Un moderno ritorno al cottimo. Salari, contratti e potere d’acquisto

REDAZIONE DI PROTEO

Intervista a Giorgio Cremaschi

Non possiamo che partire dall’accordo sul contratto dei metalmeccanici. Il tuo giudizio è stato nettamente negativo. È un accordo, onestamente, che solo tre mesi la Fiom non si sarebbe sognato di firmare. È stato un arretramento sul fronte principale dello scontro, il terreno dello scambio salario- flessibilità. Certo si può dire che abbiamo scambiato meno di quello che volevano i padroni, frutto delle lotte sino a qui fatte ma è un arretramento chi non lo ritiene tale sbaglia. Poi possono esserci due posizioni: quella di chi ritiene questo accordo sia il massimo che si poteva ottenere e chi invece pensa che sia un buon accordo. Il realismo diventa anche ideologia. Nella Fiom sono presenti entrambe queste posizioni, che spesso sono divise da una zona di confine grigia. Questo arretramento evidenzia che la Fiom ha fatto una scelta di normalizzazione, scegliendo la linea del meno peggio. Spero che questo sia, per così dire «un incidente di percorso» e che la Fiom possa ritornare ad essere quello che è stata in questi anni.

Cosa più di altro non ti convince? In questo accordo non solo si aumenta l’orario di lavoro, ma, soprattutto, non passa nessuna delle richieste sul ruolo delle RSU nell’organizzazione del lavoro, nell’inquadramento del personale, sulle condizioni di lavoro, non passa nulla delle nostre richieste per il ritorno in campo delle Rsu. Questo è il segnale preoccupante, l’accettazione di questo scambio tra salario e flessibilità.

Che scenario si apre, ora che il centrosinistra è caduto? Ora dobbiamo discutere, anche alla luce della nuova situazione politica. Dobbiamo discuterne. Siamo in un’altra fase. Il crollo del governo Prodi è avvenuto prima nel consenso del paese che nel Parlamento. Ci troviamo in una situazione paradossale. Torna al governo la destra dopo una parentesi di due anni nella quale sostanzialmente tutte le leggi del centrodestra, in tema di lavoro, diritti politici e civili, sono rimaste tutte. Questi due anni sono serviti solo a riconsegnare a Berlusconi un’Italia più debole nel resistergli. Con tutto il rispetto personale per Prodi, al quale davvero bisogna riconoscere l’onore dell’armi, non a chi l’ha circondato ma a lui. Però penso che la sostanza di questi due anni sia proprio questa che la politica del meno peggio consegna alla destra un paese debole.

E per il sindacato? In questo senso la scelta della Fiom appare fuori tempo massimo. Non è vero che si è salvato il contratto nazionale. L’attacco continuerà e crescerà. Il punto centrale è scegliere tra concertazione e conflitto. Il ritorno della destra rende drammatica questa alternativa. Il ritorno con una posizione più «morbida» del sindacato è fuori tempo massimo. È crollata l’ipotesi strategica della Cgil, cioè quella della concertazione con al centro il governo amico. Al centro del conflitto attuale c’è l’aziendalismo, la competitività, il sindacato che si schiera con l’azienda e non con i lavoratori. Il contatto dei metalmeccanici è un’apertura tenue, ma è un’apertura in questa direzione. Il rilancio del rapporto tra salario e produttività. È un’uscita da destra dalla concertazione degli anni ’90, quella concertazione che ha segnato il declino sociale dell’Italia. Di fronte alla mancanza di sinistra, si afferma l’idea del modello americano: chi può guadagna, chi non può si deve accontentare di un po’ di carità. Su questo modello di concertazione la Cgil è fuori mercato, non è un caso che tutti leggono questa fase come egemonizzata dalla Cisl, l’aziendalismo accompagnato dal solidarismo cattolico che da sempre fa parte della cultura della Cisl. Soprattutto è fallita la linea del meno peggio, quella che ha scelto la via della concertazione in nome di un realismo che si è rivelato perdente e che non ha nessuna forza nemmeno riformista. Fallisce l’ipotesi di condizionare da sinistra la concertazione, fallisce una strategia in virtù della quale sono state fatte scelte non politiche in nome della politica.

