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IL CAPITALISMO ITALIANO:RIFLESSIONI E CONTRADDIZIONI

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Paolo Graziano
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“Senza denare e senza fatica”.

Paolo Graziano

A partire da Danilo Dolci: il disagio dell’uomo meridionale

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Sono uno che cerca di tradurre l’utopia in progetto. Non mi domando se è facile o difficile, ma se è necessario o no. E quando una cosa è necessaria, magari occorreranno molta fatica e molto tempo, ma sarà realizzata. Danilo Dolci

1. Il diritto e il rovescio

Esattamente sessant’anni fa, sulla trazzera vecchia di una cittadina siciliana, procedeva con passo lento e deciso una silenziosa compagnia di uomini. Era di buon mattino, l’ora in cui usualmente i lavoratori si recano a travagghiare, ma quelli non erano lavoratori. L’occhio vigile della polizia di Tambroni li seguiva da giorni, eppure portavano soltanto secchi e pale, avevano lasciato a casa persino il coltello per il pane: quelli non erano banditi. Erano piuttosto qualcosa di mezzo, qualche volta salariati per una stagione o anche meno, all’occorrenza ladri per fame1. Quel mattino del 2 febbraio del ‘56, però, si erano trasformati in un esercito composto e disciplinato, i volti seri, la determinazione nel compiere un atto destinato a risultare tanto più eversivo in quanto generoso e pacifico: sistemare, dopo un digiuno di protesta, l’antica strada che conduce a Partinico, da tempo abbandonata all’incuria, come un altro fossato scavato tra quella città piantata in mezzo al nulla e il resto del Paese. Quella manifestazione per reclamare un elementare diritto, che culminò con l’arresto e il processo ai suoi organizzatori, fu efficacemente definita uno sciopero a rovescio, sciopero del non-lavoro messo in atto da gente confinata nei ghetti sociali della disoccupazione e del precariato e in quelli, ben più materiali, dell’indigenza e dell’ignoranza, della fame e del degrado. L’uomo che lo guidava, Danilo Dolci2, aveva scritto pochi giorni prima: “Milioni di uomini nelle nostre zone stanno sei mesi all’anno con le mani in mano. Stare sei mesi all’anno con le mani in mano è gravissimo reato contro la nostra famiglia e contro la società. Solo qui in Partitico, su venticinquemila abitanti, siamo in più di settemila con le mani in mano per sei mesi all’anno; e settemila bambini e giovanetti non sono in grado di apprendere quanto assolutamente dovrebbero. Non vogliamo essere lazzaroni, non vogliamo arrangiarci da banditi: vogliamo collaborare esattamente alla vita, vogliamo il bene di tutti: e nessuno ci dica che questo è un reato. È nostro dovere di padri, di cittadini, collaborare generosamente perché cambi il volto della terra, bandendo gli assassini di ogni genere. Chiediamo alle autorità di collaborare con noi, indicando quali opere dobbiamo fare, e come: altrimenti, assistiti da tecnici, cominceremo da alcune delle più urgenti. Perché sia più limpido a tutti il nostro muoverci, digiuneremo lunedì 30 gennaio; giovedì 2 gennaio cominceremo il lavoro. Frangeremo il pane, con le mani. Vogliamo essere padri e madri anche noi, e cittadini3”.

Nel corso di una delle più strane migrazioni - dalla Trieste mitteleuropea alla Sicilia medioevale - e delle più esemplari vicende umane del secolo, Danilo Dolci aveva capito già cinquant’anni fa che il Meridione, di cui stava diventando figlio adottivo, non avrebbe seguito la strada dell’emancipazione sociale ed economica che gli anni del dopoguerra, con la ricostruzione e il boom economico, indicavano ad altre aree del Paese e del continente europeo. Di quelle politiche, in qualche caso, sarebbe stato invece la vittima necessaria, tacitamente sacrificata sull’altare di piani di sviluppo. Della storia delle sedicenti politiche per il Mezzogiorno, degli sciagurati piani d’insediamento industriale, all’epoca Dolci non poteva sapere; ma intuiva - per l’esperienza quasi missionaria di condivisione della vita dei diseredati, a Villalba, a Trappeto, a Partinico - che occorrevano categorie nuove e provocatorie per spiegare la vicenda di un territorio ancora imprigionato nella morsa del sottosviluppo e dell’arretratezza economica. Quella del rovesciamento è una di tali categorie, approntate da Dolci e i suoi nell’azione dimostrativa del ‘56. Come a dire: in una terra senza regole né diritti la rivoluzione non è lotta contro lo Stato ma a favore della presenza di uno Stato che finalmente limiti la prepotenza dei vari capibastone; in aree dove la terra è concentrata da secoli nelle mani dei latifondisti, il cambiamento non consiste nel passaggio dal mondo agricolo a quella industriale, ma nella distribuzione dei campi a chi è nato contadino4; nei luoghi dove il lavoro è un privilegio la protesta non mira alla riduzione dell’orario ma - prima di tutto - al conseguimento della piena occupazione5.

