Classe lavoratrice e rivoluzione venezuelana. Chávez e la nuova tappa “socialista”

Gonzalo Gómez Freire

1. Una democrazia di base La rielezione del Presidente Hugo Chávez, con un trionfo contundente sull’opposizione pro-imperialista, si presenta come l’ingresso in una nuova fase “socialista» della rivoluzione venezuelana che non è stata ancora definita chiaramente. A dispetto della propaganda tendenziosa e falsa diffusa dai media privati, specialmente dalle grandi agenzie e catene della stampa imperialista che hanno tentato di mettere in cattiva luce il governo di Chávez definendolo una “dittatura”, la sua leadership è uscita trionfante da vari processi elettorali a distinti livelli. In questo senso, il Venezuela è un esempio di democrazia di fronte a molti governi e regimi realmente autoritari che sono appoggiati dalle “democrazie” degli Stati Uniti e dell’Europa. In pochi paesi i cittadini possono sollecitare la realizzazione di un Referendum Consultivo su alcune questioni di interesse nazionale o un Referendum Revocatorio del mandato presidenziale. Chávez ha propiziato e si è sottomesso a questo tipo di situazioni con successo indiscutibile e con risultati la cui idoneità è stata riconosciuta da organismi internazionali e governi (seppure a volte malvolentieri). Quanto detto rappresenta una parte essenziale delle conquiste ottenute con la rivoluzione bolivariana. Ma vediamo, con alcuni esempi, che cosa è ciò che i lavoratori, gli abitanti dei quartieri popolari, i contadini, gli indigeni ed i sempiterni “esclusi” si sono mostrati decisi a difendere coi loro voti e con la loro mobilitazione combattiva durante tutti questi anni di rivoluzione politico-sociale e di tensione antimperialista in Venezuela.

2.Conquiste del popolo venezuelano nella rivoluzione bolivariana

Da quando Chávez ha avuto accesso al potere politico nel 1999, noi venezuelani ci siamo dotati di un’avanzata Costituzione. Si sono ampliate le libertà democratiche, con maggiori opportunità di partecipazione del popolo, c’è stata una riaffermazione dei diritti umani e del carattere sociale dello Stato. Si sono messi in moto importanti cambiamenti politici, economici e sociali. Il popolo venezuelano ha ottenuto preziose ed apprezzate conquiste. I principali miglioramenti si percepiscono nei risultati delle cosiddette Missioni. Alcuni dei migliori esempi sono: l’eliminazione dell’analfabetismo (Missione Róbinson); l’avvio di un sistema di attenzione primaria alla salute, con l’appoggio di medici cubani, che porta i servizi all’interno dei quartieri poveri (Missione Barrio Adentro); somministrazione economica e massiccia di alimenti ai settori a basso reddito, con centri di distribuzione, centri di alimentazione e mense popolari (Missione Mercal)... Politiche come queste, anche se non risolvono definitivamente la miseria di massa, attenuano i patimenti e rappresentano una elevazione nel livello di vita. Gli indici riconosciuti internazionalmente migliorarono tutti: la povertà è scesa dell’11,5% (al 37,1%), è aumentato l’indice di sviluppo umano, c’è stata una riduzione della disoccupazione (dal 12,9 al 10,4% secondo l’OIL). Dati come questi rivelano, di per sé, una migliore messa a fuoco delle politiche pubbliche ed una progressiva redistribuzione del reddito nazionale. Il notevole incremento delle entrate petrolifere ha dato al governo grande disponibilità. Altri risultati importanti si stanno avendo nelle campagne, col conferimento della proprietà delle terre e con la maggiore attenzione al contadino, come parte di una politica di recupero di terreni accaparrati dai latifondisti (Missione Zamora - Legge della Terra), ma con relativa lentezza, intoppi burocratici e anche casi di opposizione violenta da parti di grandi latifondisti ed allevatori. Gli indigeni, benché continuino a sostenere le loro rivendicazioni, hanno ottenuto un riconoscimento costituzionale dei loro diritti come popoli, i loro territori e le loro lingue, con un recupero della loro identità, possibilità di esprimere un punto di vista e una rappresentanza politica. I lavoratori possono godere della stabilità lavorativa, rinnovata semestralmente da vari anni. Hanno ottenuto una Legge di Solvenza Lavorativa che dovrebbe essere rispettata dagli imprenditori per poter contrattare con lo Stato. Benché i loro introiti siano insufficienti, hanno ottenuto incrementi ripetuti del salario minimo. Sono in corso esperienze di cogestione in imprese che erano chiuse e sono state recuperate dai lavoratori, per poi essere statalizzate, con un certo margine di partecipazione di operai ed impiegati alla sua conduzione. C’è un certo numero di grandi imprese cogestite tra le industrie di base di proprietà statale, con livelli di partecipazione lavorativa abbastanza variabili e con non poca resistenza burocratica (il governo non ha ancora ammesso la cogestione nell’industria petrolifera, che è la principale risorsa del paese). Uno dei risultati più formidabili del movimento operaio è stato sganciarsi dalla vecchia e corrotta burocrazia della Confederazione dei Lavoratori del Venezuela (CTV), alleata strettamente con gli imprenditori golpisti e gli agenti dell’imperialismo che durante gli anni della IV Repubblica o Patto di Punto Fisso (alternanza al governo tra i partiti borghesi AD e COPEI) ha frenato e tradito ogni lotta. Con la creazione dell’Unione Nazionale di Lavoratori (UNT), attualmente maggioritaria, si