L’attualità inattuale di Louis Althusser.

MASSIMILIANO PICCOLO

Perché leggerlo vent’anni dopo

Una premessa va subito chiarita. La ricerca teorica di Althusser è stata senz’altro uno degli ultimi contributi (in senso cronologico) veramente innovativi del marxismo. Gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, infatti, hanno visto un fiorire continuo di letture e riferimenti internazionali alla sua opera. Pochi intellettuali comunisti hanno esercitato, all’interno del marxismo (potremmo dire, con una parafrasi, atlantico: cioè europeo-occidentale e americano), un’influenza paragonabile a quella dei grandi classici del marxismo stesso1; circostanza, questa, che non può che mettere il contributo di Althusser in primo piano tra tutti i compagni, cioè tra chi si pone oggi il problema della rivoluzione, del socialismo e del comunismo in occidente, ma senza cedimenti eurocentrici. Nato nel 1918 nei pressi di Algeri, fu spinto a interessarsi della questione sociale, in quanto lotta di classe, dalla guerra contro il nazi-fascismo e dalla Resistenza. Scriverà, infatti, nel 1965: «La storia: si era impadronita della nostra adolescenza a partire dal Fronte Popolare e dalla Guerra di Spagna, per darci nella Guerra nuda e cruda, l’educazione dei fatti. Ci aveva sorpresi là dove eravamo venuti al mondo e di quegli studenti di origine borghese o piccolo-borghese che eravamo aveva fatto uomini consapevoli dell’esistenza delle classi, della loro lotta e della posta in gioco. Dalle evidenze che ci aveva messo davanti avevamo tratto la nostra conclusione, aderendo all’organizzazione politica della classe operaia, il partito comunista. Era l’immediato dopoguerra. Fummo gettati brutalmente nelle grandi battaglie politiche e ideologiche che il partito conduceva: dovemmo così valutare la nostra scelta e assumerne le conseguenze».2