2. Disoccupazione, precarietà, povertà: dieci anni di recessione Nell’anniversario di una denuncia così emblematica, è lecito chiedersi cosa sia effettivamente cambiato nelle caratteristiche sociali ed economiche del Meridione d’Italia, e in quelle delle sue relazioni con il sistema del Paese e di aree geo-politiche più ampie. Non è un confronto che si può istituire su basi quantitative e su dati contingenti: naturalmente il Mezzogiorno s’è trasformato profondamente, in certi anni molto più di quanto sia accaduto altrove; ciò che c’interessa constatare, piuttosto, è la persistenza di alcune tendenze di fondo nello svantaggio che impedisce al sud Italia di garantire standard di reddito, sicurezza sociale, vivibilità paragonabili a quelli di altri luoghi dell’Occidente sviluppato. Concentriamo l’attenzione sull’ultimo decennio di storia politica nazionale, un arco temporale sufficientemente ampio per valutare l’impatto delle politiche di sviluppo, caratterizzato peraltro da due governi di diverso segno: secondo fonti Istat6, nel quinquennio 1996-2000 il livello d’occupazione nel Meridione è cresciuto significativamente meno della media nazionale; gli occupati sono cresciuti dello 0,7% (-0,3% rispetto alla media), ma nel frattempo le persone in cerca di occupazione sono aumentate dell’1,7% (2,9% in più della media del Paese); il livello di occupazione si attesta al 43,4% e qui la forbice con il dato nazionale è più ampia: -9,7%. Il tasso di disoccupazione - probabilmente sottostimato - risulta del 19%, 8,1 punti in più rispetto al valore nazionale. Al giro di boa del 2004, le variazioni non sono affatto significative, soprattutto quelle relative al dato della differenza tra nord e sud del Paese7: la differenza nel tasso di disoccupazione, ad esempio, scende di 0,4 punti percentuale, segnando comunque uno svantaggio compreso tra il 7 e l’8%; la differenza cresce addirittura nel caso della valutazione del tasso d’occupazione: al Sud, infatti, si registrano 10,6 punti di scarto rispetto all’area settentrionale. Ciò che risulta più interessante, tuttavia, è il confronto con i dati del 1996, tutti positivi rispetto a quelli registrati dieci anni dopo: la differenza nel tasso di disoccupazione, rispetto alla media nazionale, è del 7,2%; quella del tasso di occupazione si attesta sul 9,4%. Si potrebbe senz’altro continuare, ma in questi dati c’è già una prima valutazione delle nuove ricette di sviluppo applicate al Meridione dopo la liquidazione degli interventi speciali e l’avvio della cosiddetta “nuova programmazione”. Un passaggio epocale, che ha avuto tra le altre caratteristiche quella di accompagnare (forse innescare?) una ripresa silenziosa ma non trascurabile delle migrazioni interne, che vedono lo spostamento ormai sistematico di giovani meridionali tra i 20 e i 35 anni, diplomati o laureati, in cerca di prima occupazione. Questo fenomeno aiuta a leggere la crescita della popolazione meridionale registrata dalle statistiche negli ultimi anni: una crescita inferiore agli standard nazionali, pur in presenza di una popolazione significativamente più giovane di quella presente in altre aree del Paese8. Una tale contraddizione può essere effettivamente spiegata in due modi: con una migrazione dei giovani, in procinto di diventare genitori, verso il nord oppure con una maggiore difficoltà dei cittadini che decidono di rimanere al Sud a sposarsi e metter su famiglia. La precarietà del lavoro, cresciuta legalizzata e resa sistematica dai provvedimenti legislativi dell’ultimo decennio, contribuisce senz’altro in misura rilevante a questa tendenza demografica, che evidenzia inoltre ancora una percepibile condizione di svantaggio per il Sud: in corrispondenza della deregulation del mercato del lavoro, infatti, si registra al Meridione un aumento del tasso di occupazione (particolarmente positivo nel 2001), che tuttavia tende rapidamente a ristabilirsi sui livelli consueti. Nonostante sia stata sbandierata come l’antidoto alla irregolarità e al sommerso, peraltro, la flessibilità introdotta nel mercato del lavoro non ha medicato la piaga del lavoro nero diffuso specialmente al Sud: nel 2004 più di un milione e mezzo di lavoratori meridionali risultavano in condizioni irregolari, con un incremento netto di 200.000 unità rispetto a dieci anni prima. Trasformato in percentuale, il dato segnala che il lavoro nero è cresciuto al Sud del 18%, mentre nel Centro-Nord si stima, nello stesso periodo, un calo del 10% dei rapporti di lavoro informali. Nel 1997 la percentuale dei lavoratori in nero era, nel Meridione, del 6,8% più alta rispetto al resto del Paese; nel 2003 il divario era cresciuto all’8,8%9. Questo insieme di condizioni, allevate nel recinto della crisi e delle difficoltà introdotte dal modello di sviluppo globale, determinano per molti meridionali condizioni di vita difficilmente sostenibili, equamente presenti nelle varie regioni del sud Italia e nelle diverse fasce d’età dei loro abitanti. Delle “nuove povertà” di cui parlava il Rapporto Italia 200510, pubblicato dall’Eurispes, molte hanno residenza nel sud Italia, dove il numero di quelli che non riescono ad arrivare a fine mese aumenta significativamente fino a tutto il 2004. L’Istat registra, alla fine di quell’anno, un aumento di quasi un punto percentuale nel conteggio delle famiglie povere (meno di 1.500 euro per un nucleo di quattro persone) rispetto al rilevamento precedente: dal 10,8% all’11,7%11. “Questo incremento - osserva Massimo Baldini - sembra dovuto a un forte peggioramento delle regioni meridionali, e a un rilevante miglioramento del Nord. In realtà, l’unico dato davvero nuovo che emerge da queste stime è la crisi dei consumi del Meridione”12. Una crisi che - se confrontata con i dati registrati per altre aree dell’Italia - non può essere genericamente attribuita alle condizioni della congiuntura internazionale, ma corrisponde alla persistenza di politiche economiche e sociali svantaggiose per una parte del Paese, caratterizzate da interventi occasionali e incontrollate importazioni di capitali che contribuiscono “a rendere nuovamente il Mezzogiorno un’area caratterizzata, come nei decenni passati, dalle condizioni politiche, economiche e sociali tipiche di un’economia strutturalmente dipendente”13.

