L’evoluzione della comunicazione al cittadino; dai media tradizionali ai sistemi multimediali

Maria Rosaria Del Ciello

PREMESSA

 

In economia si deve ad Harold Innis la teoria delle “staples” (risorse naturali) che caratterizzano l’evoluzione dei paesi dipendenti. Partendo dallo studio delle staples, Innis era giunto alla identificazione dei mezzi di comunicazione come “materia prima” per lo studio dell’economia e dell’evoluzione della civiltà. Egli evidenziò che gli sviluppi tecnologici nella comunicazione implicano una riduzione dell’area di distribuzione del materiale e allargano l’area di ricezione che investe grandi numeri di persone impossibilitate a rispondere direttamente. Coloro che si trovano sul versante ricevente del materiale che proviene da un sistema centrale meccanizzato vengono esclusi dalla partecipazione ad una sana, vigorosa e vitale discussione [1].

Il problema dell’accesso alle informazioni è tuttora argomento di particolare attualità se si pensa soprattutto agli sviluppi tecnologici nella comunicazione globale e nella ricerca dei dati, grazie ai quali si prospetta oggi una comunicazione elettronica on-line. Il tema costituisce una delle tematiche centrali attorno alla quale ruota il dibattito in corso su quella che viene definita “società dell’informazione”.

Gli sviluppi della comunicazione “a” e “per” il cittadino devono un grosso tributo alla tecnologia che permette oggi di disporre di giornali, testi di conferenze, documenti tecnici e quant’altro, attraverso network istituzionali o commerciali, accelerando così l’accesso alle informazioni anche in regioni del mondo dove tale materiale è limitato o inaccessibile [2]. La società dell’informazione muta, quindi, le condizioni normali dell’uomo nei confronti del tempo e dello spazio. Oggi è possibile avere, infatti, accesso in tempo reale a qualsiasi collegamento nel pianeta: questo significa che si assiste ad una riduzione del tempo ed ad una dilatazione dello spazio.

Ai vantaggi di tipo, per così dire, distributivo, si affiancano alcune problematiche del tutto nuove: ad esempio dal punto di vista economico-legale l’argomento include basilari diritti della persona umana, la protezione del consumatore, la difesa della proprietà intellettuale e della privacy, senza parlare degli aspetti riguardanti tutte le trasformazioni attuate e quelle ancora in embrione sul mercato del lavoro.

La penetrazione delle nuove tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni sta trasformando radicalmente l’economia e la società, il modo di produrre e di consumare, la struttura e l’organizzazione delle imprese. La conseguenza è che la crescita socio-culturale di fette sempre più ampie di popolazione, le mutate condizioni del mercato con l’intensificazione di fattori commerciali, l’affermazione della telematica e di mezzi di comunicazione sempre più sofisticati, provoca una decisa evoluzione del concetto di comunicazione: non più intesa come semplice processo di trasmissione di informazioni a prevalente carattere commerciale, ma come capacità organizzativa di acquisire consenso nel sociale [3].

L’attuale rivoluzione tecnologica, con l’avvento della società dell’informazione, sta evidenziando la necessità di rendere ogni attività più efficace ed efficiente e scatena, quindi, le forze dell’innovazione in un sistema competitivo reso ormai globale per tutte le imprese, grandi e piccole [4].

In questa sede, oltre a descrivere brevemente l’argomento relativo all’evoluzione della comunicazione delle informazioni, prendendo spunto dall’attuale processo di sviluppo delle tecnologie informatiche e di globalizzazione, cercheremo anche di delineare un quadro del mercato dell’editoria in Italia analizzando quanto tale mercato rivesta caratteri di democraticità e soffermandoci anche su alcune implicazioni che riguardano il mercato del lavoro.

 

 

1. Cittadini e informazioni: La comunicazione come risorsa

 

La comunicazione è stata definita [5] un caso particolare di trasporto di una certa entità, detta informazione che ne costituisce il prodotto. Per i teorici della comunicazione il termine “informazione” indica un “segnale organizzato”, mentre generalmente per informazione si intende qualcosa che sia comprensibile e interpretabile.

La crescita dell’informazione pubblicata è diventata un serio problema a partire dalla fine della II guerra mondiale al punto che al fenomeno è stato dato il nome di “esplosione dell’informazione”. La nostra civiltà è, infatti, caratterizzata da una crescita esponenziale dei documenti e semi-documenti che produce [6]. Questo smisurato aumento dei documenti è dovuto alla produzione proveniente dalle diverse strutture culturali, economiche, industriali, istituzionali ed il settore pubblico è forse tra i più grandi produttori di informazioni che interessano sia il settore privato che i cittadini.

Alla pluralità di soggetti produttivi di informazione si affianca un parallelo aumento delle richieste di accesso all’informazione.

La mole eccessiva di documenti prodotti si accompagna d’altro canto ad un rapido processo di decomposizione degli stessi. Questa sovrabbondanza di informazione richiede perciò dei sistemi selettivi di conservazione e lettura.

In quest’ottica la pietra miliare nella storia delle comunicazioni è senza dubbio rappresentata dall’avvento del computer e dall’utilizzo delle tecniche di comunicazione conosciute per estenderne la potenza al di là della stanza in cui lo stesso è contenuto.

Agli inizi del 15° secolo Gutenberg ha rivoluzionato il mondo rendendo possibile la diffusione del sapere attraverso la stampa. Oggi con la comparsa di computer multimediali, i libri sembrano essere sostituiti da floppy disk e CD-Rom, che permettono di archiviare non solo testi, ma anche suoni e immagini fisse o in movimento. Le nuove tecniche offrono numerosi vantaggi per gli utilizzatori costituendo un buon supporto per gestire complesse informazioni in maniera da poter essere utilizzate in campi differenti (educazione, medicina, industria) e per diverse applicazioni.

Questo significa, in altre parole, che viene sempre più affermandosi la c.d. “società dell’informazione”: una società che offre ad ognuno un ammontare di informazioni di tutti i generi e qualità, spesso in formati non tradizionali che fanno riferimento a immagini e multimedia [7]. La società dell’informazione trae, quindi, la propria linfa vitale dalle opportunità via via offerte dalle moderne tecnologie dell’informazione, opportunità che costituiscono la base di uno sviluppo globale in cui anche il nostro paese dovrà trovare una propria collocazione.

La nostra società è del resto definita spesso come “post-industriale”, nel senso che tende verso la creazione di sistemi economico-sociali in cui predominano la gestione e il trattamento dell’informazione sulla manipolazione di beni materiali [8]. Tra le sue caratteristiche più rilevanti, lo sviluppo dell’automazione e del terziario sono quelle che vengono indicate con i maggiori consensi, come sicuri trend per gli anni a venire.