È nel 1965, dunque, con le raccolte di saggi Per Marx e Leggere il Capitale, che s’impone all’attenzione del mondo intellettuale marxista. Ebbene: Althusser è stato un punto di riferimento importante, a volte criticato ma anche, spesso, ragione di vivificato entusiasmo nell’elaborazione di un punto di vista altro sul mondo; inoltre, come conseguenza coerente della sua ambizione di legare indissolubilmente il marxismo politico alla teoria, alla filosofia (e alla scienza), la successiva crisi del marxismo stesso (crisi teorica ma anche pratica: come insegna la sconfitta del socialismo nei paesi dell’Europa dell’est) ne ha determinato il parziale oblio. Specularmente, quindi, affermare l’attualità (sebbene inattuale e sul cui significato si tornerà) dell’opera althusseriana equivale a riaffermare la giustezza del marxismo ora e qui; vale a dire: la sua forza penetrante, la sua capacità di lettura in profondità della realtà ed anche la necessità del socialismo non come forma di una necessità teleologica, ma come una presenza costante che abita la natura materiale della realtà (una necessità della contingenza nella storia cui Althusser giunge, come scrive Balibar3, grazie al particolare uso dell’idea di struttura). E proprio il suo convincimento della centralità della teoria per la lotta di classe continua a farne, oggi, il punto di riferimento importante cui si accennava: «Senza teoria/oggettivamente/rivoluzionaria non si dà Movimento/oggettivamente/rivoluzionario» - scriveva, infatti, Lenin - e poiché, secondo Althusser, la «scienza è l’indice dell’oggettività», rivendicava per sé e per la sua opera non solo il diritto di parlare di una scienza rivoluzionaria che partiva già in Marx, ma anche il dovere di contribuire alla costruzione di un modello via via sempre più adeguato di essa. La prima regola per riuscire in questa battaglia culturale è quella, però, di non introiettare la sconfitta che il movimento comunista ha conosciuto in Europa (siamo oggi, infatti, davanti a un’evidente, ma non definitiva, egemonia del pensiero borghese), altrimenti non si porrà mai effettivamente il tema delle prospettive alternative. Una battaglia culturale e teorica che è, quindi, imprescindibile anche per organizzare quella nuova soggettività politica che, per Althusser, doveva essere capace di porsi come concreta “pratica agente” della trasformazione del mondo; nuova soggettività che i tempi della crisi attuale del capitalismo rende sempre più impellente, accelerando la necessità storica di una forma organizzata dei comunisti che si faccia trovare attrezzata all’appuntamento con i punti posti oggi all’ordine del giorno. E la soggettività politica di un’organizzazione comunista non può non porsi, infatti, il problema dei rischi dell’assoggettamento ideologico e culturale che, inevitabilmente, si producono all’interno del sistema capitalista e che pongono l’accento sui modi (e sui tempi) dell’acquisizione di un reale ed efficace punto di vista radicalmente altro, di una prospettiva differente. Ecco, inoltre, perché è molto importante la distinzione operata da Althusser tra congiuntura e contingenza (distinzione che si trova a fondamento dell’osservazione, sopra accennata, di Balibar). La congiuntura nella quale si opera (si è sempre, infatti, all’interno di una determinata congiuntura) non è una semplice contingenza: le leggi delle crisi cicliche del modo di produzione capitalistico, sono sì tendenziali ma, proprio per questo, durano; sono, cioè, rapporti stabili che vanno indagati e, poi, aggrediti4. Se la congiuntura data è, infatti, il Modo di Produzione Capitalistico, il piano della contingenza è, invece, quello vertenziale della rivendicazione che si articola nelle singole battaglie della quotidianità e che va vissuto con la consapevolezza che è il piano congiunturale il vero terreno di scontro dove si gioca la partita per la ‘transizione’, cioè per il superamento delle crisi. Perdere di vista questa differenza rischia di mutare il senso stesso delle battaglie quotidiane: equivocare contingenza e congiuntura (dal punto di vista marxiano che Althusser riprende e difende) significa sviare la lotta del movimento operaio dalla prospettiva del socialismo e del comunismo e farla sussumere dal Modo di Produzione Capitalistico; sterilizzandola, quindi, come leva del cambiamento rivoluzionario e nutrendola, invece, come àncora di salvezza dell’esistente. Rischiando, in altre parole, di rafforzare la presunta alternativa keynesiana che si fonda, ovviamente, sulla necessità d’istituire un nuovo patto sociale; e con cui, una volta tendenzialmente sussunta la classe operaia, essa può essere definitivamente considerata elemento semplice del tutto (quindi anche parte delle crisi cicliche del Modo di Produzione Capitalistico) e non, invece, motore del cambiamento, spinta verso la soluzione reale delle crisi. Ragione sufficiente per interrogarsi, com’è avvenuto nel marxismo francese, sui meccanismi di produzione del sapere da parte del potere. Non è, infatti, casuale che siano state le questioni economiche a suscitare, nel dibattito marxista, considerazioni e approfondimenti epistemologici: circostanza, questa, che ha