Fuori dal mercato: linee per un’inchiesta sull’esclusione dal benessere dei “nuovi poveri”

LILIANA UCCELLO, ROSANNA MARINO

1. Introduzione La percezione dell’aumento del costo della vita, attestata secondo la modalità empirica dell’intervista al passante, raramente viene considerata un rilevatore attendibile di una situazione realmente accertata. Per lo più si accosta il termine percezione ad una sensazione soggettiva, relativa ai consumi personali e che quindi non può avanzare alcuna pretesa di costituire un criterio “scientifico” di veridicità. Tuttavia, mai come questa volta, l’intervista ad un campione di cittadini alle prese con gli acquisti ha generato un risultato quasi unanime: l’aumento ingente del prezzo dei generi di prima necessità è un fatto, denunciato dagli intervistati come un fenomeno di preoccupante rilevanza. Ciò che in prima istanza preoccupa gli intervistati è l’insieme degli aumenti dei prodotti basilari di varia natura (alimentari, casalinghi, benzina, trasporti) che di fatto volatilizza buona parte dello stipendio. L’affitto o, in alternativa, la rata del mutuo continua ad essere una delle voci di spesa maggiormente significative nel bilancio familiare, sul quale incide sempre più anche il costo dei servizi energetici, lievitato in modo esponenziale in proporzione al prezzo del petrolio. Sono ormai numerose le famiglie che a tale situazione di difficoltà intendono rimediare attraverso il ricorso al credito al consumo per l’acquisto di beni di lusso, ricavandone tuttavia spesso un ulteriore aggravamento delle proprie condizioni economiche. Della creazione di nuovi bisogni da parte del libero mercato alcuni interlocutori sono consapevoli: le nuove generazioni.