L’informazione viene, così, ad assumere una centralità ed un ruolo chiave, divenendo un bene e/o la risorsa principale di produzione, scambio e consumo mentre la conoscenza e la cultura, avvalendosi delle nuove tecnologie informatiche ed elettroniche, riescono a migliorare la gestione e la razionalizzazione di molti settori di attività economico-sociale.

Da qui la rilevanza del fattore “innovazione” sia tecnologico che organizzativo. Le nuove tecnologie, infatti, facilitando e ampliando la sfera dell’offerta e della domanda di nuovi servizi e/o prodotti finiscono con l’avere un impatto rilevante su tutto il sistema sociale e ambientale interessando il singolo, riuscendone a modificare abitudini, costumi e stili di vita.

L’informazione diventa oggetto di prima necessità e in cambio gli oggetti di prima necessità assumono il carattere di informazione. Come sostiene McLuhan, l’apprendimento e la conoscenza diventano sempre più importanti e grazie alla tecnologia elettronica, tutte le forme di impiego sono la risultante del movimento dell’informazione.

A tale proposito ci si può domandare se le nuove tecnologie possano rappresentare una occasione di sviluppo: in realtà il fulcro di questa fase di sviluppo è strettamente collegato alla consacrazione dell’ultima figlia del mercato, la merce immateriale per eccellenza: la merce informazione.

Infatti quando si parla di informazione si fa riferimento alla categoria delle risorse intangibili [9]: quelle risorse che “pur non riflettendo una misura tangibile della gestione economica aziendale sono di fondamentale importanza per la vita e l’evoluzione armonica nel lungo periodo del sistema aziendale”. L’informazione è quindi, in quest’ottica, risorsa tanto quanto lo sono il lavoro e il capitale e risulta determinante per i processi di incremento valoriale d’impresa e dell’intero sistema capitalistico.

L’informazione non è più fine a se stessa e da questo nasce una crisi epocale per cui, ad esempio, il giornalista diventa un funzionario d’azienda mentre il destinatario della notizia è visto come un semplice consumatore. Poiché l’informazione diventa un fatto produttivo ed economico, la libertà di stampa viene ad essere fondata sul puro profitto e subisce delle forti restrizioni: è una libertà con i limiti che il mercato le impone. Il giornalismo di massa tende a conquistare un più largo mercato e di conseguenza a peggiorare i suoi contenuti, trasformando l’utente in un consumatore che bisogna catturare a tutti i costi [10].

Si può quindi affermare [11] che l’informazione è diventata negli ultimi anni un vero e proprio input di straordinaria importanza, inserito nel processo decisionale ma nello stesso tempo anche un output che contribuisce in maniera essenziale a svolgere la mobilitazione di risorse per creare redditività e distribuire il bene o il servizio prodotto.

 

Oggi il cittadino-utente è sempre più avido di informazioni e la disponibilità delle stesse misura in qualche modo il funzionamento e l’ampiezza della democraticità del governo-produttore.

Tuttavia, per le sue caratteristiche, la società dell’informazione tende ad emarginare chi meno conosce e chi non può, non riesce o non vuole apprendere e utilizzare le nuove tecnologie. E’ paradossale che, accanto ad una sovrabbondanza di informazioni, molte delle quali superflue, si corra il rischio di un’accentuazione della dicotomia tra chi sa e chi non sa, chi ha e chi non ha. E’ necessario perciò superare una visione eccessivamente “mercantilistica” della società dell’informazione. Oggi si tratta di gestire la società in condizioni di sovrabbondanza di informazione, di rapida obsolescenza, in una fase in cui diventa essenziale accrescere la densità di comunicazioni, relazioni, transazioni. Per questo motivo occorre che l’Europa, e soprattutto l’Italia, punti decisamente sull’alfabetizzazione informatica diffusa [12].

L’alfabetizzazione [13] rappresenta, infatti, lo snodo principale per un impegno istituzionale e culturale. Una indagine promossa dal Cnel ha analizzato a fondo il problema della dotazione di strumenti informatici presso le scuole italiane facendo emergere che, in base ad un campione di studenti delle scuole superiori, risultano esserci in media in Italia 35 utenti per computer

A tale proposito sembra interessante riportare alcune cifre sulla situazione italiana per ciò che riguarda la formazione scolastica. Stando al Rapporto Istat del 1998 in Italia negli ultimi 30 anni la scolarità complessiva è molto cresciuta in termini assoluti, ma non tanto quanto sarebbe necessario per competere con il livello raggiunto dai principali paesi europei. La quota dei cittadini che hanno conseguito un titolo di scuola secondaria superiore risulta inferiore alla media dei paesi dell’OCSE, mentre a livello di istruzione universitaria, dove confluiscono il 68% dei diplomati, i risultati sono altrettanto poco confortanti.

Sembra ovvio, ma è importante sottolinearlo, che l’alfabetizzazione informatica passa anche attraverso una scolarità di livello e qualità elevati e adeguati a quella degli altri paesi europei.

-----

In questo processo anche la P.A. è chiamata a giocare un ruolo determinante, soprattutto per quanto riguarda la garanzia della qualità delle informazioni. Questo ruolo deve essere interpretato, prima di tutto, fornendo le informazioni necessarie per permettere agli utenti di valutare l’idoneità dei dati in raffronto alle loro esigenze. Ciò diventa sempre più necessario in una situazione dove vanno aumentando i segnali informativi indirizzati ai cittadini privati ed ai singoli operatori economici [14].

Per questo, dopo un lungo periodo in cui la propaganda e l’immagine hanno sostituito il diritto ad essere informati, la comunicazione pubblica ha rimesso il cittadino e i suoi bisogni al centro di ogni processo.

Le profonde trasformazioni che stanno interessando la P.A. riguardano anche l’aspetto tecnologico della diffusione delle informazioni: questo vuol dire rendere possibile l’immissione e la gestione di grandi quantità di dati mediante le tecniche di archiviazione tramite database, e permettere lo sfruttamento delle possibilità multimediali che offrono le nuove generazioni di computer.

Per multimedialità si intende “la combinazione e integrazione tecnica-funzionale di diverse forme, tecniche e mezzi per il trattamento (normalmente digitale) dei diversi tipi di informazione, voce, dati, testi, grafici, immagini fisse e in movimento. Le applicazioni multimediali sono normalmente interattive e devono combinare il trattamento e la trasmissione di immagini con suoni, testi e grafici” [15].

La distribuzione delle informazioni, il trasferimento delle conoscenze tecniche e scientifiche, sono condizioni di base per recuperare la competitività. Le reti europee di comunicazione ad alta velocità (che siano cioè in grado di introdurre i nuovi servizi multimediali che integrano le trasmissioni di dati e immagini con i video filmati) sono, tuttavia, ancora frammentate.

Lo sviluppo dei prodotti è sempre più strettamente collegato a quello dei processi di produzione e la P.A. è un attore importante per la diffusione dell’innovazione. La qualità e la velocità nell’erogazione dei servizi pubblici non può prescindere dalla costituzione di una rete di comunicazioni per lo scambio di dati, testi, documenti fra gli uffici dell’amministrazione e fra questi e gli utenti.