ulteriormente convinto Althusser della necessità d’indagare la cesura tra il Capitale e i Manoscritti. D’altra parte, le classi non possono essere considerate con facilità agenti storici del presente, allo stesso modo di come possono esserlo le organizzazioni o gli individui; esse non prendono, in quanto classe, decisioni immediate: la classe è l’insieme delle forze, definite dalla collocazione economica, che agiscono per mezzo di tendenze, in modo collettivo, ma non sempre in maniera completa. La sfida per il marxismo è, allora, l’elaborazione dello specifico agente di classe; non solo, dunque, l’appartenenza alla classe stessa, ma la sua collocazione nella lotta fra le classi. Nelle crisi, dunque, l’elemento congiunturale rende manifesto il contenuto stabile e (ideologicamente) latente di quei rapporti e la ragione (cui, come marxisti, dobbiamo sempre appellarci) mostra di farsi carico della complessità della realtà e di porsi come soluzione, proprio quando si colloca nel momento fecondo della crisi. Così scriveva l’epistemologo francese (non marxista) Bachelard (al quale deve tanto l’opera di Althusser) a proposito delle trasformazioni che, all’inizio del Novecento, erano in atto nei modelli scientifici tradizionali: «Alcuni prendono a pretesto i radicali cambiamenti del pensiero matematico e sperimentale per disperare della ragione, e cercano la conoscenza nelle esperienze più dirette, più intuitive. Altri considerano, al contrario, superficiali e passeggere queste crisi e sperano, con palese ottimismo, che ritorni il tempo della chiarezza e della semplicità. Gli uni e gli altri non vedono quanto c’è di organicamente sano in questa crisi dell’organizzazione razionale della conoscenza scientifica»5. Marx, e cambiamo piano, individuava proprio nelle crisi, infatti, ciò che consentiva alla contraddizione tra forze produttive e relazioni di produzione6 di prospettare una realtà alternativa: «queste catastrofi si ripetono regolarmente con ampiezza sempre maggiore e infine conducono al suo violento rovesciamento» (Grundrisse). Che le «catastrofi» descritte da Marx, in altre parole la caduta tendenziale del tasso medio di profitto, si ripetano regolarmente è sotto gli occhi di tutti; così come (è pure sotto gli occhi di tutti) che il loro «rovesciamento», proprio perché situato nel processo di una caduta tendenziale e non necessaria, richiede un elemento soggettivo. Il lavoro teorico di Althusser volto a comprendere con uno sforzo di razionalità la crisi della razionalità stessa (e conseguentemente della nozione classica di soggetto) è, dunque, importante per definire una soggettività diversa e capace d’incidere sulla realtà. Le crisi, infatti, tanto in un paradigma teorico quanto nella dialettica effettuale delle cose, determinano le condizioni oggettive per il loro superamento, ma da sole non sono sufficienti. Ebbene: la presa di coscienza (della necessità) dell’elemento soggettivo come ragione di trasformazione avviene sempre, anche nel caso della transizione a un modo di produzione diverso (e qui veniamo al cuore del problema), all’interno di un processo d’assoggettamento. Per Althusser la filosofia non vive in un luogo separato dal mondo reale, da quello effettuale, laddove, cioè, avvengono le cose (anche per questo citava spesso il Kampfplatz, la kantiana definizione della filosofia come “campo di battaglia”): è il caso dell’interpretazione della rivoluzione bolscevica come superiorità del marxismo attraverso Lenin6, dimostrazione, cioè, della superiorità scientifica delle categorie interpretative marxiste, come quel grande laboratorio galileiano che è il «continente-storia» aveva chiaramente mostrato al mondo intero nel ’17. Ed è proprio l’aver allontanato dal marxismo ogni residuo teleologico-metafisico, incrostato nella concezione ancora idealistica del progresso come linea retta ed evolutiva, che ci consente di leggere, oggi, nel crollo dell’URSS e dei Paesi del campo socialista, una sconfitta del socialismo ma non il suo fallimento. Se i fatti hanno un peso (e l’hanno!) anche questi ultimi non possono che essere interrogati con il rigore teorico dell’analisi marxista e non pochi sono i temi della filosofia di Althusser che vale la pena ricordare perché utili, oggi a vent’anni dalla sua morte (avvenuta il 22 ottobre del 1990), come cartina di tornasole sul presente e come bussola rispetto al dibattito critico che deve svilupparsi all’interno di un’organizzazione comunista. Nel 1976 Althusser annotava: «Viviamo in un periodo storico in cui il marxismo, la teoria marxista e la filosofia marxista fanno parte della nostra cultura. Dire che il marxismo fa parte della nostra cultura, non vuol dire che sia integrato in essa. Al contrario, il marxismo incalza la nostra cultura, essendo forza ed elemento di divisione. Non stupisce che il marxismo sia oggetto di conflitto, che sia difeso dagli uni e violentemente attaccato, falsificato o deformato dagli altri, perché il marxismo, la sua teoria e la sua filosofia pongono direttamente sul tappeto la lotta di classe. Tutti sanno bene che il marxismo dà luogo a posizioni teoriche dietro le quali ci sono posizioni politiche e lotte politiche, di classe»7.

