Il Risiko energetico in Italia: dalle liberalizzazioni all’oligopolio

PASQUALE CICALESE

Fondo Infrastrutture (F2I), liberalizzazioni delle municipalizzate e conseguente loro privatizzazione - con un ruolo determinante delle fondazioni bancarie -, separazione proprietaria delle reti, accordi internazionali: mai come in questi ultimi mesi la partita dell’energia ha conquistato il primo posto nell’agenda del Governo Prodi, all’interno di un quadro regolamentare finalizzato - ufficialmente - alla riduzione dei prezzi; in realtà ha come obiettivo una risistemazione oligopolistica degli attori in campo, con conseguente forte riduzione di società coinvolte. Non è un mistero, ad esempio, che l’ex Presidente dell’Iri veda con favore, attraverso un forte processo di fusioni e acquisizioni, la nascita di una RWE italiana, il colosso tedesco delle utilities protagonista nel panorama europeo. O che la nascita di F2I - il Fondo Infrastrutture - a gennaio 2007 per volontà della Cassa Depositi e Prestiti, di Unicredit, Intesa S.Paolo, Merrill Linch e molte fondazioni bancarie, abbia come sfondo la separazione proprietaria di Snam Rete Gas - la società dell’Eni specializzata nella costruzione e trasporto della rete gas - in vista di una fusione con Terna Spa, già dell’Enel e detenuta al 29,9% dalla Cassa Depositi e Prestiti, la quale, secondo una sentenza recente del Consiglio di Stato, è obbligata a cedere la partecipazione entro il 2009, giacché ha una partecipazione pari al 10% di Enel, con evidenti obblighi di antitrust. Non sono da meno i viaggi in Russia, Turchia, Libia e Grecia finalizzati, oltre che al raggiungimenti di accordi per l’approvvigionamento energetico, a creare le premesse per far sì che l’Italia diventi entro un decennio l’hub continentale del gas, perciò stesso protagonista assoluto nel panorama energetico europeo. Il disegno presenta, però, evidenti limiti, a partire dalla liberalizzazione voluta alla fine degli anni novanta dallo stesso centrosinistra e che rischia nei prossimi anni di “azzoppare” l’Eni, dopo aver obbligato il gigante Enel a dimagrire di non poco, rendendo difficoltosa la partecipazione di queste due società nel grande risiko energetico continentale, reso evidente dallo schiaffo ricevuto dall’Enel in terra francese a seguito della bocciatura della fusione con Suez. Dopo aver costretto l’Enel a ridurre al 50% la propria quota di mercato italiana e obbligato la separazione societaria con Terna, si ripropone lo scenario della fine degli anni novanta, questa volta con l’Eni. La Commissione Europea, l’Autorità per l’Energia e Governo (di centrosinistra) impongono alla società petrolifera, partecipata dallo Stato italiano al 30%, la separazione con Snam Rete Gas al fine di pervenire alla terzietà della rete, monopolio naturale. La stessa Autorità per l’energia si mostra possibilista circa una fusione delle due reti italiane, Terna (elettricità) e Snam Rete Gas (trasporto gas), a tal punto che il Presidente Ortis è dell’avviso che “affidare a un unico soggetto la rete del metano e quella elettrica è un’ipotesi interessante e può favorire sinergie senza nuocere ai due rispettivi focus industriali e operativi”1. Bersani avrebbe intenzione di separare Snam - la società che controlla la rete dei metanodotti -, mantenendo comunque radici italiane. Facile a dirsi, difficile a farsi visto che un’eventuale asta non potrebbe tenere fuori dalla porta operatori internazionali del peso di Gazprom o Sonatrach, i colossi mondiali del gas (rispettivamente russo e algerino) fortemente desiderosi di conquistare il cosiddetto “ultimo miglio”, vale a dire il consumatore finale E’ il paradosso della liberalizzazione, tale per cui, a detta di Scaroni, amministratore delegato di Eni e che invoca un unico operatore europeo del trasporto del gas fondendo le società detenute dai colossi energetici continentali, “la liberalizzazione funziona quando i fornitori possono competere, mentre se i fornitori si trovano fuori dal mercato come Gazprom e