Questa nuova idea di comunicazione ha dovuto ricorrere a quelle tecnologie che le permettessero di essere rapida, tempestiva e facilmente utilizzabile. Non a caso il governo italiano ha deciso di investire nella P.A. per il 1997-1999 ben 13.590 miliardi [16].

Sempre in base al Rapporto Istat del 1998, nel corso del 1996 le amministrazioni pubbliche hanno mostrato, in complesso, comportamenti conformi con le linee strategiche elaborate dall’Autorità per l’informatica nella Pubblica amministrazione (AIPA), istituita nel 1993 con il compito di promuovere, coordinare e pianificare lo sviluppo dei sistemi informativi automatizzati. Il numero delle postazioni di lavoro informatizzate è aumentato di oltre il 50%. In generale le esperienze innovative realizzate dalle amministrazioni locali sono di due tipi: il collegamento telematico con archivi di altri enti e la creazione di sportelli self-service distribuiti sul territorio. Nel nostro paese, le esperienze di attivazione di servizi telematici da parte degli enti pubblici locali rimandano a due tipi di soluzioni diverse: il sistema orientato a Internet, aperto all’intera rete e il sistema che forma un network a sé stante circoscritto alla realtà locale (rete civica).

Da una rilevazione Istat del marzo 1998 (vedi tab. 1) risulta che 623 comuni su 8.102 (7,7%) dispongono di un sito Internet, di cui 94 capoluoghi di provincia su 103 (oltre 91%) [17]. (tab. 1).

 

Gli utenti in grado di accedere a queste nuove modalità di servizio sono solo quelli attrezzati, cioè le persone che hanno un PC ed un collegamento ad Internet.

Stando alle cifre circa il 17% delle famiglie italiane dispone di un personal computer e solo il 2,3% di un accesso ad Internet. L’indice di penetrazione di Internet nelle famiglie che hanno un PC è dunque circa il 13% mentre in altri paesi europei è molto più alto (nel Regno Unito è 4,5 volte quello dell’Italia, in Francia 3,5 volte). A conferma di questi dati si vedano le tabelle nn. 4, 5, 6 e 7 seguenti.

La convergenza tra i settori delle telecomunicazioni, televisivo e informatico ha dato origine ad una diversa organizzazione della società, strettamente legata alla diffusione delle informazioni, indicata, come già accennato in precedenza, in “società dell’informazione” [18].

La “società dell’informazione” che sta emergendo in questi anni recenti, è caratterizzata da una gestione, una qualità ed una velocità dell’informazione tali da rappresentare i fattori chiave per una maggiore competitività.

Tra le innovazioni tecnologiche che, soprattutto nell’ultimo decennio, hanno reso possibile l’avvento della “società dell’informazione” va ricordato il passaggio dalla tecnologia analogica (conversione del segnale in onde elettromagnetiche) a quella digitale. La digitalizzazione delle informazioni, infatti, oltre all’elevato livello di comprimibilità dei dati, permette un miglioramento quantitativo e qualitativo della capacità di trasmissione sviluppando le modalità di elaborazione dei dati [19].

Con l’avvento dei moderni macchinari di data-processing, gli utenti sono ora in grado di utilizzare nuove tecniche per l’elaborazione dei dati. Ciò contribuisce alla creazione di nuove teorie, metodologie e, soprattutto all’incremento della domanda orientata ad una maggiore quantità di dati disponibili.

L’informatica ha messo a disposizione gli strumenti e le conoscenze necessarie per affrontare in modo totalmente rivoluzionario il problema del reperimento delle informazioni.

L’interattività, che caratterizza la comunicazione via Internet, sta inoltre capovolgendo il concetto stesso di informazione. Ogni navigatore della rete può, in qualsiasi momento, diventare a sua volta fornitore di informazioni per gli altri, in un gioco continuo di scambio di impulsi che è ben rappresentato dal concetto di rete. La rete rappresenta sicuramente un ottimo strumento per diffondere le informazioni e ampliare la democrazia; tuttavia la maggior parte dell’attenzione dei visitatori e delle aziende che fanno pubblicità si concentra su pochi grandi nomi. Un altro grosso problema riguarda l’esclusione di interi gruppi di cittadini nonché di interi paesi dalle potenzialità commerciali e sociali della rete. Non è un caso che molti governi di stati poco avanzati dal punto di vista tecnologico stiano impegnando grosse risorse per collegare alla rete scuole e aziende [20].

Nel 1976 Marc Uri Porat credette di poter dimostrare che l’intera società americana era divenuta una “economia dell’informazione”: la percentuale elevata di lavoratori dell’informazione (cioè coloro che producono o manipolano la conoscenza: insegnanti, uffici studi, servizi telematici, mass media, etc.) è d’altra parte considerata come caratteristica del passaggio ad una società post-industriale [21].

La terziarizzazione, la flessibilizzazione dell’economia e la ristrutturazione capitalistica, tipiche della società post-industriale, hanno provocato in questi ultimi anni un numero sempre crescente di lavoratori “atipici” che sono costretti, a causa della mancanza di lavoro regolare, ad accettare ogni sorta di occupazione con forti connotati di flessibilità delle mansioni e flessibilità oraria [22]. Ad esempio, la rilevata maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro è una conseguenza della flessibilità, un fenomeno che si accompagna ad alti livelli di precarizzazione, ad un peggioramento delle condizioni di lavoro, ad accettare lavori non garantiti.

Dai dati Istat dell’aprile 1999 sulle forze lavoro emerge che il progresso congiunturale dell’occupazione è attribuibile essenzialmente all’espansione del settore terziario.

Il settore terziario continua a rappresentare il volano dell’occupazione complessiva, confermando una dinamica espansiva che si era già registrata alla fine dello scorso anno.

L’allargamento della base occupazionale ha beneficiato della nuova forte crescita dell’occupazione a termine la cui incidenza sul totale degli occupati alle dipendenze è passata in un anno dall’8,6% al 10,6%. La diffusione del lavoro temporaneo si è incrementata in particolare nel Nord (dal 6,7% del 1998 al 9,3 del 1999) e nel settore dei servizi (dall’8% al 10,5%). Sul piano delle caratteristiche demografiche è soprattutto tra i giovani dai 15 ai 29 anni e fra le donne che l’occupazione temporanea è risultata in aumento.