è prodotto un immenso avanzamento verso il rinnovamento degli organismi della classe operaia, in consonanza col processo rivoluzionario in corso. Il protagonismo dei lavoratori nella sconfitta del sabotaggio petrolifero golpista (2002-2003) ed il controllo operaio temporaneo della PDVSA ha rappresentato la svolta nel crollo della CTV e nella costituzione dell’UNT. Nei quartieri vi è un vivo processo di costruzione sociale, con il sorgere di organismi per la partecipazione democratica e il protagonismo popolare negli affari locali (ma non di portata nazionale, ancora), tali come i Comitati per i Terreni Urbani, i Comitati per la Salute, i Tavoli Tecnici dell’Acqua, le Assemblee Popolari, che tendono a raggrupparsi in organismi più ampi, con status legale e risorse economiche proprie, come sono i Consigli Comunali (sempre in lotta per difendere la loro autonomia di fronte alla burocrazia statale). In materia economica, è diminuita la pressione neoliberista e l’ingerenza diretta degli organismi del capitalismo globale (FMI, Banca Mondiale) benché si continui a pagare il fraudolento debito esterno. Si è posto fine alla vendita delle risorse del paese (come le imprese di base Guayana e PDVSA), benché ci siano ancora governatori e sindaci che cercano di privatizzare i servizi. Il Venezuela ha avuto un ruolo chiave nella politica rafforzamento dell’OPEP e di rialzo dei prezzi del petrolio. E’ migliorata la riscossione fiscale, con la riduzione dell’evasione privata, benché si mantenga (con una leggera diminuzione) l’IVA, un’imposta diretta al consumo, eredità del neoliberismo. Il PIL, il tasso di crescita e la produzione nazionale si sono incrementati enormemente, con tendenza al ribasso dell’inflazione e della disoccupazione, arresto dell’elevata fuga di capitali mediante il controllo dei cambi e il conseguente recupero delle riserve internazionali a livelli senza precedenti. Si stanno realizzando grandi opere di infrastruttura e viabilità, come la rete ferroviaria che collegherà il paese e che diminuirà l’eccessiva dipendenza rispetto alle multinazionali che gestiscono il trasporto. Dopo la sconfitta della serrata-sabotaggio dei gestori dell’azienda petrolifera, si è deciso un maggiore controllo nazionale sugli idrocarburi. Da allora la PDVSA ha destinato ingenti risorse per gli investimenti sociali. Si sono aumentate le imposte alle multinazionali, ma si mantengono ancora imprese miste e si concedono concessioni per lo sfruttamento di petrolio e di gas. Un bilancio favorevole per il recupero della sovranità, ma la nazionalizzazione dell’industria petrolifera non è totale ed i lavoratori non possono partecipare direttamente alla definizione dei piani industriali. Senza pretendere, per limitazioni di spazio, di fare un elenco completo delle conquiste rivoluzionarie degne di menzione, dobbiamo sottolinearne alcune per ciò che riguarda lo sviluppo della coscienza antimperialista delle masse, la proiezione della rivoluzione venezuelana come riferimento per il “Terzo Mondo», per i paesi oppressi ed i movimenti progressisti o di sinistra su scala internazionale; la nozione di indipendenza, la difesa della sovranità e dell’identità nazionale di fronte all’omologazione culturale imposta dall’impero, la coscienza favorevole all’integrazione latinoamericana e la solidarietà con le nazioni sorelle o flagellate dalla sfortuna; l’idea che dobbiamo superare il capitalismo e costruire un nuovo modello di società, più equo, che prefigura i tratti più generali del “socialismo”. Il governo di Chávez, benché ancora non abbia intaccato molti punti chiave della dominazione imperialista-transnazionale all’interno del Venezuela, ha completamente sconvolto i piani dei falchi di Bush, con le sue denunce ricorrenti ed altisonanti, con la sua condanna degli interventi militari, delle invasioni e degli atti genocidi. Chávez si è schierato chiaramente coi movimenti sociali latinoamericani contro l’Alca e gli ha opposto l’Alba come formula di scambio e integrazione non basata su relazioni di dominazione. Il Venezuela ha negato agli Stati Uniti l’installazione di basi e sorvoli militari nel suo territorio, e si opposta alla penetrazione militare USA in altri paesi dell’area, così come al Plan Colombia e al coinvolgimento straniero in temi interni di sicurezza e di repressione del narcotraffico. Ha espulso la missione militare nordamericana mascherata come “di osservazione» (in realtà strumento di tutoraggio e spionaggio militare) all’interno del Forte Tiuna, sede del Ministero della Difesa e principale caserma dell’Esercito a Caracas. Si è elaborata una nuova “Dottrina Militare” propria e non subordinata agli schemi degli Stati Uniti, aumentando la preparazione dell’apparato militare e della popolazione (rafforzando la Riserva), per contrastare eventuali scenari di “guerra asimmetrica” di fronte a possibili tentativi di intervento armato dell’imperialismo, diretti o indiretti. Questi e molti altri elementi spiegano il fervore e l’appoggio che i settori popolari hanno dato alla figura di Chávez; fatto che l’opposizione è incapace di contrastare nonostante tutte le calunnie e i grandi limiti del processo rivoluzionario. Il pericolo di perdere tali conquiste, la condotta anti-democratica ed anti-popolare della destra, di fronte alle nuove aspettative socialiste, hanno condotto Chávez, col suo carisma, a sconfiggere i candidati dell’oligarchia e l’Impero.