Porre, dunque, in quegli anni (soprattutto tra la fine dei Sessanta e i primissimi Settanta) questioni teoriche e critiche, rispetto alla tradizione del marxismo, poteva apparire viziato da un’eccedenza teoricista (tanto da indurlo alla famosa Autocritica8 del 1974); mentre, oggi, paradossalmente, Althusser sembra ri-trovare la propria attualità. Oggi perché, dopo la sconfitta che il movimento comunista internazionale ha subito in Europa, diviene centrale riflettere sull’infiltrazione dell’ideologia borghese nella teoria e nella pratica comunista e, più in generale, sul senso di una concezione marxista (e non solo marxiana) della storia. Temi questi classicamente tutti presenti nella sua opera. Come per le sue considerazioni sul XX Congresso del PCUS: non pensava, infatti, che fosse da mettere in dubbio, ovviamente, la legittimità delle critiche a Stalin, tutt’altro; quanto, piuttosto, l’angolatura che si assume e che deve, invece, rimanere rigorosamente comunista, marxista, una prospettiva che si ha solo posizionandosi a sinistra. Al contrario, il “culto della personalità” con il quale si volle liquidare l’intera epoca in questione appariva, ad Althusser, un cedimento al pensiero borghese. Una categoria interpretativa che non trovava spazio, infatti, nel patrimonio teorico del movimento operaio e comunista ma che si nutriva nell’ideologia borghese, lì trovava alimento e che impediva un’analisi effettivamente marxista dei processi in corso dentro l’URSS. Elaborazione teorica, quella di Althusser, utile anche perché significa riappropriarsi, sebbene in modo critico e mai dogmatico, della propria storia; senza, dunque, essere animati da istanze liquidatrici rispetto alla tradizione del socialismo. Come spesso accade, invece, nella sinistra italiana, dove ciò che risalta politicamente e culturalmente nelle tesi di molti compagni non è il riferimento ideale a Marx (ovvio), bensì l’esclusione del resto. Un resto che è spesso irriducibile alla sola riflessione marxiana e, molte volte, così legato all’opera di Engels da rendere quella di quest’ultimo non includibile nell’identità di Marx. Sarebbe opportuno, allora, ribaltare un luogo comune: cos’è “album di famiglia”, citare, ad esempio, Gramsci come ossequio rituale o, al contrario, farsi carico responsabilmente dei significati che tal eredità lascia? Questo è il punto: farsene carico, vuol dire fare uscire il marxismo dalla storia delle idee in cui si vorrebbe sterilmente e ideologicamente irreggimentarlo (come se la storia delle idee fosse altra cosa rispetto ai processi reali) per riagganciarlo alla storia dell’umanità che esso ha modificato sostanzialmente a partire da Lenin e dalla Rivoluzione d’Ottobre. Altrimenti, fuori di questa relazione, di Gramsci, rimane solo l’icona. Questo è un insegnamento di Althusser9 che va al cuore del problema, perché il riferimento a Lenin è decisivo: significa la traduzione nella prassi politica concreta di un patrimonio d’idee e di lotte che lì hanno conosciuto il senso del misurarsi con la storia, interrompendo le drammatiche sconfitte che il movimento operaio aveva conosciuto con le prime due Internazionali. Questo spinse Gramsci a definire “moderno principe” il partito di Lenin: riuscire a mettere in atto ciò che la realtà del tempo chiedeva; determinare, cioè, il passaggio dalla potenza all’atto. Infondere nuovo senso alla storia è una grandezza, sia consentito, incommensurabile rispetto a tanti altri esempi; o, almeno, stabilisce un’inconfutabile priorità dalla quale non si può prescindere. Quando Lenin sosteneva la teoria dell’anello debole non pensava solamente alla natura internazionale dello sfruttamento capitalistico (e, quindi, alla conseguente possibilità che potessero emergere paesi che, nonostante le condizioni arretrate di sviluppo interno del modo di produzione capitalistico, fossero in grado di orientare in senso rivoluzionario la funzione che lo stesso paese svolgeva all’interno della totalità del sistema capitalistico); pensava anche alla necessità di opporre un’adeguata resistenza nella battaglia culturale e ideologica tra la borghesia e il movimento operaio e comunista. Così, nel giugno del 1972, Althusser scriveva: «Volevo difendere il marxismo contro le minacce reali dell’ideologia borghese: bisognava mostrare la sua novità rivoluzionaria; bisognava dunque “provare” che il marxismo è antagonistico all’ideologia borghese e che esso ha potuto svilupparsi in Marx e nel Movimento operaio solo a condizione di una rottura radicale e continua con l’ideologia borghese e di una lotta incessante contro gli attacchi di questa ideologia»10.

