Quelli che non vogliono pagare la crisi I regimi economici globali e la resistenza che viene dall’Università italiana

DAVIDE BOERIO

1. Società di rifiuti e di rifiutati Krisis dal greco krinò separare, dividere: la natura dell’etimo non ammette equivoci. Se qualcuno ancora nutrisse dei dubbi reali sull’agonia del sistema capitalistico-finanziario, il consiglio è di spegnere la tv e di scendere per le strade. La prima da visitare è Wall Street, dove di questi tempi i colletti bianchi in cerca di nuova occupazione ricordano i volti neri, tristemente noti dalle nostre parti, di tanti uomini in attesa di caporali. Gli apprendisti stregoni della new economy sperano che la fiducia possa venire in soccorso almeno al loro morale, giù, come gli indici dei mercati finanziari che hanno contribuito a deprimere con manovre speculative e di “finanza immaginifica”. Dall’immaginario, dei mercati finanziari, alla cruda realtà, della produzione industriale che vede aumentare la percentuale della disoccupazione, il passo è breve e rapido. L’irrazionale diviene reale! Il panico è il demone da scacciare ma il monito perentorio del pesce piccolo divorato dal grande, nel cuore pulsante del libero mercato, rievoca uno spettro mai domo, che si aggira sulla testa del mercato globale: ovvero il verbo fattosi carne della crisi mondiale. Un sistema agonizzante, stordito dalla droga dei derivati, dal mito delle ricette neoliberiste, esplode in tutta la sua virulenza, deflagrando, simboleggiando culturalmente anche la fine di un feticcio: l’idea del “Mercato” come panacea di tutti i mali. Un idolo fradicio, terminale, tenuto in vita solo dalla sonda fornitagli dai capitali che sottraggono quel po’ d’ossigeno rimasto ai respiri di milioni di lavoratori, a cui in cambio si concedono solo boccate di veleni, questi sì, a pieni polmoni. Un entità mistica venerata dai sacerdoti della Merce, dogma sacro al quale sottomettere qualsiasi messa in discussione critica del pensiero unico dominante. Una religione1 che negli ultimi venticinque anni ha alimentato le perversioni dei pescecani “incravattati” delle city delle metropoli, fatto adepti in tutti e sei i continenti a suon di privatizzazioni, deregolamentazioni e liberalizzazioni selvagge. Epilogo: una società di desideri, eterodiretti e indotti, non poteva non diventare una società di rifiuti e di rifiutati!

2. Aria di recesso... In un anno la crisi di un ristretto comparto di mutui “senza adeguata copertura” si è trasformata lentamente, ma inesorabilmente, in una crisi immobiliare, del credito, monetaria ed ormai, in maniera abbastanza evidente, in una recessione economica2 americana, giapponese ed europea. “La peggior crisi finanziaria dalla grande depressione e la peggior recessione Usa da decadi. Non così severa come la grande depressione, ma seconda solo ad essa” (N. Roubini, 20 agosto 2008, rge monitor). Di più. Come segnala Paul Krugman (Nyt del 18 luglio 2008), “se l’esperienza degli ultimi 20 anni è una guida, la prospettiva per l’economia non è una progressione a V (una breve crisi con un recupero, ndr). È una L. Più che un ritorno alla primavera, avremo un prolungato periodo di crescita piatta o molto lenta”. Una pesante recessione di 12-18 mesi, seguita da una lunga decade di stagnazione economica. 3. Una crisi sistemica L’amministrazione Bush ha versato 700 miliardi di dollari nei forzieri delle banche nel tentativo frenetico di ridare vita al sistema finanziario moribondo, altrettanti miliardi il neoeletto presidente Obama cercherà di mettere in cassa per stimolare i crediti al consumo. Il governo britannico ha annunciato un piano di salvataggio di 400 miliardi di sterline. L’Unione Europea ha varato un pacchetto di misure da 200 miliardi di euro per affrontare la crisi economica conseguente a quella finanziaria3. L’idea è che se i ricchi se la passano bene, allora nel lungo periodo la ricchezza pervaderà tutta la società e tutti ne trarranno beneficio. Ma come osservò Keynes, nel lungo periodo l’unica cosa certa è che saremo tutti morti. E forse, stavolta, non sarà necessario neanche il lungo periodo. Le briciole che i lavoratori occidentali ricevevano in cambio di connivenza con gli sciacalli, sulla tavola imbandita dal grande capitale, ottenute con il sangue degli sfruttati, iniziano a scarseggiare. Il grande capitale fa razzie di profitti scaricando i costi sociali della crisi interamente sul lavoro. Le contrattazioni diventano un problema di cui disfarsi, la lotta per la sopravvivenza (di classe) è glissata dai governi, avvertita come inopportuna in un momento di crisi che coinvolge tutti, ma riguardo alle responsabilità che investe precisi rapporti di potere politico-economici, si tace. Nel nome dell’emergenza si capovolgono le cose. Questa crisi arriva al culmine di una fase storica segnata dal crollo dell’Urss, dalla creazione della UE, dalla crescita cinese. Una fase che combina una rinnovata competizione tra vecchi e nuovi poli capitalistici. La “golden age” statunitense è terminata, un mondo multipolare già si intravede all’orizzonte del grande incendio. Dalle ceneri emergerà un nuovo ordine, in cui i contendenti cercheranno di salvaguardare i propri interessi economici, riproponendo il vecchio problema e il fascino intramontabile dello Stato nazione nell’era globale.