3. Il trionfo elettorale di Chávez, il suo significato e le prospettive della “nuova fase”

Le elezioni presidenziali del 3 dicembre 2006 hanno riconfermato al paese e al mondo intero la volontà popolare di continuare, con Chávez alla guida, a percorrere il sentiero della rivoluzione bolivariana e del socialismo. È stata chiara e contundente la entità del suo trionfo (62,87%) sul golpista mascherato Manuél Rosales (36,88%). Oltretutto con un incremento importante della partecipazione, con un’astensione ferma ad un 25% dell’elettorato. La vittoria di Chávez ha dipinto di rosso (colore nel quale si identificano i bolivariani e sostenitori del processo) tutte le regioni, stati e città del paese. Neanche nello Stato di Zulia, del quale è governatore Rosales, costui è riuscito a raggiungere la maggioranza. I risultati sono stati avallati dagli osservatori internazionali, persino da quelli provenienti da paesi ostili come gli Stati Uniti. Nonostante l’opposizione (ed i suoi burattinai del Nord) avesse tra i suoi piani il rifiuto e la denuncia dei risultati elettorali, accompagnati da azioni di destabilizzazione di ogni tipo, il modo in cui le masse si sono espresse a favore di Chávez e del processo è stato così travolgente che pure in presenza di enormi pressioni da parte dei settori più ultrà dell’opposizione, il candidato sconfitto ha dovuto rapidamente accettare la sconfitta per evitare mali maggiori, perché l’esperienza ha dimostrato che in condizioni di debolezza, la tattica più conveniente è preservare le forze e non esporsi alla rabbia rivoluzionaria delle masse infiammate. Il “bastone” golpista-interventista e la “carota” della via elettorale, il “dialogo” e il “terzo polo” sono apparenze e tattiche congiunturali della strategia controrivoluzionaria-imperialista il cui obiettivo è solo uno: interrompere o esaurire l’esperienza rivoluzionaria per mantenere la propria egemonia, continuare a sfruttare ed opprimere i popoli. La sconfitta capitalista pro-imperialista in questa congiuntura elettorale, non deve portare ad ignorare che fuori dal terreno politico persiste il suo immenso potere e capacità di manovra: potere economico, controllo di settori strategici e del mercato, infiltrazione nelle istituzioni, come si evidenzia nella scandalosa impunità concessa ai golpisti dal Potere Giudiziario. Il sistema capitalista continua a funzionare ancora in Venezuela e sappiamo che la sua tendenza è ad autoriprodursi, a meno che non rompiamo con la logica del capitale e con la proprietà privata dei mezzi di produzione. Il fatto che i portavoce dell’imperialismo che nel 2002 sostennero e si affrettarono a riconoscere il golpista Carmona, abbiano valutato il risultato delle elezioni del 3 Dicembre come “buono per il Venezuela e per la regione”, e che il Dipartimento di Stato USA abbia invitato il suo ambasciatore Brownfield a sollecitare una pronta riunione col Ministro degli Esteri di Chávez, può essere l’indizio di un certo cambiamento tattico nelle relazioni bilaterali. Non è la prima volta che si cerca un “avvicinamento” al governo e il dialogo con l’opposizione. Il proposito è risanare le ossa rotte e affievolire le stridenti denunce di Chávez che tanto irritano Washington. Le ragioni di tale cambiamento non stanno solo in Venezuela. Bisogna cercarle, in prima istanza, nel tremendo fallimento della politica guerrafondaia di Bush in Iraq, Afghanistan e Medio Oriente il cui colpo di coda politico all’interno degli Usa sono stati, dopo un tracollo della sua popolarità, le sconfitte elettorali sofferte dai repubblicani che hanno causato loro la perdita del controllo del Senato, della Camera dei Rappresentanti e della maggioranza dei governatori. Ha dovuto anche contenersi con la Corea del Nord e con l’Iran, e Bush è tanto imbarazzato che ha dovuto posticipare il discorso di fine di anno sulla situazione del paese. Nel mentre, nel cosiddetto “cortile di casa” dell’America Latina sta ricevendo continui calci che non gli permettono di dominare a suo piacere, dopo l’elezione di nuovi governanti più o meno di sinistra e nazionalisti che non sostengono i progetti di dominazione continentale di Washington. In un rosario di continui rovesci per i candidati dell’impero, è stato eletto il sandinista Ortega in Nicaragua; poi è