3. La rapina del territorio

In un suo recente lavoro, da cui è tratta la citazione precedente, Nicola Rossi ci offre la possibilità d’intuire i contorni del rinnovato progetto di subordinazione del Meridione, constatando la singolare stabilità nelle politiche territoriali che ha caratterizzato il governo di quest’area del Paese: “Quello che il Mezzogiorno ha vissuto dalla metà degli anni Novanta fino a oggi è, infatti, sotto questo aspetto un caso particolarmente interessante - certamente raro per le abitudini italiane - di continuità amministrativa. Una strategia chiara, corretta di tanto in tanto nel corso del tempo, ma sostanzialmente immutata nei suoi caratteri fondamentali. Un “ambiente” amministrativo qualificato e coeso, espressamente costruito in funzione di quella strategia”14. A questo gruppo dirigente, che ha attraversato indenne un cambio di legislatura e s’appresta ad affrontare il successivo, è stato affidato il compito di trasformare in provvedimenti concreti e attuabili i principi di sviluppo della cosiddetta “nuova programmazione”, concepita alla fine degli anni ‘90 per sostituire le vecchie politiche degli “interventi straordinari”, sostenute di fatto per quasi quarant’anni dell’era democristiana15. Il principio fondante del piano è squisitamente filosofico, quasi d’ispirazione derridiana: sostituire il concetto di Mezzogiorno con quello dei Mezzogiorni, per “dar conto - secondo Rossi - delle tante differenze presenti all’interno di un’area fin allora considerata omogenea”16. Una tale impostazione corre il rischio, tuttavia, di ridurre l’annosa e complessa questione dello svantaggio meridionale ad un problema di carattere amministrativo, concernente la distribuzione delle risorse secondo i criteri prescritti di concentrazione, programmazione, partenariato e addizionalità, sulla base di progetti locali e/o occasionali che - non a caso - si fa difficoltà a coordinare. Resta in ombra, nel discorso di Rossi, l’aspetto politico della differenza meridionale, ben visibile soltanto ad uno sguardo che consideri il sud Italia come area omogenea, se non dal punto di vista dell’organizzazione territoriale senz’altro da quello delle politiche economiche nazionali e globali. Il documento delle “cento idee” ne contiene, a questo proposito, alcune inquietanti per il modello di sviluppo che contengono e soprattutto perché stanno trovando puntualmente attuazione nelle politiche territoriali e nei provvedimenti d’indirizzo dei governi locali e di quello centrale. In particolare, un’idea ricorrente è quella dell’introduzione di maggiore competitività e mercato in tutti i settori della vita economica e sociale del territorio, attraverso la massimizzazione del “contributo dei privati alle politiche territoriali, individuando le condizioni atte per favorire la loro partecipazione al finanziamento e alla gestione dei progetti di intervento”17. Come la cronaca ha successivamente mostrato, l’invadenza di questi principi - moderne parole d’ordine buone per ogni occasione - s’è estesa anche a servizi essenziali come lo smaltimento dei rifiuti e la gestione delle risorse idriche, patrimonio fondamentale specialmente per le regioni a vocazione agricola: nel documento di Catania, a proposito dell’acqua, Laura Raimondo scrive: “Il settore soffre attualmente della mancanza di imprenditorialità e professionalità nella gestione del servizio e della resistenza di molti enti locali a rompere il monopolio della gestione pubblica del servizio. [...] Si considera inoltre necessario, al fine di pervenire ad una reale industrializzazione del settore, creare una cultura del mercato dell’acqua, valutando con un processo competitivo, la partecipazione degli attuali gestori e dei nuovi che verranno, sulla base di indicatori di efficienza, efficacia ed economicità”18. L’altra grande questione dello smaltimento dei rifiuti, più volte salita agli onori delle cronache negli ultimi anni in frangenti anche drammatici19, evidenzia un atteggiamento complementare nel governo del territorio, gestito secondo i criteri di un accentuato dirigismo e, in linea di massima, di una contrapposizione tra gli interessi locali e quelli nazionali20. È quello che si è verificato qualche anno fa con l’emblematica vicenda di Scanzano Jonico, un paesino della Basilicata designato per decreto governativo come sito unico di stoccaggio delle scorie radioattive, prodotte in cinquant’anni di storia del nucleare in Italia. La strenua opposizione sociale che ne derivò, costringendo l’esecutivo ad un’imbarazzante retromarcia, ha scavato nell’immaginario delle popolazioni meridionali un solco profondo tra i programmi del potere economico-politico e le esigenze di paesi, città, territori, circuiti produttivi locali.