4. Noi non pagheremo la vostra crisi Miliardi di dollari sprecati ogni giorno dalle Borse internazionali, risorse bruciate per finanziare guerre esportatrici di prodotti occidentali atte a procurare nuovi mercati. Oltre al salario, a farne le spese maggiori sono i servizi sociali per le classi più deboli e per migliaia di lavoratori. Lavoro, Sanità e Scuola sono i settori sui quali si abbatteranno i tagli più consistenti. Detto fatto, il 6 agosto del 2008 il decreto legge 133 Gelmini-Tremonti inaugura la stagione “lacrime e sangue”, partendo dai figli dei lavoratori. Il provvedimento stabilisce tagli per 8 miliardi di euro all’Università Pubblica, ma il pezzo forte del governo è un altro: da settembre le Università, con voto del solo Senato accademico, possono trasformarsi in fondazioni di diritto privato. Si è tentato, in questo modo, di scrivere l’ultima parola a quel piano di smantellamento dell’Università pubblica, indistintamente perpetuato da oltre 15 anni a questa parte, messo a punto e voluto sia da governi di centro-destra che di centro-sinistra (con le leggi: Ruberti, Zecchino-Berlinguer, Moratti, Mussi). Un funerale celebrato, inoltre, insieme ad un’altro cadavere eccellente, il lavoro fisso e garantito da diritti, conquista di lunghi anni di mobilitazioni studentesche e operaie (vedi Pacchetto Treu, Legge 30). Un terremoto per le coscienze di migliaia di studenti e di precari cha ha generato uno Tsunami, riduttivamente definito dai mainstream “Onda”4, con un grado d’intensità elevato che va ad aggiungersi in potenza ad un sostrato preesistente di radicalità, apparentemente sopito ma non risolto nelle sue più intrinseche contraddizioni. Un movimento che si auto-forma, diverso dai precedenti per la necessità di aprirsi alla società, coinvolgendola come spirito pubblico e bene comune, che intesse un dialogo proficuo con tutti gli altri soggetti in campo colpiti dai micidiali provvedimenti. Migranti, precari, studenti sono tutti al centro di un attacco transgenerazionale e classista portato avanti dal patto di acciaio del potere mercantocentrico-neoliberista. Nel caso dell’Italia, la situazione assume una dinamica particolare, trattandosi di un paese in cui il capitalismo, nelle sue diverse fasi, è andato a fondersi col retaggio storico del corporativismo, del clericalismo, della criminalità organizzata, di una particolare arretratezza culturale del ceto medio5. La ricerca di un’unità di azione si scontra con la difficoltà delle differenti parti di prendere coscienza del tutto. La precarietà coinvolge l’esistente anche per quanto riguarda la formazione di un’identità cosciente che sia in grado di prendere atto della propria forza. L’inizio dell’anno scolastico si apre con il lutto al braccio dei lavoratori delle scuole primarie, nei mesi di settembre e fino a metà ottobre s’intravedono le prime manifestazioni degli studenti universitari e medi. Una rabbia consapevole nei confronti dell’esistente cresce veloce. L’Autunno Caldo è arrivato! Assemblee permanenti, blocco dei corsi, cortei sono gli strumenti attraverso i quali la protesta prende forma; a Napoli, cortei quotidiani paralizzano la città. È un crescendo continuo di animi. Il 29 ottobre, dopo un corteo di 25 mila studenti che riempie le strade della città, l’assemblea permanente di Lettere e Filosofia, sull’esempio delle altre università occupate nel Paese, assalta il cielo e decide di riprendersi i propri spazi sottraendoli alla speculazione dei privati. Lettere e Filosofia occupate! Si organizzano gruppi di lavoro sulla crisi, sulla xenofobia, sul welfare; seminari con i docenti sulla didattica. Assemblee di gestione fiume, fino a notte fonda, hanno nutrito la vita politica in comune di un manipolo di studenti coraggiosi. Una difesa di un luogo formativo che non è passata solo attraverso l’approfondimento teorico delle proposte, ma che in virtù del clima alimentato ad hoc da Cossiga & Co., con le dichiarazioni sugli infiltrati e sulla polizia, è stata una resistenza attiva alle continue provocazioni fasciste. Da qui in poi la natura antifascista di un movimento si è palesata, ogni spazio di agibilità politica è stato sottratto dagli studenti a questi fidati burattini dei poteri forti e delle zone grigie. Napoli resiste, non ha paura! Da quindici anni non si occupava Lettere e Filosofia, dalla Pantera Porta di Massa non ritornava ad essere quel luogo di socialità e confronto necessario e legittimo che dovrebbe essere un’Università. Si dorme nei corridoi dei dipartimenti, si mangia nel portico, ci si confronta sul prato, tabù e limite invalicabile (non calpestabile) prima che i rapporti di forza non fossero invertiti. Intanto si costruisce per il 7 novembre, data storica per il movimento operaio internazionale, ma anche per quello studentesco napoletano; 60.000 studenti, con una lunga marcia, paralizzano la città, investono i luoghi di potere e d’informazione. La rete tra gli atenei e le facoltà si infittisce, coordinamenti e rapporti umani si costruiscono con il resto del movimento, diventando la base per la grande manifestazione del 14 novembre a Roma. Trecentomila manifestanti, i diretti interessati dalle politiche neoliberiste del governo Berlusconi IV, con treni speciali da tutta Italia, invadono le strade della capitale, assediano una parte Montecitorio e una parte piazza Navona. Nel giorno dell’assoluzione dei funzionari responsabili della “macelleria messicana” nella scuola Diaz a Genova, gli studenti cercano di costruire una connessione con il mondo del lavoro, l’unico vero soggetto in grado di bloccare il paese e di alzare il conflitto. I due giorni di coordinamento nazionale alla “Sapienza”, pur dimostrando un eterogeneità nelle analisi e nei metodi tra le diverse realtà presenti, svelano la natura metropolitana e di classe di un movimento che conosce la flessibilità sulla propria pelle, in attesa delle prossime scadenze di sciopero generale e generalizzato, il conflitto si modifica, adattandosi alle mutate condizioni oggettive, con una consapevolezza maturata da chi sa che, ormai, chiunque voglia fare i conti con i diritti fondamentale degli studenti deve prima farli con la forza di una mareggiata.