toccato a Rafael Correa che pure aveva perso al primo turno col magnate pro yankee Noboa; e come se non bastasse in Venezuela viene rieletto Chávez con un vantaggio formidabile. Un catastrofico bilancio - nell’ultima fase dell’anno - per le politiche interventiste della Casa Bianca, e non solo per Bush ma anche per i governi imperialisti europei che l’assecondano. Non è strano, allora, che siano stati forzati a rivedere le loro politiche in diverse regioni, compreso il Venezuela. Il cancelliere Maduro ha risposto che quella che si richiede è una “relazione di rispetto”, che “deve cessare la guerra politica contro il Venezuela”. Benché abbia affermato di continuare ad avere motivi di sfiducia nei confronti del Governo USA, si è mostrato disponibile al “dialogo”. Così avvenne appena dopo il fallimento dei complotti golpisti made in Usa, ma ogni volta che il processo rivoluzionario ha cercato di approfondire il suo corso al caldo dell’entusiasmo del movimento di massa, l’imperialismo è tornato a ricorrere alla destabilizzazione, al sabotaggio e alla cospirazione golpista. Questo “dialogo” non è mai gratis, ovviamente, perché per l’imperialismo suppone sempre l’ottenimento di concessioni dannose per il ritmo, la profondità e la portata dei processi rivoluzionari che tenta di addomesticare. La questione è come condurre intelligentemente il gioco senza deludere le aspirazioni popolari e senza tradire i principi sui quali si basa la proposta bolivariana. Ritornando al significato del voto per Chávez, questo è interpretato in Venezuela, non come un mero elemento di continuismo. Col nostro voto, noi lavoratori, contadini, comunità popolari, popoli indigeni, stiamo esprimendo anche un’opinione generale sulla rivoluzione: vogliamo approfondirla! È qualcosa che si esprime in maniera aperta nel seno delle organizzazioni sociali e del movimento popolare. Questo dovrà essere l’obiettivo della prossima fase, nel quale si definirà il vero carattere di questo processo, se come una rivoluzione socialista o come “caricatura di rivoluzione», come affermava il Ché. La principale aspettativa scaturita dopo la proclamazione dal carattere socialista della rivoluzione venezuelana, non deriva solo da una capricciosa proposta di Chávez, perché l’orizzonte socialista proviene dalle lotte del popoli e dalla dinamica della rivoluzione stessa, che stimola anche lo stesso presidente Chávez. Però la proposta dovrà assumere forme concrete e tangibili per il popolo o dovrà essere configurata e costruita dal popolo stesso, ampliando le riforme al di là delle attuali missioni e politiche sociali, molto oltre le attuali forme di governo e dei meccanismi per esercitarlo, ancora improntati a quelli della vecchia IV Repubblica e ancora troppo all’interno dei confini dettati dal sistema capitalista. La borghesia e l’imperialismo non vogliono cedere i loro possedimenti né ridurre il margine di profitto per colpa delle pressioni redistributive che il processo rivoluzionario esercita e temono una conversione in senso socialista di questa rivoluzione democratica, che sia il frutto di una spinta della direzione politica del Governo o dello straripamento delle masse. Chávez, nei suoi discorsi, attacca costantemente l’imperialismo, soprattutto il governo Bush, ed in generale il capitalismo. Si schiera per un’economia “sociale” e propone la costruzione del “Socialismo del Secolo XXI», benché senza definirne chiaramente la forma economica e politica. L’imperialismo non tollera che lo scacchiere della dominazione mondiale venga modificato da processi rivoluzionari contagiosi, da formule di “riequilibrio multipolare” delle relazioni internazionali, né da proposte di “integrazione” tra paesi del “Terzo Mondo” che non si inquadrino nei suoi TLC. Il capitale preserva ancora la proprietà ed il funzionamento economico dentro i parametri basilari del “libero mercato” (non ci sono state espropriazioni in Venezuela, eccetto pochi casi di imprese chiuse, oltre al lento recupero dei “terreni improduttivi”). Ma i grandi padroni di mezzi di produzione e della terra non refrattari ad un Governo i cui dirigenti provengono, per origine sociale, dai settori medi e popolari della società, o dagli strati intermedi come nel caso delle Forze armate investite dal “caracazo” del 1989.

