Movimenti di classe e transizione

DOMENICO ROSATO

E’ un fatto certamente positivo che oggi si discuta di Che Guevara e del suo impegno nella costruzione di una politica economica, funzionale agli interessi di Cuba e del socialismo. Si tratta di un percorso incompiuto, nel senso che non appaiono esaurite le spinte presenti nel pensiero del Che, anche se certe realizzazioni concrete non sono avvenute. Egli ha indicato problemi e percorsi, sui quali riflettere e studiare. Di certo il suo pensiero non è dogmatizzabile né convertibile in un blocco di proposizioni ed imposizioni, come scrive Martinez Heredia. Pertanto, se si considera che i tempi contemporanei ci coinvolgono nella guerra, nelle discriminazioni sociali, nel solco sempre più ampio tra ricchi e poveri, che la democrazia borghese si rivela priva sempre più dei suoi contenuti morali ed etici, che il bisogno di cambiamento si registra a livelli diversi, dalla condizione individuale a quella più ampia del sociale, riprendere in mano temi già affrontati e confrontarsi con chi ha tentato delle soluzioni, non è certamente fuori luogo. Fidel Castro e il Che lanciano il Movimento guerrigliero 26 luglio. Lo scopo era, nel contesto della lotta contro la dittatura di Batista, di introdurre riforme radicali, che miravano all’indipendenza nazionale, restando nel sistema capitalista, come si evince dal discorso, tenuto durante il processo successivo all’assalto della caserma Moncada, in cui Castro rivendica “la partecipazione agli utili da parte degli operai e degli impiegati” e “l’instaurazione della giustizia sociale, fondata sul progresso economico ed industriale”. Anche il Che, nei primi mesi del 1959, dopo la presa del potere, crede che sia possibile uno sviluppo democratico interno al capitalismo. Tuttavia una fase “democratica” del capitalismo non era possibile, se si considera il dominio totale da parte dell’imperialismo statunitense su ogni aspetto della vita economica e politica di Cuba, dove le multinazionali USA possedevano il 90% dell’industria dell’isola. Non appena il Movimento 26 Luglio entra all’Avana, gli USA ostacolano il nuovo governo rivoluzionario. Non c’era, quindi, possibilità di sviluppo sotto il capitalismo. L’esperienza della costruzione di una società socialista a Cuba, del resto, avviene in un momento storico, in cui si registra sullo scenario mondiale un modello di alternativa sociale rappresentato dall’URSS, uscita vittoriosa dalla seconda guerra mondiale. Sul piano economico si rilevava una crescita dell’URSS e dei paesi dell’Est europeo; sul versante della lotta rivoluzionaria questa interessava la Cina, il Vietnam, entrava in Africa e nel mondo arabo ed in America Latina si esprimeva a Cuba. Nel contempo difficoltà emergevano nell’Occidente ed in particolare negli USA. Pertanto se il movimento rivoluzionario metteva in crisi il capitalismo, non ne segnava la fine. D’altra parte le rivoluzioni avvenivano nella parte più arretrata del mondo,dove, se era facile il movimento politico e militare, non era altrettanto semplice, data la diversità delle condizioni di partenza, avviare una politica economica e sociale. L’avvicinamento all’URSS o l’applicazione del modello sovietico non era e non fu uno strumento efficace, anche se l’URSS rimaneva un punto importante di riferimento. Sotto la spinta rivoluzionaria Cuba elimina il capitalismo, ma per costruire il nuovo sistema segue inizialmente l’esempio non della repubblica dei soviet di Lenin, ma l’Unione Sovietica di Stalin e Krusciov, dove l’apparato burocratico aveva espropriato del potere politico la classe lavoratrice. A Cuba esisteva una grande voglia di partecipazione da parte dei lavoratori e delle classi oppresse, ma nessuna struttura dove poterla esprimere. Negli anni dal 1960 al ’62 Guevara ripone molte speranze nei paesi “fratelli” del “socialismo reale”. Dopo alcune visite in Unione Sovietica e negli altri paesi dell’Est e dopo i primi anni di esperienza di transizione verso il socialismo a Cuba, egli si mostra sempre più critico. Il problema in quegli anni non era di opporsi alla cooperazione con l’Unione Sovietica, inevitabile e necessaria, quanto trasporre quel modello nell’isola di Cuba. Negli anni 1963-64 egli tenta di formulare un approccio originale al socialismo, durante il grande dibattito economico che coinvolge Cuba. Questo mi pare il tema centrale del libro. I temi economici tradiscono ipotesi ed impegni politici. Dietro al dibattito vi sono