibile per il lavoro e per un tempo veramente libero ed autonomo fuori del lavoro- entrambi, pertanto, sottratti al controllo e al comando oppressivo del capitale- si convertono in elementi essenziali nella costruzione di una società non più regolata dal sistema di metabolismo sociale del capitale e dai suoi meccanismi di subordinazione. Passiamo ora ad indicare, nell’ultimo punto, alcuni fondamenti sociali elementari per una nuova forma di organizzazione sociale.

15) L’esercizio del lavoro autonomo, eliminato il dispendio di tempo eccedente per la produzione di merci, eliminato inoltre anche il tempo di produzione distruttivo e superfluo (sfere queste oggi controllate dal capitale), renderà possibile il riscatto vero del senso strutturante il lavoro vivo, contro il senso (de)strutturante del lavoro astratto. Ciò perché, sotto il sistema del metabolismo sociale del capitale, il lavoro che struttura il capitale, destruttura l’essere sociale. Il lavoro salariato che dà senso al capitale, genera una soggettività inautentica proprio nel momento in cui si lavora. In una forma di socialità superiore, il lavoro, nel ristrutturare l’essere sociale, avrà come corollario la destrutturazione del proprio capitale. E, avanzando nell’astrazione, questo stesso lavoro autonomo, autodeterminato e produttore di cose utili, renderà privo di senso e superfluo il capitale, dando origine alle condizioni sociali per la nascita di una soggettività autentica ed emancipata. Dando, in questo modo, un nuovo senso al lavoro e dando alla vita stessa un nuovo senso. Riscattando la dignità ed il senso dell’umanità sociale che il mondo attuale deprime. È questo l’obiettivo che il Secolo XXI potrà raggiungere.

(Traduzione di Biagio Borretti) Bibliografia

Antunes, Ricardo (2002), Os Sentidos do Trabalho (Ensaio sobre a Afirmação e Negação do Trabalho), Ed. Boitempo: San Paolo [trad. it.: Addio al lavoro? Metamorfosi del mondo del lavoro nell’era della globalizzazione, BFS Edizioni: Pisa] (2002), Adeus ao Trabalho? Ensaio sobre as Metamorfoses e a Centralidade do Mundo do Trabalho, Cortez Editora/Ed. Unicamp: San Paolo [trad. it.: Il lavoro in trappola. La classe che vive di lavoro, Jaca Book: Milano] Bidet, Jacques, Texier, Jacques (1995), La crise du travail, PUF: Paris Habermas, Jürgen (1991), The Tehory of Comunicative Action (Reason and the Rationalization of Society). Vol. I, Polity Press: Londra [trad. it.: Teoria dell’agire comunicativo.Vol. I. Razionalità nell’azione e razionalizzazione sociale, Il Mulino: Bologna] (1992), The Tehory of Comunicative Action (The Critique of Funcionalist Reason). Vol. II, Polity Press: Londra [trad. it.: Teoria dell’agire comunicativo.Vol. II. Critica della ragione funzionalistica, Il Mulino: Bologna] Kurz, Robert (1992), O Colapso da Modernização, Editora Paz e Terra: San Paolo Lojkine, Jean (1995), a Revoluçao Informacional, Cortez Editora: San Paolo Marx, Karl (1978), Capítulo VI, inédito, Ed. Ciências Humanas: San Paolo [trad. it.: Il Capitale: libro 1°, capitolo 6° inedito. Risultato del processo di produzione immediato, ETAS: Milano] Méda, Dominique (1997), Società senza lavoro. Per una nuova filosofia dell’occupazione, Feltrinelli: Milano Mészáros, István (2002), Para além do Capital, Boitempo: San Paolo Offe, Claus (1989), Trabalho como Categoria Sociológica Fundamental?, Trabalho & Sociedade, vol. I, in Tempo Brasileiro Rifkin, Jeremy (1995), O Fim dos Empregos, Makron Books: San Paolo [trad. it.: La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato, Baldini Castaldi Dalai: Milano] Tertulian, Nicolas (1993), Le concepì d’aliénation chez Heidegger et Lukács, in Archives de Philosophie-Recerches et Documentation n. 56, luglio-settembre Tosel, André (1995), Centralité et Non-centralité du travail ou la passion des hommes superflus, in Bidet, J., Texier, J. (1995) Vincent, J. Marie (1993), Les automatismes sociaux et le “General Intellect”, in Futur Antérieur, n. 16

note

* Professore di Sociologia, UNICAMP/Brasil.

1 In inglese nel testo [N.d.T.].

2 In inglese nel testo [N.d.T.].