4. Una nuova questione meridionale

Sulla base di queste considerazioni, è difficile continuare a credere che il disagio del Meridione derivi tout court dal dissesto delle strade provinciali o dall’insufficienza degli interventi a sostegno del turismo eno-gastronomico, per quanto tali questioni - e molte altre - siano tutte da segnare nel novero delle difficoltà registrate da una parte del Paese. Dieci anni di arretramento sistematico delle condizioni del benessere sociale ed economico, insieme ai segnali evidenti di una strumentalità delle strategie di gestione del territorio, fanno pensare piuttosto ad una rinnovata attualità del problema del Mezzogiorno, che si manifesta nelle forme moderne della funzionalizzazione delle aree geografiche in base alle dinamiche della competizione globale. Troppo in fretta Goffredo Fofi, vecchio compagno di strada di Danilo Dolci, ha liquidato come un ferrovecchio la cosiddetta “questione meridionale”21; in realtà essa si amplia e si diffonde, all’occorrenza mutando volto, nei tanti Partitico che continuano a sostenere per tutti il peso dell’incertezza e della precarietà del futuro.

Note

* Giornalista, ricercatore dell’Osservatorio Medionale di CESTES-PROTEO.

1 Di quelle condizioni racconta nella sua lingua incerta un disoccupato siciliano, in una testimonianza penetrante introdotta da Danilo Dolci: “Il terzo giorno la sera mentre mia moglie stava cucinando un po di pasta per noi due viene questa bambina e ci dice a mia moglie: donna Titidda, mi disse mia madre appena sciende la pasta ce lo da un po di brodo cioè acqua di pasta. Mia moglie non facendoci caso a queste parole ci disse si, aspetta che appena sciendo la pasta te lo do, ma io che ero pure presente mi sembrò strano questo fatto e volli domandare a solo titolo di curiosità, che cosa doveva fare sua madre con questo brodo di pasta, e quella bambina mi rispose con tanta ingenuità, che siccome da tre giorni non avevano mangiato nessuno in casa sua un pezzo di pane o un po di pasta e dato che sua madre allattava il bambino e non aveva più latte, chiedeva questo po di brodo di pasta per beverselo e vedere se così ci calava un po di latte per il bambino. In quel momento che ascoltai tanta pietà, maledissi Dio che ci aveva fatto nasciere, maledissi il governo che ci governava, maledissi il padre di quella bambina ritenendolo un vile e un padre snaturato, io al suo posto avrei rubato a chiunque e la quale siasi cosa pur di sfamare i miei figli [...]” (Il racconto di un disoccupato, in Aa. Vv., Perché l’Italia diventi un paese civile. Palermo 1956: il processo a Danilo Dolci, l’ancora del mediterraneo, Napoli 2006, p. 152).