La rivoluzione digitale, quindi, strettamente legata alla terziarizzazione dell’economia, pone problemi anche sotto il profilo dei lavori, delle professionalità e delle competenze. L’introduzione di tecnologie digitali all’interno dei giornali, per esempio, ha imposto un continuo aggiornamento a fotolitisti e compositori ed ha sconvolto la struttura interna delle case editrici, assottigliandone l’organico ed incentivando il decentramento delle varie fasi di lavorazione. La fase della progettazione grafica, quella della redazione e correzione bozze si spostano sempre più all’esterno delle case editrici. Da questa rivoluzione sono nati numerosi nuovi soggetti professionali che ora costituiscono i nuovi referenti per le case editrici: il tele-lavoro è così la nuova realtà lavorativa creata dalle nuove tecnologie di comunicazione via modem. A questi rapidissimi cambiamenti non corrispondono, purtroppo, ancora adattamenti adeguati delle normative che regolano il settore. La figura del prestatore d’opera occasionale è quanto di più indefinito esista nei vari regolamenti. Di fatto viene incentivata la costituzione di ditte individuali con propria partita IVA, cosa che limita soprattutto l’ingresso nel mondo del lavoro di soggetti giovani.

Una conseguenza di questo processo di adattamento del mondo del lavoro alle mutate condizioni produttive è la perdita di posti di lavoro: infatti fra le caratteristiche delle nuove tecnologie c’è la distruzione di tutte le gerarchie intermedie senza alcuna sostituzione delle stesse.

La rivoluzione digitale riguarda tutto il mondo del lavoro e lo coinvolge in due modi essenziali: da una parte offre incrementi di produttività superiori a quelli possibili in assenza di nuove tecnologie (senza però dare una prospettiva rassicurante in termini quantitativi per l’occupazione), dall’altra ha in sé la capacità di deregolare tutte le norme finora esistenti a tutela del lavoro e dei lavoratori.

 

 

2. Mercato dell’informazione e democrazia

 

La società dell’informazione si basa sull’informazione in ogni sua forma, tipo e contenuto. In tale contesto l’informazione ha un effettivo valore, non solo economico ma anche strategico, sociale e funzionale. L’informazione è un bene, un patrimonio per un soggetto che la possiede e la tratta e su di essa si può fare del valore aggiunto nella catena del valore che, partendo dal suo contenuto, la porta all’utente finale nella forma, nel momento e con lo strumenti desiderati [23].

In realtà a tutto il sistema dell’informazione è possibile attribuire la nozione di “pubblica utilità”, nel senso che i prodotti che ne derivano sono offerti all’opinione pubblica, sia pure in cambio di un valore economico che il mercato giudica equo; e altresì nel senso che i contenuti di tali prodotti si riferiscono a materia di pubblica utilità. Per questo la natura stessa della democrazia politica ed economica di una società moderna non potrebbe sussistere se mancassero tali prodotti e il senso ad essi attribuibile [24], anche se ciò non risolve l’apparente contraddizione del carattere privato delle fonti da cui tali prodotti scaturiscono: questa contraddizione costituisce, del resto, uno dei tanti livelli di complessità del sistema attuale dell’informazione.

Le nuove tecnologie informatiche coinvolgono l’intero settore della comunicazione e dell’informazione e quindi anche quello dell’editoria. Esiste però a questo proposito il problema delle grandi concentrazioni economiche e finanziarie che fa presumere che il processo legato allo sviluppo tecnologico conduca il settore editoriale ad operare secondo logiche strettamente di mercato anzichè legate alla qualità del prodotto. Per questo è stato detto, e ci sembra giusto riaffermarlo, che all’interno del settore editoriale, come in altri punti strategici della comunicazione, c’è bisogno di regole ed indirizzi per capire qual è il tipo di sviluppo e di democrazia che si vuole dare all’interno dell’informazione. Importante e fondamentale è, quindi, il rispetto dell’articolo 21 della nostra Costituzione, per la democrazia del nostro Paese affinché le idee e la conoscenza siano un bene accessibile a chiunque.

Può essere interessante, allora, andare a vedere come è strutturato il mercato dell’informazione (quello cioè in cui le informazioni vengono scambiate), quanto sia realmente concorrenziale, quali siano gli attori fondamentali che lo alimentano.

Innanzitutto va detto che, come per altri tipi di mercato, anche su quello dell’informazione agiscono una domanda ed un’offerta, caratterizzata ciascuna da attori ben determinati.

Sul versante della domanda possiamo distinguere 2 filoni principali: quello degli enti e delle imprese (utenti di informazioni) e quello dei cittadini-utenti, che costituiscono la c.d. domanda domestico-individuale.

Sul lato dell’offerta possiamo invece individuare accanto ai media tradizionali (TV, radio, quotidiani e periodici, libri) il fenomeno Internet.-----

Interessante è notare come i due principi alla base dell’efficienza dei mercati e dell’allocazione delle risorse da parte del sistema dei prezzi (diritto di proprietà ed escludibilità del consumo di un bene) non valgano più in un’economia in cui ciò che ha valore non è un bene ma un’informazione, che può essere trasmessa su Internet a costo nullo da chi la ottiene e può essere contemporaneamente utilizzata da molte persone in qualunque località fisica. Naturalmente esistono modi per ripristinare l’efficienza di mercato, ad esempio leggi e meccanismi che possano ripristinare quelle caratteristiche di proprietà ed escludibilità non più garantite dalla natura fisica del bene informazione. Internet, quindi, così come tutta la tecnologia che avanza richiede strumenti di analisi economica e leggi che evolvano con essa.

 

La domanda di informazioni è riconducibile a due soggetti fondamentali: quello degli enti e delle imprese, utenti dell’informazione, e quello dei singoli individui.

Un terzo della popolazione con più di 14 anni è costituita da consumatori multi-mediali, i quali abitualmente nel loro rapporto col mondo integrano l’uso di qualsiasi tipo di media [25]. D’altro canto quasi il 40% della popolazione con più di 14 anni è costituita da consumatori mono-mediali, nel senso che abitualmente nel loro rapporto col mondo utilizzano quasi solo ed esclusivamente la televisione. Nel corso del 1997 la tradizionale piramide con al vertice gli utenti di Internet ed alla base la vasta platea di spettatori televisivi si è modificata. Gli internauti, così come gli utenti di Cd-rom sono infatti raddoppiati, mentre gli utenti dei media tradizionali tendono a rimanere costanti o a diminuire.

La televisione continua comunque a rimanere il grande gigante incontrastato che domina il sistema della comunicazione nel nostro paese.

Anche se le cose stanno leggermente cambiando, nel senso che il sistema Italia si muove, se pur lentamente, verso la società dell’informazione e dei new media telematici, tuttavia il rapporto con i media nella grande maggioranza dei casi è ancora costituita nell’ordine da: televisione, radio, settimanali, periodici e quotidiani, cinema e libri.