Per questo vogliono bloccare il processo venezuelano, attraverso modi e combinazioni diverse. Il governo ha dovuto affrontare vari complotti controrivoluzionari, ma senza scartare l’opzione di un intervento diretto o indiretto, anche il capitale cerca di approfittare di tutti gli spiragli e possibilità di degenerazione o perversione del processo. Mentre minaccia di realizzare un attacco esterno, mentre auspica cospirazioni golpiste, promuove l’opposizione anche sul terreno democratico-elettorale, con ogni tipo di sotterfugi, e tenta di trovare punti di appoggio nell’apparato governativo, e alimenta negoziati che possano concedergli qualche vantaggio. Per avanzare verso il socialismo popolo e governo devono stimolare le misure economiche, sociali e politiche pertinenti, ma anche renderle attuabili e sapendole difendere di fronte alle opposizioni che si manifesteranno. In questo senso è molto inquietante e genera indignazione l’impunità esistente per il golpismo, i paramilitari ed i sicari, che rappresentano minacce concrete contro la rivoluzione e i rivoluzionari (la maggioranza dei responsabili sono fuggiti, non sono stati processati o sono stati assolti dagli organi giudiziari). Ci sono molti nodi critici che le masse stanno tentando di superare per spianare la strada verso il socialismo. Proporremo solo alcuni esempi, tra i molti possibili. Uno di questi nodi ha a che vedere col ritardo e il sabotaggio della rivoluzione agraria, perché benché con la Legge sulle Terre sia iniziata una nuova guerra contro il latifondismo, il recupero dei terreni è molto lento e tortuoso, coi contadini bloccati da innumerevoli cavilli burocratici e i grandi allevatori e latifondisti che mandano i sicari e i paramilitari ad assassinare i leader contadini, mentre il governo e le istituzioni negoziano coi proprietari terrieri applicando il “metodo Chaz”, mettendo in secondo piano il protagonismo delle organizzazioni contadine. La cogestione, che ha rappresentato un’opportunità per avanzare verso il controllo operaio ed iniziare a costruire nuove relazioni di produzione, nella maggioranza dei casi è stata purtroppo svilita e sminuita dagli intoppi burocratici e dai limiti governativi, ma continua comunque la disputa per il controllo delle imprese e dell’economia, tra i lavoratori, da una parte, ed i patroni e i funzionari statali dall’altra. Mentre abbiamo una politica estera di scontro con l’imperialismo e ci trasformiamo in riferimento per le lotte di liberazione dei popoli, in Venezuela settori molto importanti e strategici restano in mani imperialiste; come la CANTV (Verizon) che gestisce la maggior parte delle telecomunicazioni e la siderurgico SIDOR (entrambe privatizzate durante il governo di Caldera). Le multinazionali continuano a partecipare alle nuove imprese miste dell’industria petrolifera, hanno ricevuto durature concessioni per lo sfruttamento del gas e del carbone in territori ancestrali dei nostri indigeni, contro i loro diritti e la loro volontà, perché essi non vogliono più miniere né tenute nei loro spazi invasi dal capitale. Nello scontro col capitalismo neoliberista rimane irrisolto il problema della cancellazione del debito esterno che invece si continua a pagare nonostante venga giustamente descritto come illegale e illegittimo. Toccare questi punti nevralgici sarà una prova del fuoco per la rivoluzione bolivariana e per la sua credibilità. Ma è importante anche affrontare il problema del burocratismo e della corruzione, denunciati dal movimento popolare e segnalato dal presidente Chávez come uno dei mali da eliminare. La controrivoluzione, come un Cavallo di Troia, lavora silenziosamente all’interno delle viscere del processo, pervertendo, comprando, cooptando, associando, ingannando con disegni di legge o proposte politiche ed economiche portatrici di valori reazionari e neoliberali, coltivando spazi di conciliazione, di impunità, complicità, omissione e negligenza. La borghesia, come classe, non scarta la strategia del recupero del controllo del potere dall’interno, benché per fare ciò debba utilizzare anche alcuni baschi rossi. Il gran catalizzatore di tutto questo è il burocratismo e la corruzione, un nemico “camaleontico” e molto pericoloso per la rivoluzione. Questa burocrazia assume in qualche modo il discorso di “sinistra”, ma si colloca in una posizione di mediazione tra la borghesia ed il proletariato, optando sempre per le vie di mezzo e frenando quindi le opzioni e le richieste “radicali” dei lavoratori e del popolo. Questo è il fattore che blocca, ostacola, complica, rimanda e congela la rivoluzione e che disturba e demoralizza le masse e perfino le reprime, resistendo all’avanzamento del processo rivoluzionario, alla partecipazione democratica e al protagonismo, allo sviluppo genuino del potere popolare ed alle conquiste attraverso il conflitto. L’intellettuale e profondo analista venezuelano, Luís Brito García, commenta che “è meglio essere invasi per una Rivoluzione compiuta che per una riforma posticipata” e giustamente afferma: “il socialismo si compie socializzando» (Ultimas Noticias, 06/08/2006, pag. 60). Il “socialismo” con proprietà privata non sarebbe altro che un nome ingannevole, una caricatura del socialismo. Tuttavia, possiamo scommettere, con speranza, sul successo di un processo di fondo molto importante per la rivoluzione che è il dinamismo crescente, sempre più politicizzato, delle lotte dei distinti settori sociali del popolo che compiono enormi sforzi per aumentare il grado di autorganizzazione, per fornirsi solidarietà ed unificare in un solo fronte le loro lotte. Le mobilitazioni operaie, contadine e popolari cercano di convergere dai loro distinti territori e settori, per dar vita ad un blocco sociale e politico di massa e di base, per il socialismo senza padroni, senza proprietari terrieri, senza multinazionali, senza burocrazia, senza corruzione, basato sulla supremazia degli organismi popolari, del potere popolare. Se questo polo sociale unitario cresce e si rafforza, attraverso la lotta e lo sviluppo delle distinte forme organizzative, potrà e dovrà reclamare lo spazio che gli spetta nella definizione e nell’approvazione delle politiche settoriali e nazionali e nell’adozione delle grandi decisioni. Affinché il presidente Chávez possa iniziare pienamente la prossima tappa di approfondimento della rivoluzione, dovrebbe cominciare a convocare le diverse organizzazioni sociali autonome di ogni settore, per consultare, concepire e decidere con esse orientamenti e misure, potendo materializzare così, attraverso meccanismi reali, lo slogan secondo cui “con Chávez comanda il popolo”, procedendo al tempo stesso ad una purga dal governo degli elementi burocratici, corrotti o vincolati agli interessi di settori del capitale che non eseguono né lasciano sviluppare le misure progressive e rivoluzionarie, necessarie per risolvere i problemi vitali.