di Sonatrach ogni tentativo di indebolire gli attuali operatori porterà prezzi più alti e minori investimenti”2. Insomma, mancando la famosa reciprocità, liberalizzare equivale ad essere conquistati senza alcuna contropartita. Un po’ come è successo nel mercato elettrico (i cui prezzi sono schizzati..), che ha visto l’Enel costretta a cedere Genco per darla ai famosi “piccoli indiani” amici degli amici come la società Energia di De Benedetti o al secondo operatore italiano, l’Edison, nel frattempo conquistata dal monopolista francese EDF, a cui seguì lo schiaffo all’Enel oltralpe... Qualcosa del genere è successo agli inizi del 2007 nel mercato del gas con la gara da 3,3 miliardi di meri cubi di metano algerino. Prima di essa la Sonatrach il 2 agosto 2006 ha costituito a Milano la società Sonatrach Gas Italia Spa. Alla gara hanno partecipato 40 piccoli indiani, ma solo 4 hanno avuto il contratto di fornitura da parte del colosso algerino: Edison, Enel, Falcione Molise Gestioni e l’argentina Bridas. Questi hanno avuto la fornitura di circa 1,1 miliardi di metri cubi di gas, che passerà attraverso la Trans Tunisina Pipeline Company (Ttpc), controllata dall’Eni. I restanti 2,2 miliardi sono stati assegnati dalla Sonatrach a se stessa, presentandosi sia come fornitore che come distributore di gas sul mercato italiano, a testimonianza del fatto che la liberalizzazione offre spazi enormi di penetrazione commerciale dei produttori esteri, colossi pubblici che hanno la massa critica, le risorse e le capacità finanziarie e tecnologiche per insediarsi nel mercato italiano indebolendo, al contempo, mediante la politica di divide et impera, gli operatori italiani, i più grandi dei quali azzoppati dalla normativa antitrust. Alla mossa di Sonatrach ha fatto seguito la strategia di posizionamento nel mercato italiano del colosso russo Gazprom, espressione mercantilista della rinnovata capacità della Russia sullo scacchiere internazionale. Facendo seguito ad un accordo di fornitura con l’Eni, i cui contratti sono stati prolungati dal 2022 al 2035 e per 23 miliardi di metri cubi di gas, e ad intese che potrebbero preludere nei prossimi mesi all’acquisto degli asset del produttore petrolifero russo Yukos, Gazexport, società della Gazprom, a partire dalla fine di aprile potrà commercializzare in proprio dai 3,5 ai 5 miliardi di metri cubi di gas in Italia, mediante partnership con società italiane, tra cui Acea e l’emiliana Hera (a proposito della quale si parla di una vera e propria acquisizione). Dunque, già oggi il mercato del gas italiano si caratterizza per un protagonismo assoluto di colossi esteri, legati da intese strategiche volute, nel caso di Gazprom e Sonatrach, dai rispettivi governi russo e algerino. La manovra a tenaglia, in assenza della costituzione di colossi della distribuzione del gas del peso di Gaz de France, che nel frattempo si fonderà con Suez, o della tedesca RhurGas - acquisita nel 2003 dal colosso tedesco dell’energia E.On - con un panorama caratterizzato da un’estrema frammentazione della domanda da parte di operatori pubblici - per cui sarebbe necessaria, imitando il modello della tedesca Rwe, un’ondata di fusioni pur potendo rimanere il controllo pubblico, pena l’acquisizione da parte di operatori esteri (a dimostrazione del fatto che il problema è la dimensione, non certo la proprietà pubblica delle imprese)3 - potrebbe essere soffocante nei prossimi anni qualora le tensioni Usa-Russia, rinnovate con la volontà statunitense di creare basi nella Repubblica Ceca e in Polonia in funzione anti-russa, abbiano come risposta da parte del Cremlino la costituzione di un Opec del Gas, una volontà iraniana di riunire i maggiori produttori di metano in un organismo simile all’organizzazione petrolifera. Il Presidente Putin qualifica tale politica come “coordinamento verso i Paesi terzi”, con un alleanza tra Gazprom e Sonatrach, che già oggi controllano il 35% del gas destinato all’Ue, con la potenza iraniana. La sola alleanza Russia-Iran