Tuttavia va registrata, allo stato attuale, una perdita di credibilità dell’intero sistema informativo ed un conseguente calo di lettori di quotidiani e periodici: questi sono solo alcuni degli elementi più visibili e macroscopici delle difficoltà che sembrano aver colpito il sistema dell’informazione. In realtà c’è una crisi generale dell’industria editoriale a cominciare dalla carta stampata confinata in un angolo dall’informazione televisiva. Anche quest’ultima, paradossalmente, non viene agevolata dalla nuova situazione: la crescente mole di immagini omologate che le grandi agenzie mondiali dell’informazione producono ogni giorno ad uso e consumo dei telegiornali, inibiscono le capacità e le volontà di approfondire in modo originale ed inedito gli argomenti trattati. Ma la vera novità culturale è rappresentata dalla comunicazione elettronica e virtuale di Internet. La rete delle reti ha trasformato il pubblico dei lettori passivi in una sterminata massa di editori potenziali.

 

Per quanto riguarda l’offerta di informazione, una lettura dei dati sul mercato dell’editoria italiana a fine 1996 mostra una concentrazione delle imprese editoriali prevalentemente nel Nord Italia. L’impresa editoriale “tipo” italiana è una società di capitali che si occupa di libri o opuscoli di vario genere, ed ha una diffusione (del prodotto) comunale; inoltre la dimensione media (misurata dalla classe di addetti) è quella della piccola impresa (al di sotto dei 10 addetti).

Al Nord dove risulta concentrato oltre il 50% delle imprese editoriali italiane prevale un modello di impresa che è molto vicina a quella “tipo” appena descritta. Ci si allontana da questa figura, invece, al Sud dove la forma giuridica prevalente è quella dell’impresa individuale.

La dimensione media dell’impresa editoriale conferma la specificità del tessuto produttivo italiano che presenta una dimensione media aziendale nettamente più ridotta di quella prevalente nell’area UE. Il sottodimensionamento relativo delle imprese industriali e dei servizi italiane dipende solo in parte dalla diversità tra le strutture produttive, essendo sistematicamente verificato in tutti i principali comparti di attività economica [26].

Secondo il Rapporto 1994 sulla Piccola editoria, la debolezza dei piccoli editori non dipende tanto dalla loro dimensione o dal fatto di operare in un mercato in cui sono circondati da editori forti, quanto dal fatto che avendo scarse risorse - solo il 4,7% ha ricevuto negli ultimi tre anni agevolazioni di qualche tipo (credito agevolato, premi all’export o per opere di elevato valore culturale) - ed essendo oberate da oneri finanziari crescenti, non possono compiere quegli investimenti che si renderebbero necessari per attuare alcune scelte strategiche fondamentali.

Sull’andamento del mercato editoriale incidono ed hanno inciso numerosi fattori: il settore è stato per decenni gestito, in particolare il comparto dei quotidiani, secondo logiche essenzialmente politiche.

La mappa dei gruppi editoriali non ha registrato significative variazioni dall’inizio degli anni ‘90 ad oggi. Nonostante l’elevato numero di imprese operanti al suo interno, il mercato editoriale italiano presenta elevati indici di concentrazione, in ragione dell’esistenza e dell’ampiezza dei grandi gruppi multimediali, che realizzano alte quote di mercato contemporaneamente su più settori (Tab. 16) [27]. Nel settore dell’editoria quotidiana le 5 principali imprese editrici (RCS editoriali quotidiani, Editoriale La Repubblica, Editrice Il Messaggero, Poligrafici Editoriale, Editrice la Stampa) realizzano oltre il 40% della diffusione totale. Nel settore dei settimanali i 6 principali editori (Arnoldo Mondadori, RCS Rizzoli Periodici, Silvio Berlusconi editore, Periodici San Paolo, Casa editrice Universo) assorbono circa l’85% della diffusione totale, mentre agli altri 11 resta il 15%.

Sempre sul versante dell’offerta di informazione vanno ricordate radiofonia e televisione .

In Italia il servizio pubblico RAI dispone di 3 reti radiofoniche nazionali ripetute in AM e FM.

Per quanto riguarda i soggetti privati si ritiene che le radio che trasmettono in maniera non saltuaria non siano più di 2500 e quelle con una rilevanza economica circa 700. Le radio nazionali di natura commerciale sono 10.

Dai bilanci consuntivi del 1991 risultava che solo 52 emittenti avevano un bilancio con fatturato superiore ai 700 milioni e ricavi complessivi di 109 miliardi con un’incidenza della pubblicità dell’80%.

L’esperienza dell’impresa radiofonica in Italia mostra che:

L’impresa radiofonica presenta dimensioni modeste e carattere diffuso;

I fenomeni di concentrazione propri della televisione non sono presenti;

Una parte rilevante delle emittenti minori vive ai margini del mercato o non ha una dimensione e una filosofia d’impresa; sopravvive con un ampio ricorso al volontariato ma anche con ampie sacche di lavoro sottopagato.

 

Da circa un decennio, in Europa e negli USA, è avvenuta una progressiva trasformazione della comunicazione, soprattutto televisiva, che ha privilegiato e si è sviluppata intorno ad un binomio globale da un lato elocale dall’altro. La comunicazione televisiva risulta così orientata in termini di scenari internazionali o in una dimensione locale, sia con riferimento ai mercati, al tipo di programmazione, all’individuazione dei pubblici e quindi di destinatari dei messaggi televisivi.

Appare oggi necessario definire le strategie che attualmente caratterizzano il flusso di informazione.

A questo proposito emerge una crescente e quasi incontrollata autoreferenzialità: sempre più spesso il sistema dell’informazione si propone come una rete chiusa che si autoalimenta. Lo stato di iperinformazione, poi, non favorisce, o rende problematico, un qualsiasi momento di approfondimento e per questo si avverte la necessità di immaginare un’offerta forse più limitata nei suoi aspetti quantitativi ma in grado di offrire una pluralità di formati e prodotti e di rivolgersi a pubblici specifici non necessariamente ampi e comunque non definibili secondo parametri esclusivamente quantitativi [28].

Alla fine del 1993 la RAI, come gran parte dei gruppi di comunicazione italiani, si trovava in una situazione di profonda difficoltà economica e crisi strutturale. In quanto servizio pubblico direttamente legato al sistema politico-amministrativo, la RAI subiva gli effetti destabilizzanti delle turbolente trasformazioni che caratterizzavano il paese in quegli anni. Sottoposto a continui attacchi e valutazioni, anche sul senso della sua stessa esistenza, il servizio pubblico attraversava nel periodo 1992-94 uno dei più difficili della sua storia.

La Rai vive, infatti, tuttora una doppia realtà sia sul piano delle fonti dei propri ricavi (canone e pubblicità) che la obbligano a competere come impresa sul mercato televisivo, sia sul piano della propria missione istituzionale in quanto deve comunque operare come servizio pubblico.

A partire dal 1994 la TV pubblica è entrata direttamente nell’arena dei nuovi servizi di TV a pagamento: oltre a diffondere le proprie trasmissioni via satellite (Rai1 e Rai2 su Hot Bird 1 e Rai3 su Eutelsat II F1) la Rai ha puntato ad incrementare la sua presenza internazionale con la creazione di Rai International che gestirà il prodotto Rai sui mercati esteri [29]unicazione in Italia - 1996”, Guerini e Associati, 1996..