Ma, allora, perché Althusser appare inattuale? E perché utilizzare quindi, anche in questa sede, una categoria nietzschana, qual è quella dell’inattualità, con la quale si voleva indicare la strada che lo Ubermensch11 ha da percorrere per preservarsi dalla corruzione dei tempi nuovi nei quali era costretto a muoversi dalle contingenze storiche? Ecco perché: perché essere inattuali oggi significa mantenere una differenza irriducibile all’omologazione che l’ideologia dominante produce. Non perché, cioè, si è contro la modernità; al contrario perché si è veramente moderni quando si è capaci di mostrare (come faceva Althusser) il nuovo che affiora o che può affiorare tra le maglie del presente. E neanche perché Althusser apparirebbe tale essendo in realtà altro: perché egli è compiutamente inattuale, senza alcuna separatezza tra il piano degli effetti di superficie e quello di una presunta essenza nascosta. Perché Althusser è il suo discorso; e il discorso di Althusser oppone la materialità del conflitto, della contraddizione, dei risultati della scienza, del lavoro, del rigore teorico, alla metafisica dogmatica del mondo delle compatibilità. Utopisti o ideologici nel chiedere questo oggi? Condizione questa che ben rappresenta lo strano paradosso (ma comprensibile se teniamo, appunto, a mente l’assoggettamento culturale e ideologico al pensiero dominante) di chi, partendo dallo stesso Marx e attraversando tutta la grande tradizione del marxismo, ha voluto, invece, costruire una scienza, attraverso rotture difficili ma necessarie con le precedenti teorie di un socialismo vagamente umanitario o comunitario. Un paradosso per tutti i compagni che sentono sulle loro spalle il peso della sconfitta sul piano, evidente, dell’oggettività, ma anche su quello della capacità soggettiva di formulare una controffensiva. Ma è naturale che il marxismo sia ostacolato anche attraverso la sua mistificazione (sebbene «i marxisti non parlano mai al vento»12 - scriveva, appunto, Althusser); fa parte anche questo della battaglia politica e della lotta di classe ed è, appunto, ideologico (nel senso marxiano), perché funzionale a occultare e a dominare la lotta di classe che, invece, c’è, nella società come nella teoria. Questa, adesso, è una questione centrale: la lotta di classe è, oggi, combattuta con consapevolezza di parte, essenzialmente dalle classi dominanti e, proprio per questo, per “invertire l’invertito corso del mondo”, bisogna ribaltare il tavolo e, partendo dall’elaborazione teorica e culturale, prospettare un punto di vista irriducibilmente antagonistico. Ancora e concludendo: «Non è un dibattito tra filologi! - ammoniva Althusser pensando alle condanne e alle passioni suscitate dalle formulazioni di Marx ed Engels, di Lenin e di Mao - Il mantenimento o l’eliminazione di queste parole, la loro difesa o il loro annientamento, sono la posta in gioco di autentiche lotte, il cui carattere ideologico e politico è manifesto. Non è esagerato dire che ciò che oggi è in causa, dietro la questione di queste parole è il leninismo tout court»13. Analogamente, per noi, la posta in gioco non è l’opera di Althusser, ma (anche attraverso essa) il riconoscimento dell’esistenza e del ruolo di un’autonoma teoria marxista e soprattutto della sua necessaria e concreta fusione con il Movimento operaio.