2. Il mix di aumenti: alimenti, benzina, energia Alla domanda circa l’osservazione di un cambiamento dei prezzi tra il 2006 e il 2007, M., una donna di mezza età in procinto di effettuare acquisti per la casa, risponde: «troppi, e quasi sempre sono stati aumenti». A nostra sorpresa, tutti gli interlocutori hanno offerto indicazioni precise e consapevoli circa l’inflazionato tema del “caro vita”, evidenziando la rilevante differenza dei prezzi. «Sono costretta ad evitare l’acquisto di pane, pasta, latte, farina, marmellata delle marche pubblicizzate ed andare al discount, solo che anche lì hanno finito per costare uguale»: questa la confessione quasi imbarazzata di una casalinga monoreddito costretta a conoscere a memoria i listini dei vari supermercati. Listini che, se scorsi, rivelano una serie di aumenti che uno degli intervistati, A., casalinga, quantifica in «50 per cento in più per alcuni prodotti, fino al 70 per cento per altri, ad esempio soprattutto pasta, pane e farina», mentre una madre di 3 figli afferma di essere arrivata a spendere addirittura «quasi 30 euro al giorno tra salumeria, pane e latte». Ma se un’inchiesta sul caro vita predispone l’intervistatore alla raccolta di testimonianze di casalinghe alle prese con la gestione della casa da far rientrare nei conti, sicuramente non prepara alle sorprendenti dichiarazioni di cittadini definiti abbienti, i quali, «fino a qualche anno fa, non badavano al centesimo», afferma S., impiegato. Parliamo di coloro che sono addossati del brutale appellativo “nuovi poveri”, di coloro che producono un reddito superiore ai 50mila euro l’anno con figli a carico, e che ammettono di avere bisogno «di almeno 300 euro in più» (S., impiegato) per non trovarsi in difficoltà alla fine del mese. M., impiegato, lamenta che «fino ad un anno fa potevo permettermi più cose, una pizza con la famiglia, un capo di vestiario di buona qualità, mentre ora, con due figli a carico e tutto che aumenta, devo stringere la cinghia al massimo». Alla stregua di agguerrite casalinghe, ogni settimana i “nuovi poveri” sono in tour in cerca dell’offerta migliore nei vari punti vendita: la penalizzazione “indiretta” dei cittadini anche non specificamente indigenti, induce questi ultimi a estenuanti tour tra centri commerciali, supermercati di città, mercatini di quartiere anche per l’acquisto dei generi di prima necessità. Paradossalmente l’urgenza del risparmio è, a detta di molti, inficiata dall’aumento della spesa per gli spostamenti in automobile, rifornita a benzina o diesel «mediamente di 30 euro a settimana solo per i piccoli spostamenti di servizio». La spesa per il mantenimento dell’auto, mezzo di trasporto pressoché indispensabile per qualsiasi famiglia, giunge a gravare sul bilancio familiare «per più del 40%, tra benzina e assicurazione, praticamente quasi metà dello stipendio se lo mangia l’auto che utilizzo per recarmi al lavoro», chiosa A., operaio. Ancora, il comparto energetico è diventato per molte famiglie un peso quasi insostenibile: «siamo arrivati ormai al punto - confessa M., casalinga - di non accendere più i riscaldamenti se non in caso di estrema necessità, perché non possiamo più permetterci consumi elevati». Il capitolo “figli a carico” è chiaramente tra i più significativi nell’ambito della spesa familiare: «paghette, regali, studi, palestra, vestiario, le spese per il mantenimento di due figli non hanno fine e arrivano ad impegnare ogni mese anche metà del reddito familiare» è lo sfogo di M., casalinga. A tale proposito, va inoltre considerato che i figli sono forieri di spese maggiori quanto inferiori sono le loro capacità di difesa nei confronti della tendenza al consumo indiscriminato anche di beni non di stretta necessità, artificiosamente diffusa e incoraggiata da ogni mezzo di comunicazione: «i miei figli sono molto più esigenti di noi per quanto riguarda il vestiario - si sfoga A., casalinga - pretendono dai genitori gli stessi abiti firmati che vedono addosso ai loro amici e siamo arrivati al punto di non fare acquisti in questo senso se non in periodo di saldi, almeno per loro, perché per quanto riguarda noi genitori ormai è da molto tempo che non ci concediamo più nulla oltre il necessario». Tuttavia, da tale cieco meccanismo di incitamento al consumo selvaggio nessuno appare esente: «noi oramai, qui nel centro commerciale, pensiamo di risparmiare perché la benzina conviene, come molti alimenti tipo l’olio di oliva, molti casalinghi. Un grande incentivo poi sono le offerte del giorno sui più disparati prodotti, ma a conti fatti spendiamo molto di più del previsto a causa dell’acquisto di cose ritenute superflue prima, ma che una volta viste ci sembrano indispensabili». Questa, la cristallina esposizione di un consumatore dei nostri giorni che esprime rassegnazione nei riguardi del sistema consumistico degli acquisti per cui è quasi impossibile regolare la propria vita su di una dignitosa parsimonia.