Dunque è fallimentare il bilancio di questi due anni di legislatura? Questi anni hanno costruito il ritorno al governo di Berlusconi, che potrà anche dire che molte cose le ha fatte anche il centrosinistra. Abbiamo vissuto, come sindacato e come sinistra, la distruzione di un’autonomia culturale Sulla questione culturali e sociali non ci sono grandi differenze tra centrodestra e centrosinistra. Lo scambio salario-produttività è un punto in comune tra Forza Italia e Partito democratico. Voglio sottolineare una cosa. Questa ingegneria contrattuale, maschera la sostanza, che è l’aziendalismo. Non c’è più spazio per la contrattazione. Nel contratto noi falliamo perché la Federmeccanica non riconosce alcun ruolo alle Rsu. Gli industriali vogliono spazio per la flessibilità del salario, degli orari, delle forme del rapporto di lavoro e non sono disponibili a contrattare. La firma del sindacato avviene dopo che le aziende hanno deciso. Si oppone la competitività alla coalizione dei lavoratori. Non rimane nemmeno lo spirito degli interessi di classe. Ogni lavoratore è schierato con il suo reparto ed è in lotta con gli altri lavori. Possiamo dire che assistiamo ad un moderno ritorno al cottimo.

Da che dipende questa debolezza sindacale? Non si può dare la colpa ai lavoratori, quando i dirigenti non lottano, quando sono i primi ad essere rassegnati, a non credere nella possibilità di vittoria. Questi due anni hanno dimostrato una crisi della spontaneità ma non della combattività delle lotte operaie. La concertazione è depressiva, dice «non lottate perché la nostra lotta non serve», educa a non lottare, alla rassegnazione. La storia dei metalmeccanici ci dice che quando ci sono lotte la gente risponde. I primi a dare la sensazione della sconfitta sono i gruppi dirigenti, sono loro il problema.

Che lezione si può imparare da questa fase? Purtroppo non sempre dai fallimenti si impara. Certo è casuale che la caduta del governo segua la firma del contratto dei metalmeccanici, casuale ma significativo. Però quello che voglio dire è che il fallimento della politica della riduzione del danno è un fallimento, non c’è un ricambio, non c’è la possibilità di riorganizzarci e crescere. Si apre ora una fase nuova. Noi siamo consapevoli dei nostri limiti, ma riprenderemo, come sindacato, come Rete 28 aprile a riorganizzarci, a lottare, a discutere e vedere quello che possiamo fare. Noi conosciamo i nostri limiti, ma credo anche che il sindacalismo di base, per quanto vivace, non rappresenti una vera alternativa al sindacalismo confederato. Tra pochi mesi tornerà al governo la destra e quindi lo scenario cambierà per tutti. Unico insegnamento, da gridare dai tetti, a tutti questi gruppi dirigenti hanno predicato disponibilità e accomodamenti perché all’orizzonte c’era Berlusconi. Bisogna dire che è proprio questa politica che ha portato al ritorno di Berlusconi.

Quale è la via per recuperare il potere d’acquisto per i lavoratori? Il Ministro del Lavoro torna a rilanciare la triennalizzazione dei contratti nazionali, che poi dovrebbero solo recuperare l’inflazione. È un modo per continuare a peggiorare l’andamento negativo delle retribuzioni, che sono scese così in basso proprio perché i contratti nazionali sinora si sono fermati all’inflazione e non hanno mai recuperato davvero il potere d’acquisto. Bisogna quindi elevare e non ridurre la copertura salariale del contratto nazionale. Questa è la sola via per far salire le retribuzioni. L’altra, quella di legarle alla produttività aziendale, è un modo neanche tanto sofisticato per pagare ancora meno i lavoratori. In ogni caso, se si vuol tornare al contratto triennale, bisogna ricordare che si è passati ai bienni salariali dopo che è stata abolita la scala mobile con gli accordi del 1992-1993. Per tornare ai contratti triennali bisogna quindi reintrodurre un meccanismo di scala mobile che salvaguardi le retribuzioni dal rischio inflazione, altrimenti il salario continuerà a sprofondare.