2 Per una rassegna sulla vita e l’opera di Danilo Dolci, cfr. G. Barone, La forza della non violenza. Bibliografia e profilo biografico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2004.

3 Appello del 25 gennaio 1956, in Aa. Vv., Perché l’Italia diventi un paese civile, cit., pp. 27-28.

4 Altri intellettuali in quegli anni scoprivano il disagio profondo del mondo contadino del sud Italia, escluso anche dalla dialettica tra le classi sociali che si sviluppava nelle fabbriche del nord: tra questi Carlo Levi, Rocco Scotellaro, Manlio Rossi Doria, Ernesto De Martino e soprattutto Tommaso Fiore, antifascista, protagonista delle lotte per la riforma agraria, che restituì in Un popolo di formiche un quadro impressionante delle condizioni della civiltà agricola meridionale.

5 Cfr. D. Dolci, Il mondo verso la piena occupazione, reportage in cinque puntate pubblicato su “L’Ora”, aprile-maggio 1958.

6 Cfr. Istat, Rilevazione continua sulle forze di lavoro e 8° Censimento generale dell’industria e dei servizi, dati reperibili sul sito http://www.istat.it

7 I valori assoluti sull’occupazione, infatti, sono solo parzialmente attendibili poiché rientrano nel dato anche gli “occupati” con le nuove regole dell’impiego precario introdotte dal pacchetto Treu e dalla Legge 30, che in tutta onestà solo in qualche caso possono essere equiparati a nuove occupazioni.

8 Il dato è rilevato dallo Svimez, Rapporto 2005 sull’economia del Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna 2005, pp. 125-128. Il rapporto tra persone con più di 65 anni e meno di 65 anni, ad esempio, si attesta nel Meridione attorno al 25% rispetto alla media nazionale del 29%.

9 Svimez, Rapporto 2005 sull’economia del Mezzogiorno, cit., pp. 350-355.

10 Eurispes, Rapporto Italia 2005, capp. 14 e 15; cfr. anche Id., Rapporto Italia 2006, cap. 12.

11 Istat, “La povertà relativa in Italia nel 2003”, Statistiche in breve del 13 ottobre 2004; “La povertà relativa in Italia nel 2004”, Statistiche in breve del 6 ottobre 2005.

12 M. Baldini, Le molte conferme sulla povertà in Italia, 09/01/2006, http://www.bloo.it/news_Italia_169.html

13 N. Rossi, Mediterraneo del nord. Un’altra idea del Mezzogiorno, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 50.

14 Ivi, pp. 8-9.

15 Elaborati a tavolino da politici, amministratori, tecnici, imprenditori e sindacati, gli indirizzi generali della “nuova programmazione” sono sintetizzati nel documento Cento idee per lo sviluppo, pubblicato dal Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica (Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e Coesione) e discusso nel seminario tenuto a Catania dal 2 al 4 dicembre 1998. Il corposo documento definisce, sulla base dei nuovi criteri di gestione dei fondi strutturali, il piano generale d’interventi a favore dello sviluppo e della competitività del Mezzogiorno.

16 N. Rossi, op. cit., p. 11.

17 Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, Cento idee per lo sviluppo, cit., p. 12.

18 L. Raimondo, Risorse idriche, in Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, Cento idee per lo sviluppo, cit., p. 640. A proposito delle lotte per la gestione pubblica e democratica dell’acqua nel Meridione, si veda il recente libro a cura di Riccardo Petrella e Rosario Lembo, L’Italia che fa acqua, Edizioni Carta Intra Moenia, Napoli 2006; si veda anche l’interessante mostra fotografica dal titolo “S.p.Acqua diritto umano o bene privato”, a cura del Prospekt Group, http://www.prospekt.it

19 Si ricordi la morte per assideramento di un giovane 34enne durante la protesta per impedire la riapertura della discarica di Basso dell’Olmo (Salerno).

20 Si veda al proposito Sotto il tappeto. La questione dei rifiuti in Campania, a cura dell’Osservatorio Meridionale di Cestes-Proteo, 2005.

21 Cfr. G. Fofi, Congedo: dopo la questione meridionale, in G. Fofi - A. Leogrande, Nel Sud, senza bussola, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2002, p. 235 sgg.