potrebbe creare un cartello capace di controllare il 40% delle riserve mondiali di gas, ma a differenza del petrolio il gas passa tutto per la rete di trasporto, mancando un mercato spot, come esiste per il petrolio, il cui trasporto avviene via nave. Il cartello potrebbe essere creato qualora si distribuisse gas naturale liquefatto (Gnl), che può essere trasportato senza che siano necessarie pipelines, vale a dire gasdotti. A quel punto la manovra a tenaglia sul nostro Paese (quarto importatore al mondo di gas, dopo Usa, Germania e Giappone) è assicurata, visto che dipende per due terzi dal gas russo e algerino. Da qui il grido di dolore di tutti gli operatori italiani per la costruzione di almeno 10-15 rigassificatori sul territorio italiano, per un investimento di circa 40 miliardi di euro. Infatti il fabbisogno di gas aumenterà di circa 200 miliardi di metri cubi entro il 2014, 120 miliardi dei quali verranno sotto forma di gas liquefatto, ragion per cui dovranno essere costruiti 15 rigassificatori sul territorio italiano, pena, secondo l’amministratore delegato dell’Eni, una forte diminuzione dell’autosufficienza energetica, visto che ben il 64% della produzione elettrica proviene dal ciclo del gas. La costruzione di rigassificatori potrebbe permettere una svolta nella politica energetica giacché sarebbe possibile rivolgersi a tutti i produttori mondiali di gas, che verrebbe trasportato in questo caso via nave, e non più tramite gli oleodotti russi e algerini, questi ultimi oggetto di un notevole potenziamento con la costruzione di un nuovo gasdotto - Progetto Galsi - edificato dall’Edison con Enel e Regione Sardegna Algeria-Italia via Sardegna-Toscana, per una capacità di 8-10 miliardi di metri cubi di gas. Tuttavia, è arduo immaginare nei prossimi anni la creazione di 15 rigassificatori, sia per il forte impatto ambientale che essi hanno, sia per la scarsa volontà degli Enti Locali interessati di “ospitare” queste vere e proprie bombe ecologiche, non fosse altro che per ragioni di sicurezza. Le autorità italiane da anni, al fine di raggiungere l’autosufficienza energetica sul fronte del gas, hanno aperto un altro fronte di penetrazione commerciale e di conquista di giacimenti: il Mar Caspio, ricchissimo di metano (20% di riserve mondiali) e che presenta la possibilità storica di sganciarsi dal duo russo algerino. Investimenti colossali sono previsti per la costruzione di gasdotti dal Mar Caspio alla Turchia, e da questi all’Italia, via Grecia: è la famosa Via Egnatia energetica, la “nuova via della seta”, oggetto di attenzione da parte dei maggiori operatori italiani, dall’Enel ad Edison, secondo operatore elettrico italiano con una quota del 17%, controllato dal monopolio pubblico francese Edf e prossimo a costruire un rigassificatore a Rovigo. Edison partecipa ad un consorzio internazionale per la costruzione di un gasdotto Turchia-Grecia-Italia con terminale Brindisi (il cui rigassificatore è stato bloccato per un’inchiesta giudiziaria di corruzione), capace di trasportare otto miliardi di metri cubi di gas, operativo dal 2011. L’accordo di fornitura verrà fatto con l’Azerbajan mentre la greca Depa ed Edison daranno vita al progetto Igi, un investimento di un miliardo di euro finalizzato alla costruzione della tratta sottomarina Poseidon Grecia-Italia. Progetto Igi e rafforzamento della capacità di trasporto del gas algerino, unito alla probabile costruzione di 4-5 rigassificatori sul suolo italiano, oltre quelli già programmati, potrebbero far diventare nei prossimi decenni il Paese il vero hub continentale del gas in un ruolo simile a quello, potenzialmente in fieri, dei trasporti marittimi. La Via Egnatia energetica è la risposta mediterranea dell’intesa raggiunta dall’allora Governo Schroeder per la via baltica energetica, un’intesa russo-tedesca che prevede la costruzione di un gasdotto nel mar Baltico, capace di bypassare le frontiere dell’Ucraina e della Polonia, Paesi per nulla amichevoli nei confronti di Mosca. In