 

All’interno del mercato dell’informazione un posto particolare merita Internet.

Internet è una rete storicamente nata verso la fine degli anni ‘60 presso l’ARPA (Advanced Research Projects Agency), una sezione del Dipartimento della Difesa americano, che iniziò a sovvenzionare i dipartimenti informatici di molte Università americane per la creazione di una rete multinodale. Il risultato fu la definizione di un protocollo di comunicazione (TCO/IP) che oggi rappresenta la struttura portante di Internet [30]. La rete può essere considerata come il precursore delle autostrade dell’informazione. L’elemento centrale alla base del successo ottenuto è stato l’ipertesto, reso fruibile dal web e dai browser che consentono a tutti di navigare tra milioni di informazioni di ogni genere [31].

Con Internet è nato un nuovo soggetto media che ha caratteristiche innovative così forti da mettere in discussione i tradizionali modi di comunicare. La prima sostanziale differenza tra la rete e i media tradizionali è la sua assoluta deregulation: tutti possono diffondere messaggi e proposte in modo democratico senza che debba essere rispettato il principio basato sui parametri investimento/risultato.

La seconda differenza è l’assoluta mancanza di barriere di accesso al comunicare [32].

Dal punto di vista economico l’aspetto forse più innovativo di Internet è la sua affermazione quale canale commerciale tra aziende (business to business) e tra aziende e clienti individuali (business to consumer)  [33] tanto che il prossimo sviluppo del commercio elettronico sarà sicuramente una valvola di sfogo sulla quale convergeranno molto i budget pubblicitari (Fig. 1) [34].

Senza soffermarsi sugli aspetti e le dimensioni del fenomeno business to business, che presenta indubbiamente una crescita enorme rispetto al business to consumer, è interessante sottolineare come sia proprio quest’ultimo a caratterizzare il mercato dell’informazione via Internet. Ed infatti i clienti che acquistano via Internet ricercano prodotti ricchi di contenuto informativo: viaggi turistici, libri o prodotti software. Internet si configurerebbe perciò più come un aggregato di mercati di nicchia (micromercati di massa) che non come un generico e illimitato supermercato elettronico.

-----

 

3. Conclusioni

 

La società del 2000 si caratterizza per una forte prevalenza dei servizi che, secondo le previsioni, raggiungeranno presto nei maggiori paesi industrializzati livelli che potrebbero aggirarsi sul 70% e più dell’occupazione totale: milioni di giovani stanno già subendo gli effetti del profondo cambiamento tecnologico, economico e sociale che tutto ciò comporta.

La tendenza delle economie occidentali (USA ed Europa) a sperimentare un crescente ruolo del settore dei servizi, rispetto all’industria e all’agricoltura, nella formazione del proprio prodotto nazionale è un fenomeno in atto sin dagli anni ‘70. Tale tendenza si è rafforzata negli ultimi 30 anni tanto è vero che negli anni 80-90 più dell’80% della crescita del PIL statunitense e più del 77% della crescita del PIL britannico sono stati generati dal settore dei servizi.

I fattori tecnologici hanno, infatti, assunto, in questi ultimi anni, e vanno assumendo un rilievo strategico del tutto nuovo, tanto da poter dire che se la forma economica è il mercato la forma tecnologica è la rete [35].

Anche il mercato dell’informazione partecipa a questa ondata di cambiamenti e, come era logico dedurre, non ne esce immune.

C’è sicuramente un lento ma graduale spostamento dell’editoria verso forme che prediligono l’informatica e la multimedialità, anche se le cifre descrivono un fenomeno ancora al di là dall’essere generalizzato. Anzi, quello che spesso emerge è una forte discriminazione culturale delle nuove forme di trasmissione delle informazioni; questo perché la tecnologia va troppo veloce rispetto alla capacità di apprendimento dei singoli, ma anche e soprattutto rispetto alla capacità di assimilazione di certi strumenti come normali all’interno delle proprie abitudini di vita. E’ importante che l’evoluzione dei processi in atto non conduca a creare accanto ad una élite ristretta, a cui è riservata la produzione e la fruizione della “cultura”, una grande massa a cui verranno invece destinati quei messaggi informativi, comunicativi e culturali che saranno decisi esclusivamente dalle grandi imprese e dai pochi monopoli esistenti.

Comunque l’editoria on-line assumerà un ruolo realmente importante, anche dal punto di vista del rastrellamento pubblicitario, quando si saranno veramente realizzate forme avanzate di integrazione con i media tradizionali (TV e radio) e con la stessa gamma dei prodotti off-line (cd-rom e prodotti per uso professionale o didattico).

Qualunque analisi sul futuro non può, però, prescindere dai processi di convergenza attualmente in atto e che si stanno realizzando su diversi fronti.

Innanzitutto a livello industriale ed economico con l’integrazione verticale e orizzontale delle imprese interessate al settore della comunicazione. L’altro livello interessato dai processi di convergenza riguarda i nuovi media ed i fruitori: le nuove tecnologie non sradicano quelle precedenti ma, al contrario, si integrano reciprocamente. Quindi non muterà l’intero scenario dell’informazione mondiale: occorrerà però ricorrere a strumenti tecnologici e cognitivi più o meno nuovi in mutate condizioni industriali per offrire il prodotto “informazione” non molto dissimile da quello che conosciamo da sempre.

Il futuro dell’informatica sembrerebbe inoltre consistere nella fine dell’era del personal computer. Ciò non significherebbe la scomparsa del PC dal mercato ma solo la fine del suo ruolo centrale in favore di nuovi paradigmi basati sulla massificazione della telematica. Il futuro, infatti, dovrebbe essere caratterizzato dalle modalità di connessione e da come si affronteranno nei prossimi business le risorse online. Tutto ciò non sarà guidato dai PC ma dal world wide web [36]. Si calcola, infatti, che nel 2005 il mercato dei “cable modem” - cioè degli apparecchi che consentiranno di integrare telefonia, televisione ed Internet - varrà 4 miliardi di dollari e che la crescita sarà esponenziale nei primi 10 anni di operatività [37].

Le tecnologie di trasmissione satellitare attualmente in fase di sperimentazione manifestano grosse potenzialità. Le reti satellitari di telecomunicazioni sembrerebbero in grado, in prospettiva, di offrire all’utente la possibilità di comunicare con un qualsiasi abbonato della rete. Tali infrastrutture potrebbero diventare in un prossimo futuro, se non proprio concorrenti di quelle tradizionali, sicuramente complementari in grado di offrire, da e per qualsiasi parte del mondo, anche la trasmissione di dati.

L’avvento della multimedialità distribuita permetterà, quindi, la diffusione di informazioni multimediali in modo interattivo e delocalizzato; il futuro potrebbe, perciò, ricordare Internet come uno dei grandi passi che gli strumenti di espressione hanno compiuto insieme all’invenzione dell’alfabeto, della stampa, del cinema, della televisione.