3. La vita a rate Fu nei lontani anni Trenta del secolo scorso che per la prima volta negli Stati Uniti comparve un nuovo sistema di pagamento: quello a rate. Di fronte alla crisi di sovrapproduzione causata dal crollo della borsa di Wall Street nel 1929, infatti, il pagamento rateale fu una delle soluzioni più emblematiche per facilitare la propensione al consumo e invogliare la neonata società di massa a desiderare sempre più, comprare e consumare. Il tutto grazie alla mano invisibile dei nascenti mass media che veicolavano mode e stili di vita e attraverso la pubblicità inducevano a soddisfare bisogni fino ad allora sconosciuti. A quasi ottant’anni da quel particolare momento storico dell’economia, il pagamento a rate risulta ancora una delle forme di acquisto più gettonate dal consumatore medio, sempre più impossibilitato a svincolarsi dalla violenta “abitudine al consumo” e sempre più alle prese con nuovi bisogni, dettati da trend globali, da soddisfare. Da un campione random di dieci interviste, infatti, risulta che ben 8 persone su 10 almeno una volta nella vita hanno acquistato un prodotto a rate e 5 su 10 dichiarano di pagare o aver pagato contemporaneamente più di una rata. I settori maggiormante colpiti dal fenomeno sono senza dubbio quelli che riguardano i bisogni “secondari”: acquisto dell’auto, elettrodomestici, oggetti tecnologici, biancheria da corredo, arredamenti fino ad arrivare al caso più emblematico rilevato, quello del pagamento a rate per l’acquisto di capi d’abbigliamento. A., 24 anni, studentessa universitaria e figlia di due dipendenti statali ammette infatti di essere fissata con la moda e voler acquistare solo capi firmati: «i miei genitori non possono sempre comprarmi cose costose e siccome vado sempre allo stesso negozio si sono accordati con il titolare che mi fa pagare a rate quello che compro». Diversa è la condizione di M., 35 anni, operaio, unico a lavorare in famiglia: «ho una moglie casalinga e una bambina di 8 anni e con i miei 1200 euro mensili arriviamo appena alla fine del mese; per acquistare qualche elettrodomestico nuovo come il condizionatore o il cellulare, ormai indispensabile, vado a spendere in questi grandi centri commerciali e faccio il finanziamento con la mia busta paga, comprando tutto a rate». In una condizione simile si trova G., 52 anni, lavoratore monoreddito con moglie e due figli studenti: «quando i figli crescono ci sono sempre più spese da sostenere, loro non mi danno problemi per cose inutili, ma per comprargli un computer sono dovuto ricorrere al pagamento a rate perché non potevo permettermi una spesa così grossa tutto in una volta». Anche per una coppia di giovani sposi mettere su casa è praticamente un’impresa titanica: F., 27 anni e P., 29 anni, entrambi laureati e lavoratori precari in cerca di un’occupazione più appagante dichiarano di aver acquistato i mobili per la loro casa a rate «perché sarebbe stato impossibile pagare tutto in una volta sola, gravando ulteriormente sul bilancio delle rispettive famiglie». Ancora vi è la testimonianza di un giovane di 23 anni, R., che sa di non poter contare sui genitori per comprarsi un’auto: «lavoro come manovale in un cantiere edile e diciamo che non guadagno tantissimo, ma rispetto a molti ragazzi della mia età sono fortunato a prendere 800 euro al mese e con la maggior parte di questi soldi sto pagando a rate la mia macchina». La rata, dunque, sembra essere l’unica via di fuga per concedersi qualche bene non strettamente legato alla sopravvivenza. E se nei lontani anni Trenta era stata una semplice invenzione strategica contro la grande depressione statunitense, oggi è divenuta l’ultima spiaggia per milioni di persone in cerca di una minima dignità materiale.

4. Conclusioni Alla luce di un quadro economico generale sempre più preoccupante, l’elemento significativo che emerge da questa piccola indagine sul campo è quello relativo alla percezione dei consumatori del fenomeno dei rincari. Se fino a qualche anno fa la stragrande maggioranza delle persone, attribuendo l’aumento dei prezzi al passaggio dalla lira all’euro, veniva considerata acritica verso il fenomeno, oggi non è più così. O meglio, oltre a questa consapevolezza si va diffondendo una conoscenza più analitica e propositiva del carovita, tanto da far nascere nuove forme di mobilitazione a tutela dei diritti dei consumatori. Lo sciopero della spesa, la nascita dei comitati della quarta settimana e i semplici cittadini che adottano da circa un anno a questa parte comportamenti del tutto nuovi e sicuramente più oculati nel gestire il bilancio familiare, sono senza ombra di dubbio segnali forti dei nostri tempi che devono stimolare la riflessione e soprattutto generare l’azione sociale contro la logica del consumo sfrenato e della smisurata produzione capitalistica. Accorrere in soccorso delle fasce più deboli, limitare la diffusione di nuove povertà, impedire uno scarto vistoso tra chi ha troppo e chi ha troppo poco sono solo alcuni degli obiettivi che la politica dovrebbe raggiungere al più presto per evitare il tracollo delle famiglie italiane, ma a ciò si deve accompagnare una vera e propria rivoluzione culturale, attraverso la quale combattere con forza il modello occidentale del consumo indiscriminato e gettare le basi per uno sviluppo sempre più equo e sostenibile a livello globale.

Ricercatore dell’Osservatorio Meridionale di Cestes-Proteo

Ricercatore dell’Osservatorio Meridionale di Cestes-Proteo