effetti, oltre che nel campo dei rigassificatori, notevoli investimenti sono previsti nei prossimi anni per il potenziamento delle reti di trasporto internazionale del gas che collegano l’Italia con i paesi mediterranei, in aggiunta a quelli già messi in campo. Solo Snam Rete Gas nell’ultimo piano industriale 2007-2010 prevede investimenti per circa 4,5 miliardi di euro; a ciò sono da aggiungere i piani di investimento dei maggiori produttori nazionali nel campo energetico, su tutti Eni ed Enel, per un ammontare di circa 3 punti percentuali di Pil. Cartina di tornasole di questo scenario, del resto simile a quanto accade sul mercato mondiale, sono le quotazioni di società quali Saipem, che da sola ha un portafoglio ordini pari ad un punto percentuale di Pil, Tenaris, Socotherm e altri operatori dell’impiantistica. Niente al confronto di quel che potrebbe succedere sul piano europeo, dove, a detta dello stesso Commissario Europeo all’Energia Andris Piebags, sono previsti nei prossimi 25 anni investimenti per circa 1800 miliardi di euro (una massa finanziaria maggiore del pil italiano) nelle infrastrutture energetiche. Tale scenario ha come sfondo un fortissimo processo di fusioni e concentrazioni, dettato sia dalla necessità di fronteggiare fornitori del peso di Gazprom, sia dal raggiungimento di massa critica ed economia di scala sul piano continentale, capace di fronteggiare la mole di investimenti richiesti dal nuovo scenario energetico e dall’aumento della domanda. E’ dunque del tutto fuori luogo difendere le municipalizzate così come sono, poiché, data la loro dimensione, possono essere fagocitate in un sol boccone da colossi esteri in un futuro non lontano. Quel che occorre fare è contrastare il disegno di legge Lanzillotta, in merito alla liberalizzazione e conseguente privatizzazione di asset delle municipalizzate dell’ordine di 36-40 miliardi di euro, che darebbe luogo ad una nuova allettante occasione per i capitalisti per caso italioti di buttarsi sempre di più nella rendita tariffaria. Ciò non toglie, tuttavia, che è sempre più pressante una corposa politica di crescita dimensionale delle municipalizzate secondo modelli federativi o, come è il caso della milanese Aem e la bresciana Asm, entrambe quotate in borsa, addirittura con vere e proprie fusioni, una sorta di arrocco antiscalata che darebbe vita a tre, massimo quattro, operatori del peso di Edison, pena una probabile ondata di acquisizioni nel prossimo decennio da parte di operatori europei o addirittura russi (è il caso di Gazprom interessata all’emiliana Hera e/o alla romana Acea). Lo schema delle liberalizzazioni delle municipalizzate disegnato dal ministro Lanzillotta non risolve affatto il problema, avendo come fine la semplice privatizzazioni dei servizi a rete delle società per azioni degli Enti Locali, darebbe la possibilità a raiders speculativi di acquisire asset delicatissimi per poi rivenderli ad altri operatori, magari esteri, ad un prezzo maggiorato. Non ne guadagnerebbero in termini di efficienza le reti né, tantomeno, si darebbe vita ad una ondata di investimenti necessari per l’ammodernamento delle infrastrutture distributive. E come nel caso di Telecom o Autostrade, si darebbe vita ad una rendita tariffaria privatizzata pronta per essere venduta a caro prezzo a colossi esteri, per la gioia dei rentier italiani che, con il loro Sole 24 Ore, strillano tutti i giorni contro le rendite pubbliche... Si passerebbe, in tal caso, in poco più di 15 anni da un oligopolio pubblico ad un oligopolio privato con operatori del peso di Enel e Eni fortemente penalizzati da una sorta di “mistica delle liberalizzazioni”, che permea il panorama economico e politico italiano da almeno tre lustri, con risultati disastrosi sul piano della crescita economica del Paese. Esattamente il contrario di quanto è avvenuto nel panorama energetico europeo, caratterizzato da una prima mossa strategica finalizzata a creare campioni nazionali in grado poi, è lo dimostra il risiko energetico