Internet, secondo un’affascinante ipotesi figurativa, viene rappresentata come un unico, grande CD-Rom sparso nel mondo per cui le nuove reti rappresenteranno il tessuto connettivo, che raggrupperà i futuri archivi multimediali in un’unica biblioteca virtuale, a disposizione di tutti, linfa vitale della futura informazione.

Tutto ciò, dopo i grandi processi di riconversione industriale e di ristrutturazione ad alto contenuto tecnologico innovativo avvenuti nel corso degli anni ‘80, apre nuove possibilità di sviluppo ed evoluzione del sistema azienda [38].

Tuttavia il quadro che si sta delineando dell’evoluzione dell’impresa di comunicazione non fa ben sperare: si assiste infatti ad una totale finanziarizzazione, ad una concentrazione multimediale ed ad un grande processo di disarticolazione e ricomposizione del processo produttivo. Da un lato viene disarticolata l’organizzazione del lavoro e con essa la capacità di controllo e di contrattazione da parte dei lavoratori e delle loro organizzazioni, dall’altro aumenta il controllo ed il potere aziendale sull’organizzazione, sul processo produttivo e sul prodotto.

L’attuale globalizzazione dei mercati e la competitività totale, insieme con i processi di riorganizzazione tecnologica e i limiti dello sviluppo, ha eliminato il circolo virtuoso che legava l’occupazione allo sviluppo. Nella società attuale la scelta del mercato come regola unica porta solo all’abbattimento dello stato come luogo di convivenza e rende totalmente libera e priva di responsabilità sociali l’impresa finanziarizzata e senza vincoli territoriali. Lo Stato, che si definiva sovrano, viene sostituito dal mercato finanziario che non riconosce poteri sovrani. I valori della società nazionali, la sua cultura, sono sostituiti dai valori del mercato e lo stesso accade per le imprese che producono informazione e cultura. I processi di ristrutturazione, la disarticolazione produttiva, l’uso delle sinergie nei grandi gruppi, il proliferare dei services, sono le risposte alla logica della competitività che, in questo modo, prescinde totalmente dalla qualità del prodotto.

E’ quindi determinante porre al centro dell’attenzione il modo, e non solo la rapidità, con cui le nuove tecnologie cambiano i modelli organizzativi e le conseguenze che questo fenomeno induce concretamente negli operatori che producono la merce “informazione”.

Bisogna indagare e capire come incidono tutte queste mutazioni professionali, culturali e sociali sul modo di lavorare e quindi anche sul prodotto nella nuova società multimediale, e come si pongono le organizzazioni dei lavoratori di fronte a questo scenario.

Occorre a questo proposito ricordare come la totale “deregulation”, che ha caratterizzato la nascita e lo sviluppo del settore informatico, abbia portato alla creazione di un monopolio tecnologico/comunicativo nelle mani di una singola azienda (la Microsoft controlla l’80% del mercato dei sistemi operativi). Se viene lasciata al solo mercato la realizzazione della rete telematica, rete che sarà uno dei principali veicoli delle produzioni editoriali del prossimo secolo, si rischia di tagliare fuori molta parte del nostro paese e si condanna l’industria culturale a rifornire un bacino di utenti forse più stretto di quello rappresentato oggi dagli attuali lettori di libri tradizionali.

Una delle modalità più rilevanti di diffusione nell’uso di nuove tecnologie sta oggi nel loro perfezionamento attraverso l’applicazione a problemi e bisogni specifici. La sfida centrale del settore informatico è proprio quello di riempire lo spazio fra le potenzialità della tecnologia e le applicazioni concretamente utilizzate.

Così mentre l’interattività costituisce un caposaldo nella trasformazione in atto nel campo della comunicazione, l’informazione diventa una risorsa centrale sia per il fatto di allargare il suo confine aziendale al contesto economico e sociale sia poiché è dal suo razionale sviluppo che si ricreano nuovi e continui flussi informativi.

Quello che sembra necessario è perciò anche la ridefinizione di un vero e proprio diritto costituzionale a comunicare: perché la tutela della pluralità delle fonti oltre ad essere un diritto inalienabile è anche una necessità intrinseca dello sviluppo multimediale.

 

 

-----

 

BibliografiA

AA.VV. (1995),”Regioni e difesa dei diritti delle persone - VII Convegno nazionale di studi regionali, 17-18 febbraio 1995”, Consiglio regionale della Liguria.

“L’approdo multimediale. L’editoria nella tempesta digitale. Scenari per il futuro”, Convegno Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, Torino 15 gennaio 1996

http://www.rifondazione.it/conv1.html

ARISI Ester, MARRA Anna, Multimedialità, strutture di comunicazione e concorrenza, Rivista Il Mulino, 2/97.

CENSIS (1996), “29° Rapporto sulla situazione sociale del Paese-1995”, F.Angeli, Roma.

CENSIS (1998), “31° Rapporto sulla situazione sociale del Paese-1997”, F.Angeli, Roma.

CIANFLONE, Mario, Donofrio: Il web cambierà la società, Il Sole 24 ore, 14 maggio 1999.

CNEL (1997), “La tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia. Rapporto 1996”, (Forum per la Tecnologia dell’Informazione), Milano.

CNEL (1998), “La tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia. Rapporto 1998”, (Forum per la Tecnologia dell’Informazione), Milano.

DE VINCENTIIS Mauro (1997), “L’ufficio stampa”, Milano.

DUBOIS J.-E., GERSHON N. (1996), “The Information Revolution: Impact on Science and Technology”, Springer, Berlino.

DURAND Jean-Pierre, WEIL Robert (1989), “Sociologie contemporaine”, VIGOT.

ESCARPIT Robert (1979), “Teoria dell’informazione”, Editori Riuniti, Roma.

FONDAZIONE CENSIS (1997), “Internet di carta. Directory e comunicazione pubblica”, Roma.

FRANCHET Yves (1997), “Statistics for the 21st Century, in: Economic and Social canges in the 21st century: Statistical Implications”, Eurostat/Istat, Roma.

GALLINO Luciano, “E-society: la quarta discontinuità”, IF-Rivista della fondazione IBM Italia, n. 1/99.

HOFMANN Ernesto, PORCELLA Carlo, “Economia, cultura e tecnologia nel modello e-business”, IF-Rivista della fondazione IBM Italia, n. 1/98.

ISTAT (1999), Censimento intermedio dell’industria e dei servizi

http://cens.istat.it

ISTAT (1997), I conti degli italiani, Il Mulino.

ISTAT (1998), Rapporto sull’Italia. Edizione 1998, Il Mulino.

MARTUFI Rita, VASAPOLLO Luciano (1999), “Profit State, redistribuzione dell’accumulazione e reddito sociale minimo”, Napoli.