4. La proposta del Partito Unico

Nel corso della campagna elettorale Chávez ha fatto appello alla formazione di un partito unico della rivoluzione. Una volta confermata la sua vittoria ha esposto, come condizione per aprire la nuova fase di costruzione del “Socialismo del Secolo XXI”, la necessità della dissoluzione dei partiti che fanno parte del governo o che l’appoggiano, per costituire il Partito Socialista Unificato del Venezuela. Ha affermato che esso non deve essere solo una “zuppa di sigle” e che quelli che vogliono stare nel governo per accumulare ricchezza o potere dovranno rinunciare ai loro incarichi, mentre ha denunciato burocratismo e corruzione pur senza segnalare specificamente nessuno. Chávez ha convocato un processo di discussione e strutturazione di questo partito che si suppone debba essere guidato da dirigenti eletti dalla base e non cooptati “a dito” come è avvenuto in altri casi, metodo sul quale Chavez ha fatto autocritica. In teoria chi vorrà andare avanti per conto suo non potrà entrare nel governo. Questa politica di Chávez sembra rispondere, da una parte, alla reale necessità di contare su una direzione unificatrice e coerente, in considerazione della molteplicità di organizzazioni con le loro contraddizioni, dispute politiche e gruppi di potere. Ma sembra anche ubbidire a qualcosa che quasi tutti riconoscono: la gente vota Chávez e non tanto i partiti che lo sostengono, che invece mancano di forza rispetto alla figura del massimo leader della rivoluzione. La sua determinazione è arrivata a tal punto che ha chiesto la dissoluzione del proprio partito, il MVR, il più votato e molto al di sopra degli altri. Ma c’è un’altra realtà che la gente percepisce, così come anche Chávez. È l’usura di questi partiti, nonostante i voti raccolti a suo nome. Questo si è notato nell’alta astensione alle elezioni di sindaci e consiglieri comunali, quando candidati spesso poco apprezzati dalle comunità organizzate e dai movimenti popolari sono stati imposti dall’alto. È molto frequente ascoltare che ministri, governatori, sindaci e funzionari dei ministeri non fanno quello che dice Chávez, che addirittura fanno il contrario o che ritardano, complicano o sabotano le misure governative varate a favore dal popolo e contro gli interessi economici dell’elite. Spesso la gente afferma che i corrotti stanno sabotando il processo. Esistono però anche gruppi e movimenti operai, contadini e popolari che si mostrano riluttanti a rispettare le linee e la disciplina dei partiti governativi e che difendono la propria autonomia e libertà d’azione all’interno del processo. Gruppi come questi normalmente vengono considerati “anarchici” dal governo, ma non poche volte la loro azione ha contribuito a mobilitare il popolo nei momenti di pericolo, in aperta disubbidienza nei confronti dei dirigenti politici più “sensati”. Ciò si è verificato tra l’11 e il 13 aprile 2002, quando tentarono di coordinare i militanti dei quartieri (come l’Assemblea Popolare Rivoluzionaria a Caracas) per mobilitarsi contro il golpe controrivoluzionario imminente, mentre la linea ufficiale era di restarsene a casa o andare a lavorare perché si pensava che la serrata padronale fosse sconfitta, le Forze Armate sotto controllo e che quindi non convenivano azioni di strada né “provocazioni”. Il risultato fu che l’appello popolare a difendere il governo non contò sul necessario appoggio del governo stesso e quindi il golpe reazionario venne realizzato e Chávez cadde, ma il movimento popolare ed il popolo rivoluzionario, con la sua poderosa mobilitazione spontanea replicò immediatamente ed insieme ai settori leali delle Forze Armate scalzò il governo de facto e riportò Chávez al potere. Molti politici governativi non hanno imparato ancora questa storica lezione. Da un lato, questo movimento popolare che respinge la burocrazia, ha dei motivi per sentirsi attratto dalla proposta del partito unico, nel nome della “unità”, più che come imposizione monolitica, se ciò serve a rinnovare le direzioni e ampliare la partecipazione democratica della base nella guida del futuro partito di governo. Ma, d’altra parte alberga la sfiducia, perché ci si domanda se il regime interno concepito per il nuovo partito unico permetterà di rispettare le differenze e il dibattito democratico o se essi si vedranno schiacciati da una disciplina plebiscitaria imposta dalla leadership. Da questo punto di vista i partiti da dissolvere nella struttura unificatrice non sono stati esattamente un modello da ammirare. L’altro dilemma riguarda la concezione del socialismo, il programma per arrivarci e i metodi di lotta. Per alcuni riformisti il “socialismo” non è che un capitalismo “umanizzato”, una specie di ibrido che conserva i geni del capitale privato (nazionale e straniero) della proprietà privata sui mezzi di produzione. Ci sono in realtà ministri che continuano a parlare di garanzie per la proprietà ed esiste addirittura un movimento di “Imprenditori per il Socialismo» con il loro particolare modo di intendere le Imprese di Produzione Sociale a capitale privato. In questa discussione bisogna comunicare, indubbiamente, cercando di instaurare le migliori condizioni per un sano dibattito democratico.