attualmente in vigore, di configurarsi come campioni europei. È il caso della francese Edf o della fusione agli inizi del millennio tra Total e Elf-Fina o, ancora, del processo di concentrazione nel settore delle utilities tedesche avviato con la RWE. La partita energetica in corso sul piano continentale ha finora riservato brutte sorprese per l’Italia, costretta ad ingoiare il rospo dell’entrata dell’Edf in Edison, il cui peso azionario precedentemente era stato sterilizzato, e - soprattutto - lo schiaffo in terra francese ad Enel, con il fallito tentativo di acquisire la Suez, manovra subito bloccata dal Governo francese che si fece promotore di una fusione tra il colosso pubblico Gaz de France e Suez. Al momento un’altra partita è in corso, questa volta in terra spagnola, tra la tedesca E.On e l’Enel, che si contendono il colosso iberico delle utilities Endesa. Uno scontro che Mosca guarda con interesse, giacché E.On è la principale azionista privata di Gazprom (detiene circa il 6,5% delle azioni). Entrambi sono protagoniste del nuovo gasdotto baltico e, soprattutto, Gazprom vende al colosso tedesco la bellezza di circa 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Un’eventuale conquista spagnola da parte della tedesca E.On aprirebbe le porte del mercato iberico ai russi dopo essere entrati, questi ultimi, nell’autunno scorso, con un accordo con l’Eni, nel mercato italiano. È difatti ormai chiaro che il risiko energetico europeo avrà in ogni caso come protagonista, quale convitato di pietra, il gigante Gazprom, a dimostrazione del fatto che la Russia partecipa attivamente alla costruzione del mercato energetico continentale pur avendo la possibilità, e forse proprio in ragione di ciò, di poter tranquillamente volgere lo sguardo ad Est, verso le economie asiatiche affamante di energia, quali Cina e India, mediante un accordo con l’Iran che suggelli la politica energetica eurasiatica secondo gli schemi della “Cooperazione di Shanghai”. È evidente, dunque, che tale scenario energetico cozzi con la sciagurata politica del piccolo è bello, in chiave energetica, in vigore da decenni in Italia e che un processo di fusioni e concentrazioni sarà, oltre che auspicabile, inevitabile, pena la marginalizzazione ulteriore del settore energetico italiano nel panorama europeo o, ancor peggio, una colonizzazione selvaggia. Non è quindi la questione della liberalizzazione dei servizi pubblici ad essere prioritaria; oltretutto essa non garantirebbe affatto prezzi minori, stante la dipendenza energetica del Paese dal rifornimento di gas-metano, quanto la crescita dimensionale delle imprese coinvolte. Da questo punto di vista, non sarebbe affatto illogico ipotizzare una fusione Eni-Enel, che i liberisti da strapazzo nostrano bollano come una mossa statalista e socialista. Anche sul piano industriale essa avrebbe un senso, giacché la produzione energetica da parte di Enel è per una quota maggiore al 50% derivante da centrali a turbogas e a olio combustibile. Ma, soprattutto, essa avrebbe una funzione antiscalata e, al contempo, creerebbe un campione europeo capace di fronteggiare l’eventuale cartello del gas in costruzione e di contribuire all’autonomia energetica del Paese.

Ricercatore indipendente

“E il Garante benedice le nozze Snam-Terna”, La Stampa, 28/01/2007. Lo scenario probabile vedrebbe Snam acquisire sul mercato Terna mediante una fusione misto cash-azioni, diluendo la partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti di Terna e quella di Eni su Snam (attualmente detenuta al 50%). E’ lo scenario prospettato da Centrosim. Si veda Milano Finanza, Centrosim, Snam deve scalare Terna, 6/02/2007. In ogni caso la partita è in mano al Ministero del Tesoro, che si dovrà pronunciare nei prossimi mesi.

Si veda Gas, una rete europea. Niente liberalizzazioni, in La Stampa, 6/02/2007.

In merito al mercato italiano delle utilities e delle liberalizzazioni, si rimanda ad un successivo lavoro, che costituirà la seconda parte di questo saggio.