Studente universitario, Assemblea Permanente Lettere e filosofia - Napoli “Dalla frequenza dei casi in cui gli economisti, per ragioni contingenti, inclinano a raccomandare soluzioni liberistiche dei singoli problemi concreti, è sorto un terzo significato, che io direi religioso, della massima liberistica. Liberisti sarebbero in questa accezione coloro i quali accolgono la massima del lasciar fare e del lasciar passare quasi fosse un principio universale (...) Tutta la storia posteriore della dottrina sta a dimostrare che la scienza economica, come dianzi si chiarì, non ha nulla a che fare con la concezione religiosa del liberismo”. Questa concezione religiosa che Einaudi così severamente stigmatizzava è risorta nella seconda metà del Novecento come conseguenza indesiderata di un serio dibattito sui fondamenti dell’economia pubblica. Da una critica serrata alla teoria standard della regolazione come basilare interesse pubblico (un lascito degli economisti che hanno lavorato fra il 1930 e il 1960) si venne traendo negli anni Sessanta la conclusione che ai fallimenti del mercato possano porre riparo i mercati stessi, o al più i tribunali civili, mentre l’autorità pubblica è di necessità incompetente, corrotta e “catturata” dagli interessi che dovrebbe dirimere, sicché essa può solo far peggio (da la voce.info). L’Ocse prevede per l’Italia due anni di difficile recessione economica: Pil in calo dello 0,4 per cento già quest’anno e a seguire un pesante meno uno per cento nel 2009. “La tempesta finanziaria globale ha investito un’economia già indebolita da diversi anni di bassa crescita della produttività, peggioramento della competitività e elevato indebitamento pubblico”, osserva l’organizzazione parigina nella sezione dedicata alla penisola del suo ultimo rapporto previsionale globale (“Il Sole 24ore”, 25 novembre 2008). “È una risposta senza precedenti” a una “crisi senza precedenti”, ha detto Josè Manuel Barroso (“Corriere della Sera”, 26 novembre 2008) “Die Welle” ovvero “l’Onda” presentato al festival del cinema di Torino, lo sconvolgente film tratto da una storia vera. L’esperimento di un insegnante con gli studenti: la creazione di una Dittatura. L’onda è il nome che gli studenti si danno nel film. A metà dell’esperimento , il professore, il protagonista del film ambientato nella Germania di oggi, scrive sulla lavagna sotto dettatura degli studenti, l’elenco delle cause che possono portare a un regime . Nell’ordine: la globalizzazione, la crisi economica, la disoccupazione, l’aumento dell’ingiustizia sociale, la manipolazione dei mezzi d’informazione, il ritorno del nazionalismo e la xenofobia (“Repubblica”, 24 novembre 2008). Documento politico dell’Assemblea Permanente di Lettere e Filosofia - Federico II, Napoli.