La determinazione industriale del consumo sociale

Filippo Viola

E’in corso nel nostro paese una complessa operazione, che opera su due versanti della vita sociale. Su un versante viene sferrato un attacco alle condizioni materiali dei ceti popolari, ridotte a livello della nuda sussistenza. Su un altro versante vengono sperimentate nuove modalità della incentivazione del consumo sociale. Nel primo caso, l’intento è quello di dare sempre più ampio spazio alla destinazione di risorse finanziarie al sistema industriale, sotto la copertura ideologica della cosiddetta “crescita del paese”. Nel secondo caso, si vuole evitare che la forte compressione delle risorse economiche dei ceti popolari si traduca in drastico ridimensionamento del consumo di massa, che rischierebbe di compromettere l’espansione della produzione industriale.

1. L’effetto della introduzione dell’euro sulle retribuzioni

Un salto di qualità, in negativo, delle condizioni materiali dei ceti popolari si è avuto con l’introduzione dell’euro. Attraverso una operazione burocratica si sono, di fatto, falcidiate le retribuzioni dei lavoratori dipendenti. Questo esito era facilmente prevedibile. Se da una parte viene operata una conversione ragionieristica, al centesimo, delle retribuzioni e dall’altra si lascia al libero mercato la conversione dei prezzi, si apre la strada a speculazioni incontrollate. E così è stato. Come è a tutti noto, per le retribuzioni l’euro equivale a quasi duemila lire, mentre per i prezzi equivale, di fatto, a quasi mille lire. Per questa via, il costo della vita si è raddoppiato e le retribuzioni reali si sono dimezzate, a vantaggio di industriali e commercianti. Il carattere burocratico, ragionieristico, dell’operazione ha imposto una sorta di sordina a questo micidiale taglio alle risorse economiche dei lavoratori dipendenti. Proviamo ad immaginare che cosa sarebbe successo se, di punto in bianco, fosse stato emanato questo annuncio: dal mese prossimo tutte le retribuzioni dei lavoratori dipendenti saranno ridotte del cinquanta per cento. E invece la sinistra istituzionale e i sindacati confederali sono rimasti a guardare, paralizzati dal timore di parlare male dell’euro, considerato come una sorta di totem, intoccabile. Ed hanno, come al solito, tacciato di estremismo le contestazioni della base, che non accetta l’asservimento dei vertici politici e sindacali alla logica padronale.

2. Una operazione ideologica: la “redistribuzione delle risorse”

Certo, di fronte al diffuso allarme sociale di famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese, le forze politiche oggi al governo non possono voltarsi dall’altra parte. Da qui la messa in agenda della cosiddetta “redistribuzione delle risorse”. Ma si tratta di fumo ideologico, per fare passare, sotto banco, una operazione di segno opposto: da una parte istituzionalizzare il surplus di disuguaglianze sociali che si è prodotto nel corso dell’ultimo decennio e dall’altra normalizzare l’iscrizione a bilancio di consistenti risorse pubbliche destinate alle industrie. Da una parte una irrilevante rimodulazione delle aliquote Irpef, propagandata a tutto spiano, dall’altra una forte riduzione del cuneo fiscale a completo vantaggio delle imprese, passata quasi sotto silenzio. La realtà dei fatti è trapelata per via di un incidente di percorso. Quando la Confindustria, in una dichiarazione, non si è dimostrata riconoscente per le laute concessioni ottenute, alcuni rappresentanti del governo hanno perso l’autocontrollo e sono sbottati pubblicamente: “La Confindustria farebbe bene a stare zitta, perché questo governo ha dato agli industriali quanto non è stato mai dato da nessun altro governo”. Un bel biglietto da visita per chi sbandiera la redistribuzione delle risorse.

3. Il modello tradizionale del rapporto fra produzione e consumo

Ora, in una fase in cui la disponibilità sociale di risorse economiche viene compressa al limite della sopravvivenza, per dare spazio al finanziamento pubblico del sistema industriale, si profila il rischio di una riduzione drastica dei consumi sociali, con ripercussioni negative sulla produzione. Si tratta di ben note dinamiche socio-economiche, legate al modello tradizionale del rapporto tra produzione e consumo. In tale modello, la determinazione della produzione è di pertinenza del capitale. La determinazione del consumo è invece, sul piano formale, legato alle propensioni del soggetto sociale. Propensioni condizionate, sul piano oggettivo, dalla disponibilità di risorse economiche e, sul piano soggettivo, da orientamenti di tipo culturale. La conseguenza è evidente: la determinazione del consumo da parte del soggetto sociale si pone come limite alla produzione e quindi alla valorizzazione del capitale. Nel mettere in cantiere i loro piani di espansione della produzione, le aziende devono fare i conti con la propensione al consumo del soggetto sociale.