1 Molto grande è stata la sua influenza, ad esempio, nel continente sud-americano. Cfr.: le conversazioni con Fernanda Navarro (professoressa di filosofia in contatto con Mauricio Malamud, professore anch’esso di filosofia ma soprattutto militante comunista argentino e amico personale di Althusser perseguitato e imprigionato per diciotto mesi nel 1975), svoltesi tra il 1984 e il 1987 e pubblicate in Messico nel 1988 con il titolo Filosofia y Marxismo (Siglo XXI Editores).

2 L. Althusser, Prefazione oggi, in Per Marx, Mimesis, Milano, 2008, pp. 23-24.

3 In Introduzione alla riedizione del 1996 di Pour Marx.

4 Cfr. L. Althusser, Sul materialismo aleatorio, Mimesis, Milano 2006, p. 62. Aggiunge Althusser: «In innumerevoli passaggi Marx, e sicuramente non è un caso, ci spiega che il modo di produzione capitalistico è nato dall’“incontro” tra il “proprietario di denaro” e il proletario sprovvisto di tutto, salvo della propria forza lavoro. “Capita” che questo incontro abbia avuto luogo, e abbia “fatto presa”, il che vuol dire che non si è dissolto non appena avvenuto, ma è durato ed è diventato un fatto compiuto, il fatto compiuto di questo incontro, che provoca dei rapporti stabili e una necessità il cui studio fornisce delle “leggi”, beninteso tendenziali: le leggi dello sviluppo del modo di produzione capitalistico (legge del valore, legge dello scambio, legge delle crisi cicliche, legge delle crisi e della scomposizione del modo di produzione capitalistico, legge del passaggio - transizione - al modo di produzione socialista sotto la legge della lotta delle classi ecc.)»

5 G. Bachelard, L’impegno razionalista, Jaka Book, Milano 2003, p. 45.

6 Cfr. L. Althusser, Lenin e la filosofia.

7 L. Althusser, Conferenza di Granada: La trasformazione della filosofia, in Sulla filosofia, Unicopli, Milano 2001, p. 125.

8 «Beninteso, questa autocritica, di cui sviluppo qui la “logica”, e gli argomenti interni, quali hanno attirato la nostra riflessione, non è un fenomeno meramente interno. Essa può essere compresa solo come l’effetto di una ben diversa “logica” esterna, quella degli eventi politici [...] Il lettore stabilirà da sé il rapporto necessario fra queste due “logiche”, senza perdere di vista il primato della pratica sulla teoria, cioè il primato della lotta di classe nell’economia e nella politica sulla lotta di classe nella teoria.» (L. Althusser, Elementi di autocritica, Feltrinelli, Milano 1975, p. 5).

9 Cfr. L. Althusser, Machiavelli e noi, Manifestolibri, Roma 1999.

10 L. Althusser, Elementi di autocritica, cit., p. 7.

11 Il superuomo o oltre-uomo.

12 Cfr. Risposta a John Lewis, in I marxisti non parlano mai al vento, Mimesis, Milano 2005.

13 L. Althusser, Elementi di autocritica, cit., p. 15.