5. La situazione del movimento sindacale e l’UNT nella nuova fase socialista

Parliamo qui della formidabile conquista rappresentata dalla creazione dell’Unione Nazionale dei Lavoratori con la conseguente eliminazione della marcia CTV nella discarica della storia. Dalla sua costituzione nel 2003, mediante un congresso e l’accordo di varie correnti, l’UNT è cresciuta in maniera straripante, lasciando alla filo-padronale e golpista CTV una forza quasi insignificante, limitata a una manciata di federazioni e sindacati semi vuoti, la maggioranza dei quali nella pubblica amministrazione all’interno del quale è stata largamente favorita durante la IV Repubblica. Importanti sindacati che formalmente appartengono ancora alla CTV sono diretti oggi da sindacalisti classisti e concordi col processo rivoluzionario, come è il caso di Fetraelec (settore elettrico) e certi sindacati come Fedepetrol che sono in procinto di integrarsi nell’UNT. La formazione costante di sindacati e grandi federazioni per ramo o settore continua in maniera accelerata mediante referendum nelle imprese che rivelano una schiacciante preferenza dei lavoratori per i sindacati dell’UNT. Ma l’UNT affronta ancora sfide molto importanti per la sua esistenza e la definizione del suo profilo. Per alcuni è ancora gestita da settori politici creatisi all’interno della tradizione dei partiti filo-padronali (Azione Democratica, il Partito Socialcristiano COPEI o la degenerata sinistra riformista che oggi milita nelle file dell’antichavismo). Molti dirigenti e lavoratori si lamentano che questi settori conservano i vecchi vizi burocratici della CTV, nonostante teoricamente si collochino a fianco della rivoluzione e del governo del presidente Chávez. Pertanto, nella nuova fase “socialista” l’UNT richiederebbe un processo di depurazione, democratizzazione e riaffermazione rivoluzionaria, preservando l’unità sindacale dei lavoratori. Nell’incompiuto II Congresso dell’UNT, si sono scontrate tendenze che, benché si rappresentino tutte dentro la cornice del processo rivoluzionario, differiscono profondamente per quanto riguarda concezioni, metodi e politiche; soprattutto nella maniera di intendere la democrazia sindacale e le relazioni dell’UNT con lo Stato, la sua autonomia rispetto ai padroni ed al governo. La C-CURA, guidata da Orlando Chirino, si batte a beneficio del processo rivoluzionario e per lo sviluppo delle lotte in funzione dell’approfondimento verso il socialismo, sostenendo il governo di Chávez contro la destra e l’imperialismo e nell’applicazione delle misure più progressive, ma da una posizione di indipendenza, preservando il diritto alla critica e alla mobilitazione combattiva per gli obiettivi di classe e del movimento sindacale. Altre correnti sembrano caratterizzare lo Stato come già “socialista” e concepiscono il sindacato come parte di questo Stato, il che cambia la concezione dell’autonomia sindacale. Per la C-CURA ciò rende vulnerabili i lavoratori rispetto alle pratiche filo-padronali di molte autorità alle quali non piace scontrarsi con dirigenti classisti e militanti nei ministeri, nelle imprese pubbliche o private, e che considerano la protesta come una “destabilizzazione” e “anarchia”, e che addirittura mantengono relazioni di tipo neoliberista, con contratti individuali e temporanei che privano i lavoratori di molti dei benefici e delle libertà sindacali. I lavoratori stimano e difendono il processo rivoluzionario, perché sono protagonisti e testimoni diretti del miglioramento del livello di vita della classe operaia e dei salari e sappiamo che le condizioni di lavoro sono migliorate e che ora i nostri figli hanno una prospettiva di vita molto migliore. La libertà sindacale è stata recuperata, possiamo opporre migliori strumenti e condizioni di lotta all’impunità e all’abuso padronale, si sono conquistati maggiori spazi di partecipazione come classe. Ma, nonostante queste grandi conquiste di cui godono i lavoratori grazie al processo rivoluzionario, la lotta di classe continua in Venezuela, nella misura in cui viviamo ancora in un sistema capitalista, con proprietà privata dei mezzi di produzione e con relazioni capitalistiche di sfruttamento che imperano persino all’interno del settore pubblico. Continua a esistere una forte resistenza padronale e burocratica ai cambiamenti, e non mancano le offensive per bloccarli. Per questo motivo è molto importante definire correttamente il ruolo dell’organizzazione sindacale. Il II Congresso, iniziato nel maggio 2006, si è interrotto perché un settore proponeva elezioni sindacali immediate per rinnovare una direzione provvisoria che doveva essere scelta già tre anni fa, per poter affrontare la campagna elettorale per la rielezione di Chávez con una direzione sindacale rilegittimata e dotata di un programma chiaro, mentre le altre correnti insistevano nel posticipare il tutto a dopo le elezioni per ragioni tattiche. Comunque tutte le correnti hanno convenuto sull’appoggio alla campagna per rieleggere Chávez e contro i piani controrivoluzionari della destra. Vinta la battaglia elettorale, sembra avvicinarsi un consenso affinché le elezioni sindacali dell’UNT si realizzino nel primo trimestre del 2007 e l’aspettativa è che si regolarizzi il funzionamento unitario della confederazione per poter affrontare la lotta per la costruzione del socialismo. D’altra parte, la discussione attorno alla proposta di Chávez di dissolvere le diverse fazioni politiche per formare il “partito unico” attraversa anche le direzioni politiche che hanno influenza sulla conduzione delle distinte correnti sindacali dell’UNT. Alcuni dei problemi principali che la direzione sindacale deve risolvere sono stati al centro di una marcia operaia organizzata dalla C-CURA pochi mesi fa con appoggio di altre organizzazioni popolari. L’oggetto di questa marcia è stata l’esposizione di proteste e proposte legate alla situazione dei lavoratori del settore privato e pubblico, così come con la libertà e l’autonomia del movimento sindacale; tra questi:
  la difesa del diritto ai contratti collettivi, violati dai settore privati nazionali e transnazionali, sindaci, governatori, ministeri ed istituzioni dello Stato;
  la difesa della Solvenza Lavorativa;
  la difesa della Cogestione Rivoluzionaria;
  il rispetto delle decisioni favorevoli ai lavoratori negli Ispettorati e nei Tribunali del Lavoro disattese dai privati ma anche da alcuni settori della direzione pubblica;
  la protesta contro i licenziamenti massicci, la precarietà e i bassi salari.