4. Il sistema di determinazione industriale del consumo sociale

Da questo quadro emerge una questione di grande rilevanza: in quali termini è oggi possibile definire le strategie adottate dal capitale per sottrarsi alla morsa, che si stringe sempre più, tra compressione economica del soggetto sociale ed espansione del consumo di massa? A monte di tale questione c’è un dato: il capitale non può sopportare di essere condizionato dal soggetto sociale, attraverso le scelte di consumo. Da qui l’esigenza di attivare dinamiche che gli consentano di appropriarsi, oltre che della produzione, anche della determinazione del consumo sociale, in modo da dominare l’intero arco della propria valorizzazione. In tale direzione, comincia a farsi strada una ridefinizione del rapporto fra produzione e consumo, preliminare a qualsiasi strategia di espansione del consumo, in condizioni di restrizione delle risorse economiche a disposizione dei ceti popolari. Ora, forme di incentivazione del consumo non costituiscono certo una novità. Nuovo è invece, in tale ambito, il salto di livello. Oggi è in corso la sperimentazione del passaggio da tecniche specifiche adottate dalle singole aziende, per spingere all’acquisto dei loro prodotti, ad un sistema di determinazione industriale del consumo sociale. La forma classica dell’incentivazione del consumo è l’esaltazione pubblicitaria delle qualità dei prodotti. Ma quando, come nella fase attuale, la disponibilità sociale delle risorse economiche è ridotta al minimo, l’incentivazione classica comincia a dimostrarsi inefficace. Quando molte famiglie debbono affrontare il noto problema della quarta settimana, che senso ha esaltare un prodotto, se la gente non ha i soldi per comprarselo? Da qui la ricerca di nuove modalità dell’incentivazione del consumo, che tendano ad aggirare l’ostacolo della disponibilità economica. In tale direzione, la modalità oggi più diffusa è l’indebitamento sistematico dell’acquirente, attraverso la formula della rateazione al minimo di impegno mensile. Una tale formula ha dato luogo ad una nuova tecnica pubblicitaria. Si tende a focalizzare la pubblicità non sulle qualità del prodotto, ma sulla ridottissima disponibilità economica necessaria per venirne in possesso. Se si dà una occhiata ai volantini pubblicitari che vengono lasciati nelle cassette dei condomini, accanto alla immagine di un televisore a tecnologia avanzata non compare il prezzo del prodotto, ma l’entità minima della rata mensile. E non basta. Per spingere all’acquisto anche chi proprio non ce la fa ad affrontare una spesa, gli si lancia il salvagente della rateazione differita: prendi subito e cominci a pagare la prima rata fra sei mesi. Come dire: sei completamente al verde? Nessun problema. Goditi le partite sul televisore a schermo gigante e fra sei mesi se ne parla. Come si vede, più che un salvagente, è una trappola. Quando si leggono tutti questi messaggi che rimandano a un lontano futuro l’inizio del pagamento, viene da immaginarsi la situazione in cui verrà a trovarsi, fra sei mesi, quel poveraccio che ha sottoscritto diversi acquisti. Si tratta non di astratte ipotesi, ma di realtà scottanti. La difficoltà a pagare le rate sottoscritte ha dato luogo addirittura al fenomeno del rifinanziamento, cioè di un secondo finanziamento, che serve per fare fronte alle rate in scadenza. Per questa via, la produzione e la distribuzione si espandono, mentre, di gradino in gradino, molti consumatori sprovveduti cadono nel precipizio dell’indebitamento incontrollato.

5. L’induzione dei bisogni

Le strategie di incentivazione del consumo hanno successo solo se possono contare su bisogni sociali. Ora, a livello di senso comune, si pensa che le persone abbiano certi bisogni e il sistema di produzione si attrezzi per soddisfarli. In realtà, come è ormai noto alla teoria sociale, le industrie non creano soltanto i prodotti. Creano anche il bisogno di quei determinati prodotti. Ci sono quindi bisogni indotti, che non sono entità naturali, ma entità sociali. Si tratta cioè di bisogni artificiosi che, con tecniche raffinate, possono essere dilatati a dismisura, fino a dar luogo ad un fenomeno di consumismo di massa. Tanto è vero che la pubblicità non si limita a reclamizzare il prodotto, ma cerca di trasmettere il bisogno di quel prodotto. Certo, nella società industriale avanzata, il dilatarsi dei consumi, la fruizione diffusa di beni, affranca il soggetto sociale dalla schiavitù dei bisogni primari, legati alla sussistenza, e lo rende disponibile alla soddisfazione dei bisogni secondari, legati all’arricchimento relazionale e culturale. Ma il prezzo che si paga è elevato: la sottomissione al dominio dei bisogni indotti.

6. Un caso emblematico: il consumo di telefonia mobile

Un caso emblematico è il consumo di telefonia mobile. Un uso razionale del cellulare viene visto dalle imprese del settore come il nemico da combattere. Chi, in condizione di ristrettezza economica, si serve del telefonino solo per una comunicazione essenziale, invece di essere additato come modello di condotta sociale, viene fatto oggetto di forti pressioni in direzione di un consumo incontrollato. In tale ambito le strategie sono molteplici, ma sono tutte basate, come è noto, sulla offerta di una ricarica in cambio di un consumo. Certo, non può sperare di ricevere offerte chi, già di per sé, passa molto tempo al telefonino, magari parlando da solo per strada come un folle, con l’auricolare attaccato ad un orecchio. Ma chi si gestisce con parsimonia il credito telefonico è destinatario di continue proposte, la cui logica è semplice: per ricevere un bonus bisogna superare, entro quindici o trenta giorni, una soglia di consumo. Così l’utente, per raggiungere la soglia, è costretto a fare anche telefonate inutili, attingendo al credito personale. Proprio ciò che interessa alla azienda telefonica. A volte, viene offerta una quota notevole di minuti gratuiti, da consumare in un periodo ristretto, senza contraccambio. Qui la tecnica manipolatoria è più raffinata: tentare di fare acquisire abitudini di consumo ossessivo, che sarà poi difficile dismettere, specialmente da parte dei giovani, che così vengono spinti a intaccare le già scarse risorse familiari. Un caso limite, questo, in cui viene alla luce, con evidenza, il cortocircuito tra produzione e consumo: il sistema di produzione si crea un consumatore a propria immagine. La combinazione delle sofisticate strategie del capitale industriale, qui richiamate a titolo esemplificativo, ha un esito devastante. La morsa a tenaglia tra compressione delle risorse economiche e incentivazione del consumo ossessivo e dell’indebitamento incontrollato si stringe sempre più sulle condizioni di vita di larghi strati popolari, aprendo drammatici scenari sociali.

Professore di Sociologia, Univ. “La Sapienza”.