MELE Mario, “Nuovi mezzi per nuove risorse”, Il Sole 24 Ore, 4 maggio 1999.

OCCHIONERO M.F., GUARDIGLI M., MEMOLI R., VASAPOLLO L. (1996), “Il terziario avanzato in un futuro post-industriale”, CEDAM, Roma.

PIERSANTI Andrea, ROIDI Vittorio, (a cura di) (1999), “Giornalisti nella rete. Internet dentro e fuori le redazioni giornalistiche”, Roma.

PLATEROTI Alessandro, “Microsoft, intesa sul filo con AT&T”, Il Sole 24 Ore, 7 maggio 1999.

PUCCI Emilio (a cura di), (1996)”L’industria della comunicazione in Italia-1996”, Guerini e Associati, Torino.

ROLANDO Stefano (1995), “La comunicazione pubblica in Italia. Realtà e prospettive di un settore strategico”, Milano.

SEGATO Francesco, “La pubblicità in Internet”, IF-Rivista della fondazione IBM Italia, n. 1/99.

TROILO Francesca, ORLANDO Angela, “I giornali sono in crisi? Miglioriamoli”, OG - Informazione, Bimestrale del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, n. 1/1999.

STANCA Lucio, “Per una politica dell’innovazione tecnologica”, IF-Rivista della Fondazione IBM Italia), n. 1, 1994.

VASAPOLLO Luciano, “Nuove frontiere del capitale intangibile come risorsa strategica per il management aziendale del 2000”, International Review of Sociology, n.1, 1994.

ZULIANI Alberto, Economic and Social challenges to statistics in the 21st century, in: Economic and Social challenges in the 21st century: Statistical Implications, Eurostat/Istat, Roma, 1997.


[1] Mauro de Vincentiis, L’ufficio stampa, Milano, 1997.

[2] J.-E. Dubois, N. Gershon, “The Information Revolution: Impact on Science and Technology”, Springer, Berlino, 1996.

[3] Rita Martufi, Luciano Vasapollo, “Profit State, redistribuzione dell’accumulazione e reddito sociale minimo”, Napoli, 1999.

[4] “La tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia. Rapporto 1996”, (Forum per la Tecnologia dell’Informazione), Milano, 1997.

[5] Robert Escarpit, “Teoria dell’informazione”, Editori Riuniti, Roma, 1979.

[6] idem.

[7] Yves Franchet, Statistics for the 21st Century, in: Economic and Social canges in the 21st century: Statistical Implications, Eurostat/Istat, Roma, 1997.

[8] Sull’argomento si veda M.F.Occhionero, M.Guardigli, R.Memoli, L.Vasapollo, “Il terziario avanzato in un futuro post-industriale”, CEDAM, Roma, 1996.

[9] Rita Martufi, Luciano Vasapollo, “Profit State, redistribuzione dell’accumulazione e reddito sociale minimo”, Napoli, 1999.

[10] Francesca Troilo, Angela Orlando, “I giornali sono in crisi? Miglioriamoli”, OG informazione - Bimestrale del Consiglio Nazionale ordine Giornalisti, n.1/1999.

[11] Rita Martufi, Luciano Vasapollo, “Profit State, redistribuzione dell’accumulazione e reddito sociale minimo”, Napoli, 1999.

[12] “La tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia. Rapporto 1996”, (Forum per la Tecnologia dell’Informazione), Milano, 1997.

[13] Fondazione CENSIS, “Internet di carta. Directory e comunicazione pubblica”, Roma, 1997.

[14] Alberto Zuliani, Economic and Social challenges to statistics in the 21st century, in: “Economic and Social challenges in the 21st century: Statistical Implications”, Eurostat/Istat, Roma, 1997.

[15] “La tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia. Rapporto 1996”, (Forum per la Tecnologia dell’Informazione), Milano, 1997.

[16] “La tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia. Rapporto 1998”, (Forum per la Tecnologia dell’Informazione), Milano, 1998.

[17] Istat, Rapporto sull’Italia.Edizione 1998, Bologna, Il Mulino, 1998.

[18] Ester Arisi-Anna Marra, Multimedialità, strutture di comunicazione e concorrenza, Rivista Il Mulino, 2/97.

[19] Ester Arisi-Anna Marra, Multimedialità, strutture di comunicazione e concorrenza, Rivista Il Mulino, n. 2/97.

[20] Andrea Piersanti, Vittorio Roidi (a cura di), “Giornalisti nella rete. Internet dentro e fuori le redazioni giornalistiche”, Roma, 1999.

[21] Jean-Pierre Durand, Robert Weil, “Sociologie contemporaine”, Vigot, 1989.

[22] Rita Martufi, Luciano Vasapollo, “Profit State, redistribuzione dell’accumulazione e reddito sociale minimo”, Napoli, 1999.

[23] “La tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia. Rapporto 1996”, (Forum per la Tecnologia dell’Informazione), Milano, 1997.

[24] Rolando Stefano (a cura di), “La comunicazione pubblica in Italia. Realtà e prospettive di un settore strategico”, 1995, Milano.

[25] Censis, “31° Rapporto sulla situazione sociale del Paese - 1997”, F. Angeli, Roma.

[26] Istat, “Rapporto Annuale. La situazione del paese nel 1998”, edizione 1999.

[27] Emilio Pucci (a cura di), “L’industria della comunicazione in Italia - 1996”, Torino, 1996.

[28] AA.VV., Regioni e difesa dei diritti delle persone, VII Convegno Nazionale di studi regionali, 17-18 febbraio 1995, Consiglio regionale della Liguria.

[29] Emilio Pucci (a cura di), “L’industria della com

[30] “La tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia. Rapporto 1998”, (Forum per la Tecnologia dell’Informazione), Milano, 1998.

[31] “La tecnologia dell’informazione e della comunicazione in Italia. Rapporto 1996”, (Forum per la Tecnologia dell’Informazione), Milano, 1997.

[32] Francesco Segato, “La pubblicità in Internet”, if-Rivista della fondazione IBM Italia, n. 1/99.

[33] Ernesto Hofmann, Carlo Porcella, “Economia, cultura e tecnologia nel modello e-business”, if-Rivista della fondazione IBM Italia, n. 1/98.

[34] M. Mele, “Nuovi mezzi per nuove risorse”, Il Sole 24 Ore, 4 maggio 1999.

[35] Censis, “29° Rapporto sulla situazione sociale del Paese - 1995”, Roma, 1996.

[36] Mario Cianflone, “Donofrio: Il web cambierà la società”, Il Sole 24 ore, 14 maggio 1999.

[37] A. Plateroti, “Microsoft, intesa sul filo con AT&T”, Il Sole 24 Ore, 7 maggio 1999.

[38] Luciano Vasapollo, “Nuove frontiere del capitale intangibile come risorsa strategica per il management aziendale del 2000”, International Review of Sociology, n. 1/1994.