  la denuncia di progetti di privatizzazione di servizi pubblici nelle regioni come la sanità;
  la denuncia del super-sfruttamento, della flessibilità, dell’imposizione di contratti individuali al di sopra della contrattazione collettiva, esternalizzazione ed altre pratiche neoliberiste nel settore privato e statale;
  contro gli attentati alla libertà sindacale, i licenziamenti di dirigenti sindacali da parte di imprenditori privati ed alti funzionari;
  la difesa dell’unità nell’UNT, per elezioni per la rilegittimazione dalla base della dirigenza sindacale dell’UNT;
  contro la burocrazia e la corruzione;
  contro la formazione di imprese miste con le multinazionali nel settore petrolifero a scapito dei diritti dei lavoratori.

Unanimemente, nel corteo, i lavoratori hanno manifestato il loro appoggio alla rielezione del presidente Chávez e per il “socialismo senza padroni, burocrati e corrotti”. L’UNT ha ratificato la sua ferma difesa del processo rivoluzionario di fronte al golpismo e all’interventismo imperialista. Ha rilanciato anche le parole d’ordine del movimento contadino contro il sicariato ed il paramilitarismo, per la rivoluzione agraria, la lotta contro l’impunità dei golpisti e dei crimini della IV Repubblica. Ha raccolto il progetto dei media comunitari a favore della socializzazione dell’etere, per il ritiro delle concessioni ai media privati golpisti e per un sistema pubblico di comunicazioni in mano alle comunità, ai lavoratori ed alle organizzazioni sociali. Non è mancata la solidarietà coi popoli della Palestina e del Libano. Per cercare possibili soluzioni ai problemi nel mondo del lavoro si sono proposti “tavoli di dialogo” senza però rinunciare alla mobilitazione come leva per la trasformazione sociale. Ci troviamo in una congiuntura caratterizzata da un’alta conflittualità sindacale nei diversi settori dell’economia, nei quali i lavoratori si mobilitano affinché si compiano effettivamente i cambiamenti attesi, concordemente con le prese di posizione anticapitaliste e socialiste. Ora che si annuncia una riforma costituzionale, i lavoratori delle distinte correnti dell’UNT si propongono di approfondire i diritti del lavoro nella Costituzione invece di limitarsi a discutere la rielezione presidenziale a tempo indefinito che in ogni caso passerebbe attraverso un referendum consultivo, oltre alle elezioni democratiche corrispondenti. Si punta a che la proprietà sociale, con partecipazione dei lavoratori, sia approfondita e che ci sia un sostanziale ampliamento dei diritti dei lavoratori rispetto alla cogestione. La Legge Organica del Lavoro attuale risponde ancora ad una vecchia correlazione di forze capitale-lavoro, quindi dovrebbe essere aggiornata. Ugualmente bisognerà vincere le difficoltà frapposte all’introduzione del nuovo regime di previdenza sociale, come rendere effettivo il ricalcolo delle prestazioni sociali stabilito durante la IV Repubblica dalla CTV. Per affrontare tutto questo, l’UNT aspira a consolidare anche la sua posizione sul piano internazionale il riconoscimento che merita come centrale maggioritaria dei lavoratori venezuelani, e a sviluppare le relazioni coi movimenti sindacali combattivi e classisti del mondo contro il capitalismo globalizzato.

Membro del Coordinamento Nazionale dell’Associazione Nazionale dei Media Comunitari, Liberi e Alternativi (ANMCLA) Membro del Coordinamento Nazionale della Corrente Classista, Unitaria, Rivoluzionaria e Autonoma dell’Unione Nazionale dei Lavoratori (Venezuela). Membro del Comitato nazionale del Partido revolución y Socialismo (PRS).