visioni del mondo e delle relazioni tra gli uomini diverse. La discussione è relativa ad un sistema di pianificazione economica, definito Calcolo Economico, metodo adottato in Russia dopo Stalin. Superata la fase di emergenza, durata oltre venti anni a partire dal 1928, di forte industrializzazione con i piani quinquennali, nell’URSS la riflessione si incentra sul Calcolo Economico, coinvolgendo i temi della legge sul valore, dei rapporti mercantili e monetari nei paesi socialisti. Il Calcolo Economico garantiva alle imprese una maggiore autonomia, con quote maggiori di profitto, alle banche restituiva un potere finanziario, interveniva sulle modalità di formazione dei prezzi ed istituiva gli incentivi materiali per i lavoratori. Il Che, ministro dell’Industria, al Calcolo Economico contrappone il Sistema Budgetario di finanziamento, che considera meglio funzionale alla costruzione di rapporti sociali conformi al socialismo. “È un concetto complessivo - dichiara il Che - la sua azione oggettiva si eserciterebbe quando è in grado di partecipare a tutti gli aspetti dell’economia, un insieme unico che, partendo dalle decisioni politiche e passando alla Giunta centrale della Pianificazione, giunga alle imprese e alle unità attraverso i canali del Ministero e lì faccia una fusione con la popolazione per tornare a camminare verso l’organo di decisione politica, formando una gigantesca ruota ben equilibrata, in cui si potrebbero cambiare determinati ritmi più o meno automaticamente, in quanto ciò sarebbe permesso dal controllo della produzione”. Da un lato una sorta di “socialismo di mercato”, con autonomia delle aziende e ricerca del profitto, in URSS, dall’altro una pianificazione centralizzata fondata su criteri sociali, politici ed etici. Per il Che la pianificazione è la categoria definitoria della società socialista. - dice Rafael Rodriguez - Senza pianificazione non può esserci socialismo; la pianificazione permette l’assegnazione di risorse lì dove c’è bisogno, perciò deve essere una pianificazione centralizzata. Del resto il Che riconosce che non ci sono differenze di principio tra calcolo Economico e Sistema Budgetario, che si pongono gli stessi fini; piuttosto lo schema di azione del sistema budgetario, convenientemente sviluppato, può aumentare l’efficacia della gestione economica dello stato socialista e approfondire la coscienza delle masse e rendere più stretta la coesione del sistema socialista mondiale sulla base di un’azione integrale. Come si può notare la strategia rivoluzionaria del Che collega sempre due obiettivi : razionalizzare il sistema economico, per aumentare il livello di sviluppo delle forze produttive, ed elevare il grado di coscienza e di partecipazione delle masse. Sulla base di questi criteri si possono comprendere le analisi del Che rivolte ai classici della teoria socialista, la lettura critica dei documenti della pianificazione sovietica, la necessità del superamento dei rapporti mercantili, la riflessione sulla legge del valore, sugli incentivi materiali e su quelli morali, l’attenzione alla NEP, nuova politica economica, utilizzata da Lenin in un particolare momento della storia sovietica, ed in particolar modo la costruzione dell’uomo nuovo. I temi del dibattito sulla transizione tra Cuba ed URSS tengono conto di alcune motivazioni: essi procedono dalle differenze materiali e socio-economiche tra i due paesi; da questioni teoriche, come la legge sul valore o dei tempi della transizione al socialismo. Questi temi, per quanto siano stati messi da parte, conservano una loro attualità, nonostante gli sviluppi della storia hanno rivelato problemi, che hanno sottoposto alla critica della realtà i modelli e le ipotesi dell’epoca. Certamente le rivoluzioni del ‘900 hanno permesso di comprendere che una lotta di classe contro gli imperialismi è stata possibile, anche se la spinta non è stata sufficiente a realizzare una società alternativa al capitalismo, a gestire le trasformazioni, che quelle pure avevano contribuito a creare. Oggi i problemi, che abbiamo avanti agli occhi, anche nella piccola realtà di una città di provincia, rivelano tensioni ed esigenze ineludibili. Si ripropongono interrogativi sul ruolo della classe lavoratrice, sulla sua funzione nella trasformazione sociale, sulle subordinazioni tra centro e periferia, sulla dignità del lavoro, sulla necessità di costruire un’alternativa sociale al capitalismo.

Capogruppo “La Sinistra” al Comune di Aversa